
Ci hai rotto papà: dieci fondamentali lezioni di vita dagli Intoccabili
Oggi parliamo di un film di quelli con mille difetti, la cui mancata visione, però, potrebbe farmi credere che abbiate vissuto la vostra infanzia su qualche asteroide sperduto chissà dove (per questo non mi perderò in introduzioni e spiegazioni inutili, ndr). Specialmente se il film in questione può darvi ottime lezioni di vita, applicabili sempre nei secoli dei secoli. Perciò, stampate questa lista, prendete una matita e fate “ce l’ho – manca” edizione Ci hai rotto papà.

1. Inserirsi in un gruppo nuovo è terrificante, ma possibile
Dopo il teletrasporto, sul podio dei poteri magici che vorrei avere se fossi un supereroe c’è quello di essere simpaticissima e brillantissima e meravigliosissima ogni volta che sono “l’ultima arrivata” da qualche parte. Voi potreste chiamarla “paranoia di non essere accettati”, io la chiamo “vendetta del karma per aver passato l’infanzia a bullizzare gli altri bambini”.

Quando cresci in un paesino dove una delle maggiori attività ricreative è giocare con la palla sul lungolago, lo impari a tue spese. Chi, come Andrea quando ancora viveva a Milano, non ha mai frequentato zone del genere, non ha idea di quanti giochi si possano fare con una palla e un cortile (o una piattaforma di cemento), né quante e quali severe regole siano previste. Le due più ferree della mia infanzia erano “chi ha portato la palla decide chi gioca e come” e “chi butta la palla dentro il lago la va a riprendere”; quella degli Intoccabili è peggio: “se vuoi passare devi pagare la dogana”, perché l’opzione “vieni a giocare con noi, nuovo amico” non è contemplata manco da lontano. E immaginate che ansia trasferirsi in una città nuova e ritrovarsi questi che ti aspettano sotto casa tutte le volte che scendi. Sempre rimanendo in campo acquatico, quando le cose vanno così, vale un’altra regola d’oro: “o bevi o affoghi”. E così Andrea fa vedere agli altri di che pasta è fatto, unendo in un colpo solo prova di coraggio per entrare nel gruppo + vendetta:

2. Fa’ il maschiaccio

Quando sei piccolo e hai una valanga di amici, è perché questa corrisponde a tutti i nati nel tuo anno, o al massimo in quello precedente o successivo, se i genitori erano poco prolifici. Naturalmente, manco a dirlo, quando io ero piccola maschi e femmine giocavano insieme, e si facevano giochi spericolati che comprendevano saltare i fossi, arrampicarsi sugli alberi e sulle recinzioni, tuffarsi dai pontili, andare in bicicletta senza mani… insomma, se eri una femmina in gamba eri un po’ come Stefania di Ci hai rotto papà: senza paura di toccare una rana a mani nude, né di spostare avanti le lancette dell’orologio per scappare da una noiosa lezione di violino. E se la natura ti aveva fornito un bel faccino da brava bambina destinato a dimostrare eternamente innocenza e quei 7-8 anni di meno (presente!), la passavi liscia. Sempre.
3. Es evoip ella euqnic aslas
A conti fatti, il criptocodice dell’alfabeto farfallino era davvero una roba per pifivefellifi, se paragonato alla regola degli Intoccabili di parlare all’incontrario per non farsi sgamare dai grandi. Però, è stato una bella palestra per chi l’ha usato (dai, se non lo avete mai usato interrompete qua la lettura e rimettetevi in pari leggendo tutto da capo cofosifì) – e con palestra intendo più il trampolino di lancio per le parlate e i nomi in codice degli anni a venire.

