Film

Caro diario: Nanni Moretti, una Vespa e l’estate italiana

In tempi che gli ottimisti definiscono interessanti, i pessimisti tragici e i realisti farseschi, è buona cosa tornare ai classici. Caro diario, per esempio. Che è stato girato nel 1993 e ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes l’anno successivo, quando sembrava che per la sinistra le cose non potessero andare peggio di così, e invece. Se provate una profonda nostalgia per l’Italia pre-nuovo millennio, la prospettiva dell’estate imminente vi rilassa e vi atterrisce allo stesso tempo, e provate il bisogno spasmodico di annotare tutto ciò che vi capita, allora il film di Nanni Moretti è ciò che fa per voi.

Suddiviso in tre capitoli, Caro diario è la cronaca in prima persona di tre episodi distinti della vita di Moretti: In Vespa, il primo e ormai iconico, segue il protagonista in una scorrazzata in una Roma assolata e deserta. Un film sulle presunte sconfitte della sinistra, quando in realtà le più eclatanti erano di là da venire, l’ironico tentativo di autoassoluzione di Moretti – “sono uno splendido quarantenne, io” – , e un incredibilmente splatter B-movie americano che porta il nostro a casa del critico che lo ha elogiato con termini un po’ troppo ermetici; le passeggiate tra la Garbatella e Spinaceto, “che pensavo peggio”, e poi nei quartieri residenziali, che mammamiacheansiatuttaquestacalma; le riflessioni sulla società e la vita – non è la gente che è fastidiosa, ma la maggioranza della gente -; e infine, un silenzioso pellegrinaggio sino al luogo dove è stato ucciso Pasolini, nella periferia più periferia, con un monumento di dubbio valore a ricordarlo.

Caro diario volta poi pagina e passa al secondo e più ridanciano capitolo, Le isole: in fuga dai ritmi frenetici della città, Moretti intraprende un viaggio nelle isole Eolie dove incontra l’amico Gerardo, a sua volta in cerca dalla tranquillità e soprattutto preso dal disperato tentativo di allontanarsi da una televisione ormai troppo trash – ed è bene ricordarlo, nel 1993 Pomeriggio Cinque non era ancora nato. Epperò: Lipari è troppo mondana, Salina è diventata un rifugio di genitori inadatti e pargoli viziati – altro grande dramma degli Anni Novanta -, Stromboli è appestata da un sindaco che sembra la brutta copia di Veltroni, Panarea sembra l’anticamera di Arcore e Alicudi è sì tranquilla, ma forse un po’ troppo. Un episodio che sembra una metafora della penisola; tra un pastore imbronciato e taciturno e l’ultimo episodio di Beautiful, non importa quante arie ci diamo: alla fine, vincerà sempre il secondo, e per lavarci la coscienza ci racconteremo che sì, lo stiamo guardando, però con spirito critico.

L’ultima pagina di Caro diario è la più riflessiva: Medici, semplicemente. Tratta da un reale episodio della vita di Nanni Moretti, quest’ultima parte narra le peripezie del protagonista fra ambulatori, diagnosi sbagliate e farmaci inutili, fino ad arrivare alla scoperta di un male che sembra incurabile e invece no. Ironia della sorte, i sintomi si trovano descritti per filo e per segno in una qualunque enciclopedia medica. E allora meglio riderci su, per quanto possibile, e iniziare ogni giornata con un bel bicchiere d’acqua “che fa tanto bene”.

Caro diario potrebbe essere la storia di una qualunque settimana di ognuno di noi: banale, riflessiva, con una buona dose di risate e qualche lacrima. Eppure non è affatto noioso, anzi: forse proprio perché racconta la giornata tipo di un uomo qualsiasi, riesce a entrare nelle corde degli spettatori. La voce calma e rassicurante di Moretti, le sue riflessioni sulla politica e lo stato del paese, lo sguardo affettuoso e distaccato con cui descrive ogni cosa sono un piccolo capolavoro di ironia. Se a questo aggiungiamo la fotografia di un’estate italiana di quando eravamo bambini, i discorsi scimmiottati che ai tempi sentivamo fare da mamma e papà e che non capivamo, i pensieri che si rincorrono nella testa quando si passa troppo tempo da soli, ecco che Caro diario diventa il film da recuperare per prepararsi agli imminenti, eterni pomeriggi d’agosto.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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