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Cinque film per avvicinarsi alla Corea del Sud e al suo cinema

Parlare di cinema coreano – sudcoreano nella fattispecie – è una di quelle cose che fa drizzare i peli del corpo sia ai cinefili che ai miscredenti: ai primi per l’eccitazione, ai secondi per la paura. Ebbene vi dico, o popolo, non temete e non tremate: ci sono qua io e con me la Corea del Sud non sarà così spaventosa e distante. La Corea del Nord sì invece, scappate, non so come aiutarvi.

L’idea di base è proprio quella di presentarvi 5 film di portata enorme in quanto a qualità cinematografica, ma della nuova ondata della cinematografia sudcoreana, la quale si caratterizza – almeno per quanto riguarda i film della selezione – per una vicinanza a tratti netta al cinema europeo ed occidentale.

Ovviamente le cose strane da asiatici ci sono sempre, quindi il divertimento non mancherà.

ATTENTO AGLI SPOILER, BITCH


Il percorso di espiazione e rinascita: Lady Vendetta ( + bonus), di Park Chan-wook

corea del sud lady vendetta

Vi svelo subito cos’è il bonus. Il fatto è che questo film sta tranquillamente in piedi da solo, non è legato né a una continuity né a niente; tuttavia credo che abbia senso considerarlo nel contesto della trilogia della vendetta di Park Chan-Wook. Per chi non sapesse di che parlo, quest’ultima è appunto un ciclo di 3 film (Mr. Vendetta, Oldboy e Lady Vendetta appunto) in cui il regista si ripropone di sviscerare il tema della vendetta. Mai spiegazione fu così didascalica.

Torniamo a bomba su Lady Vendetta. Questo film è Park Chan-wook in cinema: fumettistico, surreale, con una costruzione narrativa astrusa, ma – sorprendentemente – con non troppo sangue, il che è rassicurante dopo aver visto Oldboy, ve lo assicuro.

Per quanto il sottoscritto ritenga che Oldboy sia l’indiscusso capolavoro del regista, forse Lady Vendetta è più “comodo” per avvicinarsi alla Corea del Sud. Le cose principali da notare sono l’incredibile performance della protagonista (Lee Young-ae), di ghiaccio ed estremamente affascinante, e l’assurda direzione di Park che sfrutta ogni mezzo che il cinema gli mette a disposizione per travalicare le regole narrative classiche e creare un’atmosfera perfetta per il tono del film. Altro elemento essenziale è la forte presenza dell’elemento cristiano nel film. Non disperate voi atei radical chic, si sbudellano comunque, senza nessun rispetto per Dio.

Esplorazioni narrative: In another country, di Hong Sang-soo

in another country

Questo film è molto interessante per i nostri scopi in quanto praticamente mette in cinema ciò che noi in questo momento stiamo facendo con le parole – le mie magnifiche parole: avvicinarci alla Corea del Sud. Infatti, sebbene tutti i film che andremo a scoprire sono ambientati in Corea del Sud, questo si struttura presentandoci una straniera (francese) che trascorre lì le vacanze. Quindi il film diventa una sorta di viaggio alla scoperta di questo paese lontano e delle analogie e differenze che lo contraddistinguono rispetto all’Occidente.

La peculiarità è che il film si snoda in 3 storie tenute insieme da una cornice: una ragazza che scrive una sceneggiatura. Nonostante ciò però esse non sono indipendenti l’una dall’altra (non è un film a episodi, per intenderci), ma anzi ripresentano sempre gli stessi personaggi (in primo luogo la protagonista, la bellissima Isabelle Huppert) con sovrapposizioni e scarti che ci portano a riflettere sullo statuto della narrazione.

Molto iconica, tra le altre cose, l’evidente citazione a Charlie Chaplin, col personaggio della Huppert che a fine film si allontana dalla cinepresa con una camminata che riecheggia molto da vicino quella di Charlot.

Scavo nel profondo della psiche e dell’anima: Madre, di Bong Joon-ho

madre corea del sud

Probabilmente avrete già sentito parlare di questo regista per Memories of murder o, soprattutto, per Snowpiercer, di produzione americana. Bene, qui il nostro caro Bong sta più sull’intimo con un film raramente così toccante.

La pellicola è quasi uno stand-alone della protagonista (femminile, di nuovo) che vaga alla ricerca della salvezza del figlio, ma che in realtà sta cercando la sua propria realizzazione e il suo senso nel mondo. Madre ha toni fortemente drammatici, talvolta quasi da melodramma, nei quali il regista dipinge la storia di un’anima che non trova mai la sua dimensione. E mi sembra ovvia a questo punto la conclusione tragica. E invece no, perché il finale è una delle cose più belle che vi capiterà mai di vedere.

Anche qui una protagonista femminile (Kim Hye-ja) immensa, che regge il film da sola con un’intensità e un vivere il personaggio da standing ovation. Aggiungeteci che, di sottecchi, Madre porta avanti un discorso critico e altamente indignato sulla società sudcoreana, nucleo narrativo attorno al quale si sviluppa il dramma individuale.

Il cinema di genere: Bittersweet life, di Kim Ji-woon

bittersweet life

Eccoci qua, siamo arrivati al cinema un po’ più ganzo, quello dove ci sono i super-cattivoni, le sparatorie, gli inseguimenti in macchina. Decisamente Kim, per stile e intenzioni, è il regista tra quelli finora citati che meglio si presta ad un cinema alla Hollywood. Ma fermi tutti, non c’è niente di dispregiativo in quanto sto dicendo. È vero che il regista si muove – con un’abilità straordinaria tra l’altro – tra i generi, ma questo per avere una struttura narrativa già solida che gli consenta di sperimentare maggiormente nello stile, nelle immagini e nella poetica, personalissima.

Nel caso di Bittersweet life siamo di fronte ad un noir in piena regola che ci presenta una Corea del Sud (Seoul, nella fattispecie) notturna, buia, cieca, sporca e infame, dove ogni delitto si compie impunito. O quasi.

Ma come vi dicevo, il genere non è fine a se stesso. Kim innesta una poetica sull’amore che buca il cuore e così facendo trasforma letteralmente un noir in un film d’amore mai consumato o vissuto. Questo non vuol dire che dalle pistole passiamo al sesso o al romanticismo, anche se sarebbe figo. Vuol dire che il film continua ad essere un noir, ma il sottotesto riflette appunto su un amore irrealizzabile.

Nel finale, per non farsi mancare nulla, c’è un palesissimo riferimento allo Scarface di De Palma. Se dico piscina e sangue?

La poesia come forma di vita: Poetry, di Lee Chang-dong

poetry corea del sud

Bisogna chiudere con stile, come si dice sempre. Io invece questa volta chiuderò col cuore, lo stesso che mi è stato rubato da questo film, come già vi raccontavo qui.

Che dire di Poetry se non che per quanto mi riguarda è il miglior film che sia mai stato fatto in Corea del Sud? Sarà anche questione di attitudine ragazzi, ma se prima dicevo che Madre è toccante, qui c’è da piangere cascate di lacrime.

Una pellicola delicata, leggera, ma che tratta temi scottantissimi e quanto mai attuali per la Corea del Sud, il tutto filtrato attraverso l’occhio e l’anima della poesia. Abbiamo anche questa volta una protagonista femminile (Yoon Jeong-hee), ancora una volta bravissima: siamo a 4 protagoniste su 5, il femminismo sta decisamente vincendo.

Se vi interessate di discipline umanistiche, o semplicemente siete affascinati o, perché no, innamorati della poesia, Poetry vi lascerà sconvolti. Perché è la miglior poesia cinematografica che potrete mai trovare.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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