Perché? Perché c’è sempre bisogno di qualcosa di esclusivo che ci aiuti a codificare il mondo e allo stesso tempo ci protegga da questo (esercizio per chi si stesse lambiccando il cervello su quello che sto dicendo: buttate giù un elenco dei soprannomi dati negli anni a professori antipatici e amori segreti); e diffidate da chi vi dice che “gli amici veri si capiscono solo con un’occhiata”: quella è solo la micro punta di un iceberg eretto in anni e anni di esperienza, fatto di complicità e inoiznevnoc eterges ilibarficedni.
4. I momenti importanti vanno celebrati degnamente
E non sto parlando di feste di compleanno (a meno che non siano quelle a sorpresa organizzate in maniera esageratamente pro). Sto parlando di regole non scritte che permettono a un momento comune di diventare un grande momento. Le riunioni degli Intoccabili di Ci hai rotto papà si tengono dentro un cinema abbandonato, lontano da tutto e da tutti, l’accesso al quale va guadagnato attraverso un vero e proprio percorso a ostacoli fra tetti diroccati, travi pericolanti e varchi microscopici. Per ritrovarsi e pregustare il prossimo scherzo si abbandona immediatamente ogni occupazione, si inforca la bicicletta e si parte per raggiungere gli altri.
E l’ingresso definitivo di Andrea nel gruppo viene sancito nel modo che più unisce gli amici veri: la condivisione dello schifo – rappresentato in questo caso dal rituale di una gomma americana stra-masticata, passata di mano in mano e ciancicata di bocca in bocca (se tu che stai leggendo ti azzardi a storcere il naso, ti invio subito il resoconto dettagliato delle modalità con cui a 8 anni io e la mia amichetta del cuore volevamo fare il patto di sangue definitivo).
5. “Guerra ai grandi!”
Non solo i grandi si sono scordati di com’era essere bambini; diciamo pure che ogni tanto, dei bambini, se ne approfittano (e qui non c’è Piccolo Principe che tenga): quella degli Intoccabili non è una serie di capricci alla “chi la fa l’aspetti”, ma una vera e propria missione sovversiva verso quegli adulti convinti di saperla molto lunga solo in virtù di anagrafe e presunta maturità. Poi, da questo a farsi prendere un po’ troppo la mano è un attimo, ma su, chi di noi non ha mai fatto uno scherzo per il puro gusto di farlo?
E poi, io, guardando Ci hai rotto papà e vedendo imprese del genere, non potevo che ammirare quei ragazzini che avevano la faccia tosta di scrivere “un annuncio sulle relazioni sociali con il suo numero di telefono” per vendicarsi di una vecchia zitella, o che microfonavano il pappagallo di un inquilino palesemente cornuto, o che architettavano la storia spaventosa della bambina fantasma col violino. Oh, io quella provai a replicarla a Halloween, ma gli unici strumenti facilmente portabili erano un’armonica a bocca e un flautino dolce di plastica, e quindi niente, sarà per la prossima vita.
6. Cotte e figure di merda vanno SEMPRE a braccetto
Come dicono a Roma: stacce.
È un dato di fatto, una realtà incontrovertibile. E prima la si impara, meglio è: quando si perde la testa dietro a qualcuno, bisogna essere disposti ad accettare il fatto che insieme alla testa si perderà anche la dignità. La scatola cranica si trasformerà in un acquario per i pesci, la faccia in un libro aperto, il mondo in un campo minato e ogni mossa andrà calcolata alla perfezione (spoiler: questo non ne garantirà il successo).
In Ci hai rotto papà il campionario di riferimento è bello vasto: Marco, innamorato perso della studentessa sua dirimpettaia, cancella l’1 dal suo 10 in pagella per poter prendere ripetizioni di matematica da lei tutti i giorni; Stefania, innamorata persa di Marco, si fa beccare il diario dalla sua insegnante suora e quest’ultima lo legge ad alta voce a tutta la classe (questo comunque è uno dei traumi peggiori che possano capitare, io l’ho vissuto dall’esterno alle medie, ma ancora rabbrrrrividisco); Andrea, innamorato perso di Stefania, diventa ancor più imbranato del solito e non ha idea di come fare anche solo per avvicinarla e parlarci da solo.
Dimenticavo una cosa fondamentale: questo binomio si verificherà ogni singola volta e non cambierà di una virgola. Buon divertimento.
7. (E nonostante questo:) dichiararsi
Credevate fosse finita in quel modo? Ma neanche per sogno.
Ecco, questa sì che è una lezione imprescindibile, una delle prove di coraggio più spaventose ma più liberatorie che esistano. Un’iniziazione alle delusioni o alle gioie della vita che Ci hai rotto papà ci regala. Andrea, alla fine, riesce a dichiararsi a Stefania – cioè, le dice proprio “va bene, te lo dico, io ti amo” un attimo dopo che lei lo ha clamorosamente friendzonato, prima che tutto ciò diventasse materia di discussione in programmi MTV e pagine Facebook. Per me, uno che fa così, è un eroe. Un eroe un po’ kamikaze, magari, ma pur sempre un eroe. Poi, certo, ci sono scuole di pensiero diverse sul don’t try this at home, ma io sono sempre stata dell’idea che chi non compra il biglietto della lotteria non vince (per favore, rilanciate Cioè e fatemi caporedattrice della posta del cuore, grazie).
8. Riconoscere di aver fatto le teste di ozzac
In Ci hai rotto papà c’è anche una (quasi) inaspettata e triste sintesi dei punti 6. e 7. (SPOILER altrettanto inaspettato e triste): al povero Andrea viene rovinato questo momento di pathos proprio dagli Intoccabili, che resistono a un’occasione così ghiotta per il loro ennesimo scherzo. Però, poi, proprio loro che non chiedono mai scusa, che non guardano in faccia nessuno e che vanno avanti imperterriti per la loro strada filo-vandalica, proprio loro inviano le loro personalissime e sentite scuse allo stesso Andrea, usando il sanbernardo Mozart come ambasciatore del messaggio più eloquente che mai sarà prodotto nella storia dell’uomo:
9. L’infanzia in provincia è una fortuna
Giocare a pallone sotto le finestre e le minacce dei vecchi, scorrazzare in bicicletta fino a tarda sera, abitare letteralmente a casa dei propri amici, poter andare in giro da soli, sentirsi parte di un gruppo eccezionale, fare di ogni cosa un’avventura, crescere insieme. La vita di quartiere dagli 0 ai 12 anni dovrebbe essere una prescrizione medica obbligatoria.
E anche la visione di Ci hai rotto papà, già che ci siamo.
10. La canzoncina
Poteva mancare?
P.S: qui c’è la versione integrale per la televisione – con tanto di commento “visto con gli occhi di un adulto è un film che fa pena“. C.V.D.