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Il cinema come atto sociale: una calamità naturale

Per essere una grande appassionata di cinema ho sempre avuto un rapporto con la sala estremamente difficile, che negli anni è peggiorato pure. Oggi ho voglia di raccontarvi come e perché: l’hashtag del giorno è #UsaIlMacGuffinComeLettinoDelloStrizzacervelli. Sentitevi liberi di fare altrettanto nei commenti su Facebook, è aperta la sessione di terapia estiva: dopo aver visto It non riuscite più a passare vicino a un circo? Gli elefanti rosa non vi hanno fatto dormire per settimane? Sfogatevi liberamente. Siamo qui apposta. Fanno 70 euro.

Rompo il ghiaccio io, sviscerando lo sviscerabile sulla mia relazione complicata con la sala cinematografica. Partirò dai ricordi più antichi e dolorosi: straziamoci insieme.

Il cinema imposto dalle figure genitoriali

Parliamoci chiaro: venire trascinati al cinema da bambini, almeno fino a una certa età, è una palla abissale. Il dovere morale di portare tuo figlio a vedere l’ultimo film Disney dev’essere una disfunzione che ti circola nel sangue fin dall’aumento del progesterone in gravidanza – insieme al programma educativo vagamente asburgico “finisci quello che hai nel piatto perché in Africa i bambini muoiono di fame” (alzi la mano chi non si è sentito confuso in proposito: “beh, perfetto. Io sono a posto. Portiamo quello che rimane a loro, no?”).

Il cinema pomeridiano delle Immense Compagnie (cit. 883)

Sono passabilmente certa di aver visto i film peggiori della mia vita tra i 12 e i 15 anni: i maledetti anni d’oro del grande Real del Cinema Pomeridiano con le Immense Compagnie. Avevamo tutti libera uscita pomeridiana, con rientro entro l’ora di cena, e la sfruttavamo nel peggiore dei modi possibili: in coda al Cineplex. Niente di male, direte voi.

Beh. Niente di male finché non provate a trovare un punto d’incontro tra le teste di una dozzina di adolescenti sul Film Da Vedere. La scelta ricadeva sempre sul titolo più neutro e innocuo del cartellone, in genere una commedia romantica sciapa col superpotere di venire dimenticata già tra il primo e il secondo tempo. Non chiedetemi come.

Forse il periodo più buio della mia relazione col cinema.

Il tragico cinema di coppia

E poi, finalmente, vi innamorate. Lui o lei è meraviglioso/a. È così simpatico/a e intelligente. E, soprattutto, è un essere umano dell’altro sesso che vi trova affascinanti in una fase della vita in cui avete il sex-appeal di un paio di Hogan, e ne siete perfettamente consapevoli. Lui, o lei, vi porta al cinema. La paranoia è a livelli altissimi: nessuno dei due vuole fare brutta figura. La scelta ricade sul titolo più oscuro e indigesto, di qualche regista polacco misconosciuto che fa tanto intellettuale.

E il resto è storia. So di relazioni andate avanti anni, per disperazione, nella menzogna: nessuno dei due si azzarda a dire che La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca e si prosegue, mano nella mano, soffrendo in silenzio. Fino a che, pietosamente, la relazione non giunge al termine.

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La selezione accurata dei Compagni di cinema

Sembra la scelta migliore. Basta grandi compagnie, basta fidanzati poser: ah, sì, d’ora in avanti si cambia musica. “Al cinema da oggi in poi ci vado solo con pochi e fidati amici cinefili.”

Bella lee. Per qualche mese funziona. Ci si dà appuntamento in giorni prestabiliti (tendenzialmente quelli dei poveracci, quando il biglietto costa meno) e si spulcia con precisione certosina la proposta del cartellone alla ricerca di un titolo interessante ma godibile, o del raro Titolo Tanto Atteso.

Tempo un semestre ed è tutto finito a schifo. Se ci avete mai provato lo sapete anche voi. Le cause sono sempre le stesse: si esce litigando da qualche proiezione della discordia, tipo La grande bellezza, e non ci si rivede. Mai più.

Il cinema della maturità

Finalmente, l’illuminazione: il miglior compagno di sala di te stesso sei tu. Non ti serve l’insegnante di sostegno per comprare un biglietto del cinema e trovare la poltroncina. Ce la puoi fare. Sembra incredibile ma… puoi andare al cinema da solo.

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Ci provi. Scopri che è una figata. Ti senti tremendamente indipendente e felice. Passi una meravigliosa stagione invernale a cerchiare sul giornale gli spettacoli interessanti con lussuriosa soddisfazione, sorseggiando tisanine allo zenzero. Pensi di aver finalmente trovato il tuo Nirvana cinematografico, la dimensione relazionale perfetta: me, myself and I. Fino a che…

Un bel giorno ti accorgi che odi il doppiaggio

E non puoi farci niente. L’incanto si rompe. Nemmeno la sceltissima compagnia di te-stesso-e-basta può alleviare il dolore di quella scoperta: il doppiaggio ti fa cacà.

Fine di questa breve storia triste: il mio epilogo è che non metto quasi più piede al cinema, a meno che non proiettino in lingua originale (come, grazie a tutti i santi, succede di norma ai festival). E la sofferenza è acuta: nessuna proiezione domestica è giusta quanto quella in sala, non c’è da girarci tanto intorno.

Semplicemente, a ‘sto mondo cane uno non può mai essere felice.

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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