
Buongiorno, notte ovvero il dilemma di una brigatista rossa
Correva l’anno 2003 quando al Festival di Venezia veniva presentato Buongiorno, notte, fatica di uno degli ultimi grandi registi nostrani, Marco Bellocchio.
Nonostante fosse favorito per il Leone d’oro, con grande ignominia, il film non vinse, a sottolineare che, se è vero che il cinema italiano non se la passa benissimo, quando invece si riesce a uscire da questo schema ci foderiamo gli occhi di prosciutto.
Buongiorno, notte avrebbe meritato di vincere, non solo per l’indubbio valore artistico, ma soprattutto perché – e qui parte la pippa pseudo-intellettuale, concedetemelo – essendo convinta sostenitrice di un cinema che colmi le inevitabili lacune culturali che tutti abbiamo, tratteggia una difficile pagina della nostra Storia di cui la pellicola agevola la fruizione.
Sono per l’apprendere divertendosi, che volete farci… Ok, qui non ci si diverte per niente. Casomai si patisce. ma ciò che non uccide rende più forti, no?
Roma, 16 marzo 1978: un gruppo di brigatisti sequestra l’Onorevole Aldo Moro (Roberto Herlitzka), dopo averne eliminato la scorta.
Lo statista viene rinchiuso in un angusto bugigattolo e sottoposto ad interrogatori stringenti dai rapitori, il cui leader è Mariano (Luigi Lo Cascio).
Il mondo al di fuori della prigione si occupa quotidianamente del caso Moro, gli appelli affinché il deputato DC venga liberato si susseguono senza sosta, mentre la politica sembra non sapere che pesci pigliare: i brigatisti intanto s’interrogano se ucciderlo o meno.
Stando a stretto contatto con l’ostaggio, conoscendo l’essere umano e non il politico, scalfisce le certezze di Chiara (Maya Sansa), che si trova ad affrontare un vero e proprio dilemma morale: salvarlo o portare avanti la sfida con lo Stato?
Diciamolo subito: il film non indaga tanto sulle dietrologie che spuntano come funghi sul caso in questione (così come succede per moltissimi altri “misteri italiani”), quanto sul dualismo Chiara – Aldo Moro: due opposti che si scontrano, si studiano per poi stabilire una certa intesa spirituale.
Un punto di vanto di questa pellicola è senz’altro il cast, che conta alcuni tra i più apprezzati attori:
Maya Sansa (La meglio gioventù, Bella addormentata), il cui personaggio ricalca la brigatista Adriana Faranda, che realmente si oppose all’omicidio di Moro, è talmente brava che non puoi fare a meno di immedesimarti in lei, il suo tormento è il tuo, senza scampo.
Luigi Lo Cascio (I cento passi, Smetto quando voglio – Ad Honorem), per il quale ho una sorta di fetischism dai tempi in cui si sgolava contro la mafia, interpreta, come detto, Mariano, una sorta di alter – ego di Mario Moretti, il principale pianificatore del delitto Moro.
E poi c’è Roberto Herlitzka, la cui grandezza sta stretta nei panni del “non protagonista”: è lui che ricordi, con la sua mimica cadenzata, mai eccessiva.
La sua interpretazione conferisce ad Aldo Moro una statura eroica, da tragedia greca: nonostante tutti fingano di preoccuparsi delle sue sorti, è abbandonato ad una solitaria dignità, che non perde nemmeno di fronte ai suoi carcerieri.
La sensazione più forte che proverai guardando questo film non è la commozione, la suspance o la paura: è la claustrofobia.
Stretta la cella di Moro, cupa la casa, mascherati i visi degli aguzzini: a metà tra l’onirico e l’asfittico, riecheggiano gli echi del mondo esterno, con articoli di giornale e interventi televisivi dei veri protagonisti, gli unici volti perennemente ammantati di luce sono quelli di Chiara e Aldo, valorizzati da intensi close-up durante i dialoghi più ricchi di pathos.
Il finale è la cronaca a dircelo, nessuno spoiler: Aldo Moro viene ucciso ma in Buongiorno, notte gli unici a morire davvero sono le coscienze. Non solo quelle dei sequestratori ma anche, e soprattutto, le nostre perché:
«C’è chi muore di eroina
C’è chi muore di lavoro
Cazzo ce ne frega a noi se muore pure Aldo Moro».