Film

Come ti ammazzo il bodyguard contro la virtù dell’originalità

Metto le mani davanti: Come ti ammazzo il bodyguard è un film che consiglierei (se si è già visto Blade Runner 2049). Lo consiglierei perché effettivamente il regista Patrick Hughes ha capito che nel 2017 non possono funzionare film come Arma Letale o Die Hard, che sono sicuramente cult, ma si prendono troppo sul serio per un pubblico che ormai è abituato a ben altre cose. L’unico modo per contestualizzare un film d’azione in cui l’azione stessa è l’elemento centrale risulta, infatti, essere la commedia. E probabilmente se ne sarà reso conto dopo aver diretto quella dolorosa iniezione di testosterone di I mercenari 3.

Ma allora rivedresti Come ti ammazzo il bodyguard?

No.

Per carità, Come ti ammazzo il bodyguard è godibilissimo per chi va al cinema la domenica pomeriggio senza sapere cosa vedere e legge le caratteristiche delle varie pellicole in programmazione su quei fogli di carta stampati a caso vicino alla biglietteria (in cui spesso e volentieri le trame sono anche sbagliate, giuro, una volta lessi la trama di The Visit nel riquadro de Il viaggio di Arlo, vi lascio immaginare la delusione.), e la coppia di protagonisti funziona anche piuttosto bene: Ryan Reynolds ormai si trova a suo agio in ruoli del genere dopo Deadpool, e un personaggio così per Samuel L. Jackson non arrivava da The Hateful Eight. Ma qualcosa non funziona.

Saranno le scene d’azione, che, per quanto divertenti in alcuni punti, in altri sembravano un misto tra le sparatorie girate da Michael Mann e le corse clandestine di Grazie Padre Pio con Gigione, saranno le battute che sono caratterizzate da una volgarità ridondante e in alcuni momenti anche senza senso (tra l’altro la scena più divertente l’hanno inserita anche nel trailer, e parlo di quella in cui le suore cantano Bevilo Tutto, ed evito di dilungarmi.), ma dopo un po’ il film inizia a sapere troppo di già visto. Per le quasi di due ore di durata la mia sensazione è stata quella di quando ti arriva su facebook la richiesta d’amicizia di una ragazza carina, per poi accorgerti che il suo profilo è infestato da canzoni di Fabio Rovazzi e da musica neomelodica napoletana.

Questa locandina è una delle cose più divertenti del film

E la trama?

Bryce (Ryan Reynolds) recita nel ruolo di un bodyguard fallito dopo l’uccisione di un soggetto sensibile a lui assegnato, e per riottenere la sua reputazione deve riuscire a far arrivare vivo il criminale Kincaid (Samuel L. Jackson) al processo in cui testimonierà contro il cattivissimo e poco credibile ispettore Gord… Dukovich (Gary Oldman), in cambio della liberazione di sua moglie, interpretata da Salma Hayek. Ovviamente tutto si risolve nel modo in cui Michael Bay risolve i suoi problemi: con esplosioni multiple.

Devo dire che ho dovuto davvero ricredermi, la trama di Come ti ammazzo il bodyguard è interessante al pari di ascoltare la discografia di Toto Cutugno in loop per due giorni: insomma, ad alcuni potrà piacere, ma per me ha la stessa attrattiva che potrebbe avere un calcio nei cosiddetti.

Tutto sommato però era piuttosto prevedibile che la storyline sarebbe stato uno specchietto per le allodole, per questo non sento di doverlo classificare come un punto a sfavore del film, ma…

vorrei spendere due parole in più su due particolari che mi hanno turbato profondamente:

  • La fotografia: davvero, Come ti ammazzo il bodyguard, no. In alcuni momenti si intravede anche il fondotinta di Ryan Reynolds. Il direttore della fotografia sarà stato addestrato da Daredevil con cui condivide, probabilmente, la cecità, e non metto in dubbio le sue qualità da lottatore, ma in questo film i colori sono così privi di vita che in confronto Tempi moderni di Charlie Chaplin sembrava un film di Wes Anderson.
  • Il cazzo di titolo adattato in italiano: perché adattarsi agli americani giocando sulla somiglianza del titolo originale con il ben più famoso Bodyguard di Mick Jackson? No, meglio legare il film alla serie ideale di “Come ti…” (spaccio la famiglia; rovino le vacanze.) con cui non condivide assolutamente nulla! Un po’ come se qualcuno volesse portare nelle sale statunitensi un film su Pierino adattandolo col titolo The Dark Knight per portare più gente al cinema.
Questo è per la fotografia del film

In fin dei conti, però, in giro si vede davvero di peggio, e descrivere questo come film effettivamente brutto non sarebbe corretto, piuttosto lo definirei dimenticabile e, fondamentalmente, abbastanza inutile. E mi dispiace, perché speravo in qualcosa di più simile ad un 21 Jump Street, ma, come succede ormai spesso, le mie aspettative sono state deluse, in favore di una focalizzazione accentrata più su scene d’azione inutilmente megalomani che sul lato comico.

Vincenzo Di Maio

Nasce in quel di Napoli nel 1998 ma è rimasto ancora negli anni '80. Spesso pensa di esser stato un incidente ma i suoi genitori lo rassicurano: è stato molto peggio. Passa la totalità della sua giornata a guardare film e scrivere, ma ha anche altri interessi che ora non riesce a ricordare. Non lo invitate mai al cinema se non avete voglia di ascoltare un inevitabile sproloquio successivo, qualunque sia il film.
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