
Chiara Ferragni – Unposted: troppo facile da stroncare
Presentato in questi giorni al Festival di Venezia, il documentario Chiara Ferragni – Unposted di Elisa Amoruso si è attirato una serie di critiche poco benevole da parte di voci più o meno autorevoli. Lo sappiamo che non vedete l’ora di vederlo su Amazon Prime (magari di nascosto) e siamo qui apposta per prepararvi a quello che vi aspetta.
L’apologia di Chiara Ferragni
“Unposted” manco per niente, chiariamo subito. Si percepisce distintamente un controllo assoluto sul materiale da parte dello staff della Ferragni, che emerge in tutta la sua patinata positività imprenditoriale e dà sfoggio di biondezza per un’ora e mezza. La prima lancia che spezzo a favore del documentario, quindi, è che piacerà ai fan dell’influencer. E piacerà anche ai suoi hater, che troveranno interi giacimenti di materiale da meme. D’altronde: purché se ne parli.

Il motivo di interesse per chi, come la sottoscritta, non la segue (né per amarla né per odiarla – e fatico a trovare le differenze) sono invece i brevi stralci di intervista alle figure di spicco del mondo della moda che raccontano le trasformazioni del settore negli ultimi dieci anni, del rapporto con gli utenti finali, delle mediazioni sempre più sfumate nelle nuove frontiere dell’advertising. Quella di influencer, ad oggi, è una professione a tutti gli effetti – che può far storcere il naso (o rodere il culo, a seconda dei casi) solo a chi non ha ancora assimilato le profonde e irreversibili trasformazioni sociali provocate dal web nell’ultimo decennio. L’imprenditoria digitale è una realtà. E Chiara Ferragni, che vi stia sulle balle o meno, è un’eccellenza internazionale nel suo settore. Prima ve ne fate una ragione meglio starete, perché indietro non si torna.
“Sarei capace di farlo anch’io” is the new “l’uva è acerba”
Complici anche le poche proiezioni e la capienza ridotta della sala, il documentario ha totalizzato tre pienoni e file di esclusi. Tutti in coda, ma tutti con un atteggiamento nel migliore dei casi di diffidenza o apparente disprezzo nei confronti del fenomeno, tutti pronti a mettere in discussione la “legittimità” della presenza di un film del genere alla Mostra del Cinema.
Questo atteggiamento di superiorità, la sufficienza superficiale con cui veniva commentata la scelta di inserire il documentario nel programma, mi ha discretamente messo le mani nel sangue. Chiara Ferragni catalizza odio: apparentemente tutti si sentono meglio di lei, più preparati, più intelligenti. “Sarei capace di farlo anch’io.” E fallo, nan. Fallo, tanto che vado a prendere i popcorn.
Chiara Ferragni – Unposted è materiale da Festival del Cinema?
Lo storytelling frammentario di Instagram, che piaccia o non piaccia, è una nuova forma di comunicazione per cui non esiste ancora un canone. Chiara Ferragni – Unposted, se approcciato con la giusta intenzione, riesce a raccontare le fasi embrionali di un mezzo espressivo contemporaneo che sta rivoluzionando le nostre vite, il modo di fare pubblicità, le nostre relazioni con gli altri.
L’auto-rappresentazione del sé oggi passa anche attraverso i social network e raccontare un percorso come quello di Chiara (con tutti i limiti di controllo dell’immagine che un’operazione del genere può subire) è un primo passo verso una una narrazione condivisa più “alta” e rigorosa su questi strumenti in continua evoluzione.
Come giustamente viene fatto notare in un passaggio interessante del documentario, ci troviamo al momento in un Medioevo dell’era digitale (anche da un punto di vista meramente legislativo): un Medioevo che va accompagnato verso il Rinascimento al più presto. Secondo me un documentario come Chiara Ferragni – Unposted non solo ha assoluta dignità di presenza a un festival, ma è il primo gradino di un lavoro di decodifica e interpretazione che è necessario portare avanti. Lo sport internazionale di sputare sopra a un fenomeno di massa è il classico atteggiamento che a distanza di vent’anni verrà già guardato come paleolitico: pensateci, la prossima volta che commentate “questo non è un lavoro”, “saprei farlo anch’io” o “la spazzatura non dovrebbe stare al festival”. Pensate al fatto che i vostri figli vi guarderanno come curiose creature preistoriche mentre il pop, noncurante, si evolve e sopravvive. Amen.