Film

Lammerda – “CAM GIRL”, MA IL “CAM” SI MORDE LA CODA

Ibrido e indeciso al gusto, il ravanello è il classico alimento di cui non si elencherebbero “caratteristiche”, bensì “velleità”. Quelle di Cam Girl (2014), contributo della regista Mirca Viola alla pila di film brutti che solo i feticisti di un certo rango riuscirebbero a sorbirsi, oscillano tra l’acquitrinoso e il “non sufficientemente piccante”. Nel mirino dell’ex attrice il mondo delle prestazioni erotiche via web, a quanto pare sempre più diffuse tra le giovani disoccupate. Dopo ben 80 minuti di banalità psicologiche e disgrazie al limite del ridicolo, quel che resta nel piatto è uno sciatto trito di ravanelli a cui, per giunta, l’atmosfera da horror mesoamericano ha dato gravemente alla testa.

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Alice (Antonia Liskova) è un’aitante puledra in cerca di un impiego da copywriter. L’agenzia presso cui svolge uno stage, però, le soffia un’idea e la manda a casa. Per sbarcare il lunario, è dunque costretta a spogliarsi su Internet. La dolce Gilda (Sveva Alviti) suda sette grembiuli al giorno servendo ai tavoli di un bar; Martina (Ilaria Capponi) maneggia palloni da basket nell’avvilente attesa di essere convocata in una squadra priva di spettatori sessualmente inclini, mentre Rossella (Alessia Piovan), dedita solo alla cam, è lo stereotipo vivente della puttanella fragile e insicura che ha perduto sé stessa nel vortice dell’esibizionismo.

Frustrate e assetate di rivalsa, le quattro si alleano nella messa a punto di un sito erotico tutto loro, garantendo a sé stesse e a un gruppo di colleghe percentuali di guadagno assai più grasse della norma. Non fosse che di colpo tutte quante smettono di lavorare lasciando il sito completamente allo sbando (ovviamente per motivi legati all’ineluttabile destino che siffatte attività non possono sottrarsi a maturare, e non perché la negligenza c’entri veramente qualcosa), avrei quasi considerato di farci un pensierino anch’io. Pazienza: Tenochtitlàn… pardon, l’Italia, ormai non offre che illegalità e prostituzione in alternativa al sacrificio umano, e visto che adattarsi porta comunque a una brutta fine, tanto vale mettersi il cuore in pace.

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È l’alba di un nuovo genere cinematografico: l’horror parrocchiale, una torva campagna di sensibilizzazione in stile ecco che cosa ti accadrà se… che anziché mettere in luce il piccolo dramma di una piccola realtà, ti spacca in testa una grossa ferula. In Cam Girl non solo si percepisce una volontà di denuncia pesantemente onnicomprensiva, ma la si esterna anche a casaccio, sfoderando un luogo comune dietro l’altro e non cogliendo alcun senso profondo. Perfare ciccia, si tende a puntare il dito un po’ ovunque: al mondo del lavoro, rigorosamente nero e sottopagato; all’attività di cam girl, deturpatrice di menti femminili; al mercato nero del sesso, di cui la “cam”, tra l’altro, non è che ambito marginale.

Povere le protagoniste: la loro credibilità è continuamente inficiata da un copione sadico e spietato in cui ogni aspetto dell’esistenza viene fatto fuori ancor prima di svilupparsi. Prendiamo Alice, gabbata al principio dall’agenzia pubblicitaria (tramite la direttrice Maria Grazia Cucinotta), e poi persino dal suo uomo di fiducia (Marco Cocci), il quale si occupa di tutto ciò che concerne il sito, ma svanisce improvvisamente perché ops, mi si è presentato un altro cliente e gli ho venduto la tua parola chiave. Ha tutto perfettamente senso.

L’analisi di Viola si conferma superficiale perfino quando la tesi è attendibile. Ad esempio, se da un lato registrare una società in base alle leggi di Zuzzerellonia è a tutti gli effetti un “salto all’ostacolo” fiscale, dall’altro si dà invece per scontata l‘illegittimità di un’occupazione che, di fatto, in Italia è consentita e soggetta al versamento dei contributi (maggiori delucidazioni qui). A dispetto di ciò, non è un caso che Gilda e Alice specifichino la natura illegale dei propri ricavati, dando a intendere allo spettatore che in Italia non si possa fare altrimenti. Inutile, a questo punto, insistere nel commentare un film che, potendo avere numeri decenti, ha scelto di puntare sull’ignoranza da ravanello.

E mentre il “cam” si morde la coda nel tentativo di dare un messaggio altisonante a qualcuno, le quattro indulgenti attrici si dimostrano un’eccellente contropartita: grazia, bellezza e doti interpretative forse non valgono la candela, ma certamente sono gradite.

Chiara Leoni

Germoglio appena ventisettenne, vive infestando riviste, siti internet e cartelloni pubblicitari. Naturalmente propensa a turbare la quiete pubblica in modo sempre più variegato, oltre a posare come modella scrive articoli, disegna e, a discapito di innumerevoli marinai dispersi, canta.
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