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Clint Eastwood: un mito americano

Clint Eastwood ha quasi sempre la faccia incazzata. Che fosse in un western, un poliziesco o una commedia con un orango come comprimario (non scherzo, ne ha girate due!), nessuno gli toglieva quell’espressione dal volto. Diamine, a momenti teneva lo stesso viso imbronciato anche nelle scene d’amore con Meryl Streep in I ponti di Madison County! Forse ciò è dovuto alla sua infanzia difficile (nato nel 1930, in piena grande depressione) o al suo atteggiamento eversivo nei confronti della scuola e della società, che altro non gli ha causato se non anni di duri lavori manuali senza la minima prospettiva di carriera, interrotti da sporadiche apparizioni in film di bassa lega.

Dovete sapere che il giovane Clint non era minimamente interessato alla recitazione. Alle superiori era il più alto (e il più figo) della scuola e amava passare il tempo dando sfogo alle sue due principali passioni: il jazz e le ragazze. I guai arrivarono nel 1951, quando venne chiamato alla leva obbligatoria. Il nostro giovane eroe tentò di sfuggirle, cercando di farsi ammettere al college, ma fallì miseramente e venne arruolato. Ciò si sarebbe rivelata la sua più grande benedizione, dato che gli venne assegnato il compito di “bagnino” della piscina delle star hollywoodiane addette alla propaganda militare. In pratica, le sue abilità di nuotatore lo salvarono dal fronte e gli fecero stringere le prime conoscenze nel settore.

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Sedotto dall’idea di fare soldi facili grazie al suo bell’aspetto, Clint prese lezioni di recitazione e iniziò a fare brevi comparsate. Nel frattempo, nacque in lui la passione per il cinema e un certo interessamento per la regia. Il suo primo ruolo importante arrivò nel 1959 con la serie televisiva Rawhide. Da questo punto, tutto è in discesa per lui: arrivano proposte importanti e si lega artisticamente a Sergio Leone e a Don Siegel. Col primo girerà La trilogia del dollaro, mentre col secondo darà vita all’ispettore Callaghan e realizzerà il capolavoro Fuga da Alcatraz.

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Consapevole che per gli attori la fama è spesso passeggera, nel 1968 fonda la sua casa di produzione, la Malpaso, e nel 1971 debutta alla regia con Brivido nella notte. I primi film sono poco più che dei banchi di prova per Eastwood, che dimostra di riuscire a reggere il doppio ruolo di regista-attore senza soffrire peraltro dei differenti registri adottati da film a film (si passa dal thriller alla commedia, senza dimenticare il western).

Il primo grande successo di critica arriva alla quinta prova da regista, nel 1976, con Il texano dagli occhi di ghiaccio. Clint mette a frutto ciò che ha imparato sul set dei film di Leone e realizza un western politico giocato tutto sui lunghi silenzi del protagonista.

Nel 1980 esce Bronco Billy, film nel quale l’autore prende in giro proprio il tipo di personaggio che ha interpretato fino ad allora, rivelandone un inedito lato ironico. Una commedia dolce e divertente che vi invito a riscoprire.

Ma la vera svolta autoriale arriva due anni dopo, con quello che è uno dei suoi film migliori e più sottovalutati: Honkytonk Man. In questa storia di false speranze, Clint unisce la sua passione per la musica ai toni crepuscolari di un mondo nel quale arte e mercato sono ormai due concetti inconciliabili. L’odissea dell’artista moderno in un mondo che non gli appartiene.

 

Dopo Honkytonk Man, inizia la prima stagione d’oro dell’Eastwood regista: tra il 1985 e il 1992 gira film che mettono d’accordo critica e pubblico, arrivando fino al tanto agognato Oscar grazie a Gli spietati. Il cavaliere pallido (1985) è anche il suo primo film ad essere presentato in concorso a Cannes, festival al quale parteciperà come favorito 3 anni dopo con quello che ad oggi è considerato uno dei suoi film migliori: Bird (1988).

Ormai Clint si è liberato dell’immagine di attore mono espressivo. Ormai è un autore apprezzato dalla critica internazionale. Non stupisce quindi che anche Cacciatore bianco, cuore nero (1990) e Gli spietati (1992) facciano incetta di premi. Quest’ultimo in particolare colpisce nel profondo, dato che rivela lo sguardo maturo dell’autore sul genere che, pur avendo fatto la fortuna della sua carriera, non ha più senso di essere. Un western incredibilmente pessimista, del quale rimangono impressi nella mente lo sguardo sporco e stanco del protagonista e l’inquadratura finale al tramonto. Una prova che non ha lasciato indifferente l’Academy, che ha premiato il film con 4 Oscar (tra cui miglior film e miglior regista).

