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Quel cinema che ci sta distruggendo l’infanzia (e come ci piace)

Hollywood ha dichiarato guerra al buon cinema puntando dritto al cuore: l’infanzia degli spettatori.


AVVISO: Probabilmente questo pezzo avrà un tono da Savonarola, ma visto che a me viene abbastanza naturale e che molti nemmeno sapranno chi diavolo è ‘sto Savonarola andiamo avanti fingendo che io questa frase non l’abbia nemmeno mai scritta.


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#NotMyAlbusDumbledore

È curioso notare come negli ultimi anni (un decennio almeno) ad Hollywood la crisi delle idee abbia raggiunto un apice tale da spingere i cineasti e i produttori a scervellarsi da mane a sera cercando sempre nuovi brand e franchise da rispolverare. Puntare su sceneggiature nuove, idee nuove, provando a rischiarsela non conviene più. Meglio puntare sull’usato sicuro. Il fenomeno è globale e si materializza in una serie infinita di sequel fuori tempo massimo, reboot, remake, riarrangiamenti, riammodernamenti, prequel, spin-off e chi più ne ha più ne metta.

Il fatto è proprio questo: parlando di blockbuster sono veramente finite le idee. Siamo alla frutta. Ad eccezione di qualche caso raro il mito del blockbuster pare ormai scaduto in un loop alquanto patetico fatto di riproposizione di nomi, ambienti, personaggi e franchise già noti al grande pubblico, ovviamente in modo da pararsi il derrière e garantirsi comunque degli incassi.

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Se ci fate caso negli ultimi anni sono uscite pochissime saghe nuove e di successo, che non avessero alcun legame con qualcosa di pregresso.

Pensateci: fin dai tempi del primo Transformers ai live action Disney, dal delirante King Arthur di Guy Ritchie, all’ancor più ignobile Robin Hood con Taron Egerton (personaggio già riproposto più degnamente da Ridley Scott nel 2010), passando per i vari Indipendence Day: Rigenerazione, La Mummia (2017) che faceva parte del folle progetto “Dark Universe” della Universal, Assassin’s Creed (dalla serie di videogiochi Ubisoft) una gigantesca macchina sta gettando fango e feci sulla nostra infanzia candida e innocente, distruggendo il nostro immaginario, i nostri mondi, i nostri porti sicuri nei quali potevamo rifugiarci quando la realtà era troppo brutta o troppo difficile.

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Little John e Robin Hood. Avete letto bene: Little John.

La cosa che più mi fa incazzare è la palesissima, dichiaratissima, esibitissima operazione nostalgia che c’è dietro queste uscite sgangherate, piene zeppe di mestieranti incapaci, CGI a manetta e case di produzione multimiliardarie che non la finiranno mai di ciucciare milioni da questi brand, queste vacche sempre gravide. Ma nonostante ciò (a parte rari casi) questi film fracassoni e senz’anima continuano a macinare incassi, sospinti dal vento della nostalgia degli spettatori, che non si accorgono del fatto che la loro infanzia viene trattata come mangiatoia per le grandi major.

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Chi ci rimette è, appunto, lo spettatore ingenuo, attirato (e fulminato) come le mosche dalla lampada ammazzainsetti. Sì, perché uno dopo l’altro questi film ignobili stanno facendo a pezzi la nostra infanzia, la stanno saccheggiando portandoci a scansare il cinema, già stomacati dall’ennesima operazione commerciale bieca e senz’anima che sta riducendo l’industria cinematografica a una perpetua violenza dei ricordi dello spettatore.

Saghe storiche come Indiana Jones e Jurassic Park stuprate e vituperate con obbrobri come Indiana Jones e il tempio del teschio di cristallo e Jurassic World (ma poi intanto Spielberg se ne frega, perché lui sulle operazioni nostalgia ci marcia, vedesi Ready Player One); film cult come Independence Day, Conan il barbaro e Atto di forza (Total Recall) violentati da sequel/remake schifosi come Indipendence Day: RigenerazioneConan the BarbarianTotal Recall – Atto di forza (geniale invertire titolo inglese con quello italiano); Mary Poppins, con tutto il suo carico di morale borghese, torna in vita nei panni di Emily Blunt, la Disney che, uno dopo l’altro, ci sta riproponendo i suoi classici coi quali siamo cresciuti in salsa live action, quasi sempre cannando in pieno.

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Discorso a parte meritano i cinecomics Marvel, perché se è vero che attingono da fumetti assai noti e sono stati preceduti da parecchie trasposizioni cinematografiche, non si può proprio accusare la Marvel di scarsa originalità o poca cura nel trattare i vari personaggi, le loro sovrapposizioni, né di aver puntato all’incasso facile senza troppi sbattimenti. Il MCU è certamente una delle più grandi imprese di marketing cinematografico della storia della Settima Arte, ma non lo si può proprio definire lo stupro di un’infanzia, semmai il contrario: gran parte del successo che sta avendo è dovuto proprio alla cura con la quale tratta i suoi supereroi e supervillain.

…i cinecomics Marvel, appunto, ma non quelli della DC Extended Universe, che ci hanno deliziato con perle di rara bruttezza come Man of Steel, Batman v Superman, Suicide Squad e Justice League.

Quando sento gente che critica la trilogia di Nolan e poi esalta Batman v Superman mi chiedo che malattie neuronali imperversino in questi periodi bui.

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Ma veniamo a quelle che a mio avviso sono le note più dolenti di questo viaggio nella sozzura: Harry Potter e Il Signore degli Anelli. Harry Potter e Il Signore degli Anelli hanno vissuto un destino cinematografico abbastanza simile: capostipiti del moderno fantasy sul grande schermo, saghe dal successo planetario, incassi galattici, veri e propri pilastri dell’infanzia di tanti di noi. Una trilogia per l’epopea di Tolkien, ben otto film per la super-saga di mamma Rowling.

Ma non basta.

La vacca ha ancora latte da mungere.

Dunque ecco che ci arrivano tra capo e collo la patetica trilogia de Lo Hobbit (che fa venire attacchi epilettici per quanta CGI contiene), la prossima serie tv Amazon che già mi fa tremare di paura, e la ancor più insulsa saga di Animali fantastici, l’avvincentissimo pseudo-biblium scritto dalla Rowling per beneficenza.

Per beneficenza.

5 film.

Partiti da un libro scritto per beneficenza.

“Che cacata è Animali fantastici!”

Alla fine di tutto un perché c’è, un grosso e crudele “perché?” che mi sento di rivolgere non tanto alle major, il loro perché è fin troppo palese, no, il mio “perché” è rivolto agli spettatori, che continuano a non capire, continuano a sciamare in sala, richiamati da un profumino di nostalgia, qualcosa che non li appagherà, ma li lascerà tristi e inconsolabili, in attesa del prossimo franchise della loro infanzia rovinato.

Perché?

Perché continuare a finanziare queste schifezze per poi lamentarsi sui social del cinema moderno?

Non me lo spiegherò mai.

Anche perché poi c’è chi va veramente oltre il normale schifo…

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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