Film

Che senso ha Mission: Impossible – Rogue Nation?

L’altro giorno mi è capitato di vedere Mission: Impossible – Rogue Nation – quello che io credevo essere il quarto capitolo della saga, ma Wikipedia mi dice essere il quinto – e ho pensato bene di propormi alla redazione per la stesura della recensione. Ebbene, cari lettori, vi confesso che ho commesso un errore, perché ora mi trovo qui a scrivere questo pezzo senza sapere bene cosa dire di questo film. Mi spiego, cosa si può mai dire di un film in cui, nella primissima scena, il protagonista rimane aggrappato al portellone di un aereo in piena fase di decollo con la forza delle sole braccia? Niente! Se non rimanere letteralmente di sasso, con una strana imbarazzata incredulità in corpo che farà fatica ad abbandonarti per le successive due o tre ore. Soprattutto se – un secondo dopo quella prima stucchevole scena – il predetto protagonista viene risucchiato all’interno della fusoliera e batte violentemente la testa contro l’acciaio, rimanendo completamente illeso.

La trama è a dir poco originale per un film d’azione. Un’organizzazione ombra paragovernativa si cela dietro ogni singolo attentato e ogni singolo atto di guerra del pianeta. I motivi per cui questi loschi figuri si prendano tanto disturbo per organizzare stragi in giro per il mondo sono a dir poco nebulosi ma, fatto sta, è necessario l’intervento di un superagente in grado di fermarli. E chi meglio di Tom Cruise? (in realtà il suo personaggio ha, ovviamente, un nome. Visto che non lo ricordo lo chiameremo Tom Cruise per maggiore comodità). Questa sinossi – vista più o meno altre ottomila volte in altri film del genere – è solo uno spudorato pretesto per propinarci una serie di immagini talmente assurde e talmente sopra le righe da risultare fastidiose. E così, tra una caduta in moto a trecento chilomentri orari sull’asfalto bollente senza tuta e senza casco e una pseudo Bond Girl pronta a bagnarsi non appena Tom Cruise fa qualcosa – anche soltanto lavarsi i denti – il film scorre via anonimo, senza lasciarti granché.

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Ci sarebbe poco da aggiungere su Rogue Nation, ma preferisco dilungarmi ancora qualche riga per proporvi una riflessione. Secondo voi cosa passa per la testa degli sceneggiatori mentre si apprestano a scrivere una roba del genere? Io vorrei trasformarmi per qualche minuto in una mosca per poter andare a spiare le loro riunioni e sentire cosa si dicono. Perché non posso credere che siano convinti che qualsiasi essere umano che abbia più di tredici anni riesca a prendere sul serio quello che scrivono.

Io mi immagino il processo creativo come una sorta di gara a chi le spara più grosse tra grasse risate, pinte di birra e rutto libero. Se fosse così, sarei quasi disposto a rivalutare parzialmente questo film. Perché – se l’effetto parodia è intenzionale – non posso far altro che fare un plauso agli autori perché, in effetti, per buona parte della pellicola si ride di gusto. Ma questa, temo, è solo una pia illusione. Perché probabilmente l’intento vero è diametralmente opposto e ogni nuova assurdità viene accompagnata da commenti del tipo: “Ehi ragazzi, che figata sarebbe se facessimo rotolare una macchina sportiva giù da un burrone rendendola una carcassa irriconoscibile? E poi Tom Cruise potrebbe uscire dalla macchina come se l’avesse appena parcheggiata al parco e continuare l’inseguimento! Perché lui è parente di Wile E. Coyote ed è invulnerabile ai precipizi! Sì, che spettacolo! Quanto è badass! Facciamolo subito!”. Come è possibile tutto ciò? Cosa può spingere un uomo a creare tutto questo e a pretendere che venga preso sul serio dagli spettatori? Io ci ho pensato e ripensato, ma non sono in grado di darvi una risposta. Se potete, aiutatemi voi.

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Sì sì, ho capito, sento già il coro di obiezioni. Questo genere di film è fatto per intrattenere, per passare due orette di divertimento fracassone e senza pensieri, bisogna goderselo senza pippe mentali e con una buona dose di sospensione dell’incredulità. Che vi devo dire, avete ragione. Però diciamoci la verità, bisogna anche considerare che questo è il quinto Mission: Impossible. La prima volta va bene, ben venga la tamarraggine, ben vengano le acrobazie da circo: che figata! La seconda volta va bene, scene ancora più spettacolari con effetti speciali migliorati: che figata! Poi anche basta, direi che dopo un tot di lavori fatti con il copia/incolla anche l’alibi del divertimento tamarro viene meno e resta solo la pochezza di questo Rogue Nation.

Quindi che dire, ve lo consiglio o no? D’istinto vi direi di no, ma vi confesso che a tratti è talmente demenziale da fare il giro e diventare imperdibile. Che poi magari sbaglio io ed è proprio il risultato che voleva chi l’ha prodotto, chi lo sa.

Mattia Carrea

Nato nel 1988, passa buona parte dei suoi 28 anni a seguire le più grandi nerdate mai prodotte nella storia del cinema e della televisione. Difficilmente scriverà di grandi film d'autore, siete avvisati!
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