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Un anno dopo realizza un gran film ingiustamente finito nel dimenticatoio, Un mondo perfetto (1993), che il sottoscritto vi invita a riscoprire. Nella complicità che si instaura tra il ricercato Kevin Costner e il bambino da lui preso in ostaggio, Eastwood vede cinicamente la decadenza dei valori nella società moderna.

Clint non è più costretto ad economizzare tempi e risorse per girare i suoi film (abilità che apprese sul set di Rawhide). Ormai è ai vertici dello star system, una ribalta inusualmente tardiva (ai tempi aveva oltre sessant’anni). Ora può permettersi qualsiasi esperimento. E così, nella seconda metà degli anni ‘90, Eastwood si cimenta in generi a lui estranei: il riuscito melò I ponti di Madison County (1995), il thriller politico Potere assoluto (1996) e lo straniante giallo a sfondo filosofico Mezzanotte nel giardino del bene e del male (1997).

Tra lavori riusciti e altri meno convincenti, la seconda giovinezza artistica di Clint inizia nel 2003 con il capolavoro Mystic River. Storia di tre amici legati da un trauma del passato che ha ripercussioni ancora peggiori sul presente, vi invito a recuperare uno dei migliori film americani degli ultimi vent’anni.

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La consacrazione definitiva arriva con il film seguente, che gli varrà il secondo trionfo agli Oscar: Million Dollar Baby (2004). Non dico altro del film in questione, perché se non lo conoscete vuol dire che vivete sulla Luna. Gli segue il dittico Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima (2007). Girati in contemporanea, si tratta di due film di guerra, molto intimisti, che raccontano la battaglia di Iwo Jima da due punti di vista diversi.

L’anno dopo escono Changeling, con una bravissima Angelina Jolie nel ruolo di una madre alla ricerca del figlio, e Gran Torino, ennesimo capolavoro e film-testamento di un autore che nel bene e nel male ha rappresentato un lato dell’America. Quello repubblicano, fieramente patriottico, ma che in Gran Torino si vede costretto a rivalutarsi. La sua opera più personale, nella quale affronta il suo rapporto con Dio, coi demoni del passato e con la morte.

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Con Invictus (2009) e Hereafter (2010) si toccano temi già affrontati in Gran Torino, come il razzismo e la morte, ma non siamo ovviamente ai livelli di quest’ultimo. J. Edgar (2011) è un biopic sin troppo classico, senza nessun particolare guizzo.

Dopo questo mezzo passo falso, Clint si prende una pausa dalla regia. Partecipa come attore all’esordio alla regia del suo produttore Robert Lorenz e va a parlare con le sedie alle convention dei repubblicani. Nel 2014 sforna quelli che ad oggi sono i suoi ultimi due film, in attesa di Sully (2016). Due grandi film.

Di American Sniper se n’è parlato sin troppo. Per quanto mi riguarda, si tratta di un’operazione riuscita che condanna la guerra mostrandoci come le stesse pedine in gioco non sappiano il motivo per il quale combattono. Una cosa stupida che rimane in piedi perché la gente è stupida, detta in soldoni.

Preferisco chiudere l’articolo segnalandovi l’altro suo film del 2014, uscito pochi mesi prima di American Sniper e passato ingiustamente inosservato: Jersey Boys. Biopic decisamente più riuscito di J. Edgar, Eastwood ritorna al suo primo amore, la musica, e proprio attraverso di essa racconta le vite dei componenti della band Four Seasons. Ma qui riesce a trasformare il particolare in universale: tutti noi siamo i Four Seasons, con tutte le gioie, le delusioni, i rimpianti che ciò comporta. Uno sguardo affettuoso e malinconico, perché così è la vita. Prendere o lasciare.

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Mauro Paolino

Classe 1996, inizia a scrivere recensioni cinematografiche all'età di 15 anni. Appassionato di cinema, scrittura e storia dell'arte moderna, passa le sue giornate a guardare film, scrivere sceneggiature scadenti e coltivare la sua barba, nella falsa convinzione di sembrare un ragazzo intellettualmente impegnato.
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