
City of God: i brasiliani insegnano cinema ai gringos?
Il gangster movie è storicamente uno dei generi più rappresentativi del cinema a stelle e strisce. Tuttavia, secondo molti (americani compresi) uno dei più importanti film del genere non proverrebbe dagli Stati Uniti, ma dal Brasile.
City of God è un film del 2002 diretto da Fernando Meirelles e Kátia Lund che racconta, attraverso le storie di numerosi protagonisti, il degrado e la violenza inesorabile della favela brasiliana.
A causa del forte legame identitario coi paesaggi dell’est degli Stati Uniti e con il tema del sogno americano, in molti hanno sempre dubitato della capacità del gangster movie di poter essere trasposto e reinterpretato altrove, al pari dei film di arti marziali orientali o di Bollywood.
La comparsa dei primi gangster nel cinema comincia nella primissima parte del secolo scorso, ma vi è incertezza sul quale possa essere considerato il primo film in assoluto. Il genere vive il suo periodo di maggior popolarità e diffusione tra gli anni trenta e quaranta, interrompendosi fino agli anni settanta, quando viene rilanciato dai mostri sacri della New Hollywood.
Il Padrino, Mean Streets, Scarface, Quei bravi ragazzi… fino ad arrivare ai giorni nostri con The Irishman di Martin Scorsese, in uscita su Netflix nel 2019.
City of God, a prima vista, non ha nulla che ricordi neanche lontanamente né la New York dei Corleone né la Miami di Tony Montana. Il film è ambientato in una delle più grandi favela di Rio de Janeiro: Cidade de Deus che presta il nome al film.
Meirelles e Lund girano il film in stile documentario, alternando pellicola 35 e 16 mm, e accompagnando il tutto con un montaggio per quel periodo rivoluzionario (per non perderci in lunghissimi spiegoni, possiamo paragonare l’impatto del montaggio di City of God all’impatto che recentemente ha avuto l’animazione di Spider-Man: Into the Spider-Verse). L’obbiettivo: rendere tutto ancora più realistico e condurre lo spettatore nel centro dell’azione.
Al termine del film lo spettatore è ormai consapevole della realtà della favela e non può più tornare indietro, come rappresentato in una delle scene finali del film.
[SPOILER]
La telecamera segue uno dei protagonisti mentre abbandona finalmente la Cidade de Deus per poi, proseguendo il piano sequenza, voltarsi e focalizzarsi su un nuovo gruppo di giovanissimi gangster, riconducendoci all’interno della favela da cui capiamo non esserci praticamente alcuna via d’uscita.
“Combatti ma non sopravviverai. Corri ma non scapperai.”
Fu lo slogan che comparve sulle locandine all’uscita del film. Il riferimento è chiaramente alla violenza e alla criminalità. Tutti i protagonisti sono obbligati a convivere in questo clima e a fare i conti con esso. C’è chi è attratto dalla violenza e la userà a suo vantaggio, chi la rinnega e proverà inutilmente a fuggirne e chi la fronteggia e riuscirà miracolosamente a salvarsi.
City of God è questo, una storia di riscatto e di ricerca dell’identità che coinvolge più generazioni. Identità, ambizione, famiglia, sono questi i temi principali del film, così come lo sono in Scarface, Quei bravi ragazzi, o Il padrino.
La cieca avidità del personaggio di Zé Pequeno non è tanto diversa da quella di Jimmy Conway (Robert De Niro) in Quei bravi ragazzi. I numerosi conflitti in presunti legami fraterni non sono così dissimili da quelli all’interno della famiglia Corleone. La fallimentare ricerca d’identità di Bené non si distacca più di tanto da quella di Tony Montana.
Il genere non ha definizione rigida e tantomeno un’identità geografica. Esso si definisce sulla base dei temi, e il gangster movie, così come ogni genere, ha caratteristiche universali, come è evidente dal suo successo globale e (con orgoglio) dal successo dei gangster movie di casa nostra. È quindi per queste ragioni che City of God è senza dubbio uno dei più grandiosi gangster movie della storia del cinema.