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Catalogo dei film ingiustamente massacrati dalla critica cinematografica

Una volta, qualcuno mi disse che non ci si può fidare di solo tre persone nella vita: i politici, gli astemi, e quelli che si occupano di critica cinematografica. Non si sbagliava.

Certe volte, nella storia del cinema, capita che la critica cinematografica distrugga qualche film, certe volte con cognizione di causa, altre… un po’ meno: è questo il caso di cui oggi voglio occuparmi. Il mio ambizioso (col cazzo) progetto non è altro che una lista di film, in ordine completamente casuale, che la maggior parte della critica ha demolito e/o insultato pesantemente, e che, invece, per me, sono, perlomeno, godibili se non – alcuni, ci tengo a precisarlo – spettacolari. 

Partiamo:

  • La Ruota delle Meraviglie, Woody Allen.

Devastato da Metacritic e da Rotten Tomatoes, Wonder Wheel è la summa di quel che è Allen nei suoi ultimi lavori: sempre lui, nella realtà dei fatti. Potrei ripetere questo discorso all’infinito, ma probabilmente è il pubblico che sta disimparando il modo in cui apprezzare l’autorialità. Così era successo con Midnight in ParisCafè Society.

Con la storia di un’ex attrice, Allen costruisce una storia profonda e diretta magistralmente, di fronte alla cui visione l’unica reazione dovrebbe essere quella preannunciata nel titolo. Però, c’è Justin Timberlake, e questo è sempre un punto a sfavore.

  • Da una storia vera, Roman Polanski.

The Guardian lo valuta 2 stelle su 5 sottolineando buchi di trama con la stessa abilità di chi cerca l’ago in un pagliaio di 700 chilometri quadrati… però poi, in Black Panther, fila tutto liscio. Nulla da dire senza ripetere ciò che ho detto per Wonder Wheel; è Polanski, cazzo. 

  • Praticamente ogni film di George A. Romero (senza considerare alcuna rivalutazione successiva).

Quando si parla di Romero, anche non conoscendolo, si è sicuri di starsi riferendo ad un regista che nella sua carriera ha girato SOLO grandi film ed almeno 3-4 capolavori, a seconda dei gusti. La notte dei morti viventi, Zombi, La terra dei morti viventi, Survival of the Dead, Evil Eyes ed il resto sono tutti film che non meritano assolutamente l’ostracismo che hanno ricevuto dalla critica e dalla produzione in generale, e, in più, a Romero va il merito di aver creato uno dei mostri più importanti di sempre per il cinema: indovinate quale. 

  • Regression, Alejandro Amenabàr.

Lo stesso Amenabàr che aveva diretto The Others, torna con un film che è piaciuto a lui, a me e a un tipo che abita a Seoul. Non sarà questo filmone, ma non condivido la devastazione subita da praticamente tutte le testate che si occupino di critica cinematografica. Insomma, il miscasting è palese (Emma Watson è terribile e mi duole il cuore a dirlo), ma Amenabar non annoia, costruisce bene le scene di tensione e a me frega un cazzo se il finale è intuibile, mi interessava sapere in che modo ci si arrivasse. Consigliato.

  • The Village, M. Night Shyamalan.

Roger Ebert lo ha distrutto dandogli un indignitoso 1/4, ma The Village, nonostante non abbia particolarmente apprezzato il resto dei lavori di Shyamalan, è semplicemente magnifico. 

Una delle trame più basiche ma allo stesso più potenti degli ultimi anni, mescolata a una critica sociale feroce anche se velata per chi non la cerca, rendono questo film un must see di quelli proprio prepotenti.

Inserisco qui Fulci come persona: è l’esempio calzante di quel che la critica ha di sbagliato. Venne considerato morto prima di morire effettivamente, i suoi film erano valutati solo come film di serie B e i critici, anche quelli di sinistra, come lui, esitavano a “votarlo” in maniera positiva (N.B. Paese Sera, “Io non darò mai tre stelle a Fulci”), anche nei suoi film più autoriali come Non si sevizia un paperino e L’aldilà.

Il postulato che si ricava dalla sua esperienza è: mai la persona, sempre l’opera. 

  • Solo Dio perdona, Nicolas Winding Refn.

Inutile girarci attorno, Solo Dio perdona è un film pretenzioso, e chi l’ha condannato per questo motivo, è pienamente comprensibile. Allo stesso tempo, però, è un’opera che è marcata da un’estetica preponderante e assurdamente bella, che è impossibile ignorare. Refn pone le basi per quello che sarà il suo capolavoro, The Neon Demon, realizzando un film modesto nella sostanza, ma paurosamente estasiante nella forma.

  • In Time, Andrew Niccol.

In Time è un po’ quel che era stato La Notte del Giudizio: un film in cui l’idea centrale è così formidabile che potrebbe “farsi da sola”. Solo che qui alla regia non c’è un esordiente come in quel caso, ma c’è Andrew Niccol, signorotto che ha scritto, non per dire, la sceneggiatura di The Truman Show. La critica cinematografica non lo ha apprezzato particolarmente per una gestione non eccezionale del ritmo e dell’intreccio, che, effettivamente, è poco chiaro in alcune situazioni, ma…

…In Time (in cui di nuovo recita quel Bau Bau di Justin Timberlake) vince il premio come film più spudoratamente marxista degli ultimi anni, per cui non potrebbe non essermi piaciuto. 

  • L’ultimo Godard.

Film Socialisme prende 5 se non meno su tutte le maggiori testate, Addio al linguaggio accolto in maniera fredda, cosa che sta succedendo anche per il suo ultimo Le Livre d’image, che sarà (speriamo di no) il suo testamento spirituale. Godard, sin da quando ho iniziato ad apprezzare il cinema, è sempre stato uno dei miei punti di confronto per quanto riguarda la costruzione del quadro, e, oggi, ci troviamo in una situazione in cui, uno come lui, non viene apprezzato nella giusta maniera da chi di dovere. Con cognizione di causa, i primi due film citati non saranno i suoi migliori, ma mettono nel taschino il 70% della produzione moderna, e, se fossero usciti in bianco e nero, tutti li avrebbero adulati come capolavori come si fa con A bout de souffle.

Qui lo dico e qui lo nego: dall’alto dei suoi 87 anni, se Godard facesse un film di 345 minuti su di lui che si fa un clistere con inquadratura fissa, lo vedrei, comprerei blu-ray e DVD, ne appenderei il poster in camera e lo consiglierei a tutti. Questa è vera critica cinematografica.

 

Vincenzo Di Maio

Nasce in quel di Napoli nel 1998 ma è rimasto ancora negli anni '80. Spesso pensa di esser stato un incidente ma i suoi genitori lo rassicurano: è stato molto peggio. Passa la totalità della sua giornata a guardare film e scrivere, ma ha anche altri interessi che ora non riesce a ricordare. Non lo invitate mai al cinema se non avete voglia di ascoltare un inevitabile sproloquio successivo, qualunque sia il film.
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