Film

Cloud Atlas

Che Cloud Atlas non sia un film come tutti gli altri appare evidente dopo le primissime battute. Una storia multiplanare, che racconta di sei mondi in cui si barcamenano anime dannate, salvate, speranzose, rassegnate, anime che lottano per un ideale, anime che cercano di fregare il prossimo, anime; semplicemente anime.

Il montaggio serrato prende le parti del vecchio nonno visto in apertura, il vecchio nonno che – come i nostri – racconta le storie che più adoriamo e che avendo tanti nipoti non si limita a raccontarne una, ma le racconta tutte.

Questo film è un mosaico di personaggi, di storie che si intrecciano, che si toccano, a volte si mescolano, per un attimo brevissimo si avvinghiano per poi tornare a scindersi.

Non so se Cloud Atlas sia un capolavoro o solo un buon film, quello che so è che è un’opera intensa, un film che non ci si può non ricordare e non apprezzare anche solo per la suggestività della ricostruzione storica, distopica o futuristica.

I fratelli Wachowski e Tom Tykwer riprendono l’omonimo romanzo di David Mitchell – che l’autore stesso aveva definito “infilmabile” – ed erigono una struttura cinematografica imponente e suggestiva, lavorano alle “loro” storie con dedizione assoluta e riescono a renderci un messaggio che non è né banale né scontato.

Costeggiando il mondo della religione, senza nemmeno arrivare a toccarlo, i registi ci parlano della vita dopo la morte, di una reincarnazione le cui sorti sono affidate all’andamento della vita precedente.

I numerosissimi personaggi di Cloud Atlas sono tutti interpretati dagli stessi attori per un motivo preciso: si tratta sempre della stessa anima che trasmigra da un corpo all’altro, da un secolo all’altro, da un mondo all’altro e che vive sorti diverse, che compie scelte diverse e che si torce su sé stessa compiendo traiettorie irregolari e imprevedibili. L’assassino può diventare un eroe, chi non si schiera in una storia si schiererà in quella successiva, ognuno ha la possibilità di dare un segno al proprio destino.

Anche se all’apparenza la struttura filmica pare caotica, confusionaria o difficile da seguire, bisogna sottolineare come la grandissima abilità dei Wachowski e di Tykwer stia maggiormente in un montaggio talmente eccelso che riesce a connettere e a rendere compatto un film di circa tre ore, che non annoia, ma risulta coinvolgente e che riesce a farti affezionare a una moltitudine differente di protagonisti.

Questo film non è esente da pecche, come una colonna sonora che poteva essere meglio sfruttata, oppure un accostamento un po’ poco azzeccato di una scia (parola non a caso) narrativa che si dimostra dissonante spezzando l’andamento epico-drammatico delle altre.

Le interpretazioni degli attori sono un elemento aggiuntivo a quest’opera che non può non interessare e coinvolgere uno spettatore che, dopo un iniziale (brevissimo) momento di stordimento, ha il tempo di riannodare i fili del discorso e di riuscire a seguire le sei vicende collocate in frequenze temporali differenti, che procedono in simultanea. Questa è una tecnica adottata dai registi per mostrare varie ed eventuali assonanze tra le vicende, motivi ricorrenti, situazioni similari o speculari, frasi che valgono in un mondo come in un altro, personaggi che viaggiano su binari limitrofi, che paiono guardarsi dai reciproci finestrini senza mai potersi incontrare.

É proprio questo il gioco dei registi: analizzare le vite di questi diversi personaggi, il viaggio che hanno compiuto le loro anime, le cadute e le ascese, le scelte giuste e quelle sbagliate e dove esse le hanno condotte.

Questo film è stato immediatamente e immeritatamente stroncato dalla critica, che ne ha visto un prodotto troppo ambizioso, troppo pretenzioso, troppo magniloquente e decisamente troppo lungo.

Si può in effetti dire che il minutaggio non lo rende un film agevole, ma tre ore sono assolutamente necessarie per portare a termine un così ampio corpus di elementi narrativi, di storie che devono tutte attraccare in porto e per le quali è necessario spendere un po’ più di tempo.

Cloud Atlas è un film a mio avviso delicatissimo, che fa dei contatti labili tra i mondi paralleli il suo punto di forza e riesce a descrivere in modo potente e accattivante l’ impalpabilità, l’ironia del caso che mette due anime nello stesso posto, nello stesso momento, ma non le fa incontrare, le fa andare via ignare l’una dell’altra.

Questo film ricorda il vento, la casualità con la quale esso solleva e precipita e la sua forza impetuosa nell’essere un qualcosa di inarrestabile, di eterno.

Così le anime di Cloud Atlas vivono e respirano tra strette barriere che sembrano essere permeabili, come soggette a un osmosi di sensazioni, di echi che riverberano negli orecchi dei personaggi, di urla lontane, di pianti silenziosi. E ci porta a pensare come sia tutto un intreccio di presente e passato e di come le nostre azioni non si annullino, non si perdano, ma che di esse rimanga un’ eco che forse si perpetua nella Storia, che forse non sono solo la fama e la gloria che ci assicurano l’immortalità, ma anche il sopravvivere delle nostre azioni, il loro permeare la terra che calpestiamo e portare avanti il nostro messaggio.

Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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