
Civiltà perduta: il nuovo cinema d’avventura
Alla scoperta della Civiltà perduta nella giungla amazzonica.
Civiltà perduta (The Lost City of Z) è un film dello scorso anno del quale, purtroppo, non ho sentito molto parlare. Prodotto da Brad Pitt in persona e diretto da James Gray, il film racconta le gesta reali dell’avventuriero britannico Percy Fawcett, prendendo spunto dal libro scritto da David Grann sulle imprese di questo antiquato Indiana Jones.
Siamo nel 1906 quando Percy Fawcett, militare eccelso, viene inviato dalla Royal Geographic Society in Bolivia, un’area al tempo quasi del tutto sconosciuta, per mappare l’Amazzonia, definendo i confini delle regioni sudamericane. Ben consapevole di partire per una missione di due anni, Fawcett decide di salutare la moglie Nina (Sienna Miller) e il figlio Jack e di partire all’avventura. Già da questa decisione percepiamo nel protagonista un animo fuori dal comune, affiancato da una donna altrettanto straordinaria: lui è mosso da una curiosità scientifica verso ciò che nessuno ha mai visto né scoperto prima, il tutto condotto con un’integrità ed un’etica molto lontana dai suoi tempi; lei, la sua compagna, asseconda e aiuta il marito nella sua ricerca, trovandosi sempre al suo fianco e pronta a riaccoglierlo tra le braccia.
Accompagnato da un manipolo di uomini coraggiosi e dal fidato Caporalo Henry Costin (Robert Pattinson), il suo più stretto aiutante nel compito di mappatura, Fawcett segue il Rio Grande e incuriosito dalle parole di un indio si sofferma sul ritrovamento di alcuni reperti archeologici, vasi e cocci, forse indizio di una civiltà sconosciuta. L’avventuriero farà ritorno a casa sano e salvo, ma tornerà altre volte nella sua amata giungla, in mezzo a quel fiume tanto pericoloso quanto affascinante, per cercare quella che lui chiama “la civiltà perduta di Z”, l’ultimo tassello della conoscenza umana.
Percy, interpretato da uno splendido e intenso Charlie Hunnam (potevano fargli levare la camicia, di tanto in tanto, eh), è chiaramente un uomo fuori dal suo tempo: c’è una sensibilità, una morale così alta in ogni sua azione e parola. In questo senso è memorabile la scena dell’incontro con la tribù di cannibali: chiunque avrebbe fatto ben altro che seguire gli indigeni nella foresta e sedersi con loro in una capanna, scambiando cibo e regali. Ma Fawcett, da vero esploratore e scienziato, ne riconosce la loro personale grandezza e si pone al loro stesso livello, preferendo la curiosità al pregiudizio.
Il finale, che comprende anche un momento di tenerezza famigliare con il figlio Jack (Tom Holland) è splendido dal punto di vista scenico, ed è una conclusione perfetta per la vita di un uomo dedicatosi all’avventura con tutto se stesso. Non spoilero nulla, ma dico solo che tutto ciò che viene raccontato è vero (tranne forse, chissà, la fine!) e ricostruito perfettamente dal giornalista Grann, che un bel giorno decise di seguire i passi di Percy proprio là nella giungla.
James Gray presenta, con Civiltà perduta, un film di avventura che si discosta dalle peripezie comiche alla Jones, pur essendo due figure simili, e si avvicina invece a una pellicola sentimentale, intesa come film “dei sentimenti”. Perché tanti sono i sentimenti che muovono Fawcett e sono sempre loro a spingere le sue decisioni: il cuore lo porta prima da Nina, poi in Amazzonia tra gli Indios e poi vicino al figlio Jack, con il quale compierà l’ultimo viaggio. È lungo, sì, più di due ore, ma non ci sono mai momenti morti e anzi, ogni avventura aggiunge un tassello affascinante e indispensabile per la comprensione della storia di questo uomo sbalorditivo.
Quello che ci rimane alla fine della visione, oltre che una fascinazione indicibile per la giungla, è la curiosità. Avrà trovato Fawcett la sua civiltà perduta?