Oggi si parla di sport, di competizione. Di Europei, o di Mondiali se preferite. In particolare, di quelli del lontano 2006: Italia contro Francia, testata di Zidane, zanzare, birretta e bagni in piscina per festeggiare. Coloro che mi conoscono a questo punto si staranno chiedendo se non sia per caso sbronza o se non mi sia arrivata una botta di Alzheimer precoce, dato che in condizioni normali nemmeno so in quanti si sta in campo. Tranquilli, tutto normale – se di normalità si può parlare: il match che sto per narrarvi è sempre tra Francia e Italia, sì, ma sul grande schermo anziché allo stadio. Tra Le Prénom, del 2012, in italiano tradotto con un banale Cena tra amici, e Il nome del figlio, uscito tre anni più tardi, che non ha bisogno di traduzioni perché nasce nella penisola.
Entrambi si basano sulla pièce scritta a quattro mani da Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, che di Cena tra amici sono anche registi, e la trama è sostanzialmente identica: da una parte la tipica coppia gauche caviar, lui professore all’università e lei al liceo, dall’altra i cognati, borghesotti arricchiti e poco inclini agli intellettualismi, ma molto più pronti alla battuta, e in mezzo un comune amico eccentrico e apparentemente solitario. Proprio a causa di una battuta irriverente viene scoperchiato un vaso di Pandora sigillato da decenni, le cui conseguenze si riveleranno inaspettate.
Premessa: entrambi i film sono estremamente godibili; la scelta è durissima. Per il caso francese, Charles Berling è Pierre, intellettuale spocchioso e poco avvezzo alla quotidianità; Valérie Benguigui è Élisabeth, la moglie frustrata e esausta; Patrick Bruel è Vincent, fascinoso agente immobiliare incapace di uscire di casa senza un Rolex al polso; Judith El Zein è Anna, la rampante e bellissima moglie in dolce attesa; e Guillaume de Tonquedec è Claude, istrionico direttore d’orchestra.
Diverso il fronte patrio: Francesca Archibugi sta dietro alla macchina da presa de Il nome del figlio, e per la sceneggiatura si fa aiutare da Francesco Piccolo. Il tono del film, di conseguenza, è inevitabilmente più casereccio e in qualche modo più malinconico. Il naso di Luigi Lo Cascio è Sandro, il professore di cui sopra che nella versione nostrana scopre i social; Valeria Golino e la sua recitazione nevrotica tipica delle attrici italiane che devono darsi un tono è Betta, la moglie; Alessandro Gassman è Paolo Pontecorvo, perfetto agente immobiliare e fratello di Betta; Micaela Ramazzotti è la moglie Simona, che siccome è bella mica può pure avere una carriera, al massimo può ambire al ruolo di scrittrice da autogrill; e infine Rocco Papaleo è Claudio, musicista famoso ma non troppo.
Se Cena tra amici vince per ritmo e freschezza, Il nome del figlio è pervaso da un amarcord tutto italiano che non può non far sorridere: flashback degli Anni Settanta, canzoni di Lucio Dalla, politica spiccia – Lo Cascio è l’incarnazione perfetta dei motivi per cui la sinistra è destinata a perdere, mentre Gassman potrebbe benissimo intonare Meno male che Silvio c’è da un momento all’altro. La Francia è più chic, si sa, e il confronto tra bobo e bling-bling è graffiante, impietoso e incredibilmente parigino; Roma, che si parli dei salotti buoni o della provincia più coatta, mantiene quell’alone provinciale che è al contempo la sua debolezza e la sua forza. Se Anna è ben consapevole del suo ruolo in società e non viene scalfita dal sarcasmo del cognato, non così Simona, semplice, fragile eppure capace di inquadrare al volo tutti i partecipanti alla cena; se i nipoti di Anna in Cena tra amici sono sostanzialmente tappezzeria, quelli di Simona ne Il nome del figlio rappresentano insieme passato e futuro. Entrambi hanno ispirato Perfetti sconosciuti, che dei due è la sintesi: estremamente italiano, ma senza tutti quei riferimenti storici che caratterizzano l’opera della Archibugi.
Il verdetto? La Francia è briosa, esilarante, cinica; l’Italia poetica, affettuosa, autoironica. Uno a uno, palla al centro. Nel dubbio, guardateveli entrambi.