Dal finale di 1993 ad oggi ho ascoltato i giudizi più contrastanti sulla serie Sky ideata da Stefano Accorsi. Come accaduto per 1992 e forse anche di più, su questa stagione si possono sentire le lodi più accese e le stroncature più efferate. E lo stesso accade quando si parla degli attori: Accorsi è per alcuni il miglior attore italiano, mentre per altri è il più sopravvalutato; Miriam Leone per alcuni è tanto brava quanto figa, mentre per altri e tanto figa quanto cagna. Solo su Guido Caprino (Pietro Bosco) e Tea Falco (Bibi) sembra che siano tutti d’accordo: idolo il primo, sciagura nazionale la seconda.
Stefano Ghiotto nella sua recensione ha espresso pareri positivi sulla serie, sottolineando però come, dopo un inizio col botto, lo show abbia un po’ tirato i remi in barca, fino ad arrivare ad un finale in cui i nodi di questa stagione sono venuti al pettine. E i dati auditel di 1993 sembrano dargli ragione: la serie, che aveva iniziato alla grande registrando un +7% rispetto alla prima puntata di 1992, ha progressivamente perso share scendendo fino a 400mila spettatori. Un risultato non proprio entusiasmante, tenendo conto dei numeri record ottenuti dai mammasantissima della rete come Gomorra e The Young Pope.
Personalmente trovo che 1993 non meriti le critiche che gli sono piovute addosso. I difetti ci sono, soprattutto in fase di sceneggiatura (colpa anche del numero ridotto di episodi che non ha permesso uno sviluppo più curato di alcune sottotrame), ma la serie riesce perfettamente nell’impresa non facile di restituire lo spirito e il clima di un periodo che ha cambiato per sempre la storia d’Italia. Rimane quindi un prodotto assolutamente necessario, coraggioso e meritevole di essere sostenuto e lodato, nonostante le sue saltuarie ingenuità.
Il maggior pregio di 1993 è quindi l’attenzione riservata alla ricostruzione storica degli avvenimenti, efficace soprattutto grazie ad una perfetta alchimia creatasi fra personaggi di fantasia e personaggi di spicco del palcoscenico politico di quel periodo. Da buon drogato di storia politica italiana quale sono, il finale di 1993 mi ha lasciato addosso una discreta carogna, e l’idea di dover aspettare due anni prima dell’uscita di 1994 è alquanto frustrante.
Ho deciso quindi di sfruttare quello che so sul 1994 per cercare di immaginare quale potrà essere il futuro dello show e dei suoi personaggi nella prossima stagione. Ed è grazie alla conoscenza degli avvenimenti storici di quell’anno che mi sento di affermare che 1994 ha tutto per diventare la migliore in assoluto dell’intera serie.
Perché il 1994 è stato un anno assolutamente incredibile, un anno di svolta che ha irrimediabilmente segnato l’anima stessa del nostro Paese. Un anno in cui la vittoria di Forza Italia è solo il primo di una serie di avvenimenti incredibili di cui l’Italia porta ancora cicatrici, se non addirittura le ferite sanguinanti.
No, non mi riferivo a Pasadena. Però che male.
Ve lo ricordate l’inizio di Narcos?
Il realismo magico è definito come ciò che accade quando una situazione realistica e molto dettagliata è sconvolta da qualcosa di impossibile da credere. E c’è una ragione per cui il realismo magico è nato in Colombia.
Il realismo magico sarà anche nato in Colombia, ma è in Italia che ha trovato il modo di esprimersi al massimo della sua grandezza.
P.s. da questo punto si rischiano SPOILER su 1993, uomo avvisato.
RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE
Quelli che si vogliono candidare si guardino dentro. Se saranno puliti, vadano avanti tranquilli. Ma chi sa di avere scheletri nell’armadio, vergogne del passato, apra l’armadio e si tiri da parte. Tiratevi da parte, dico io, prima che arriviamo noi.
Una frase che, riletta alla luce di ciò che accadde nel 1994, assume oggi un significato tristemente ironico. Chi parla è il Procuratore Francesco Saverio Borrelli, a capo del pool di Mani Pulite composto da Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo Gherardo Colombo, Ilda Bocassini, Armando Soataro e Francesco Greco, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 20 dicembre 1993. La stessa intervista è riproposta nella scena finale della settima puntata di 1993, che candida il personaggio di Borrelli, interpretato da Giuseppe Cederna, ad un ruolo da protagonista in 1994.
D’altronde non potrebbe essere altrimenti, visto che Borrelli è stato una figura centrale negli anni di Tangentopoli e in quelli che seguirono, quando divenne uno dei simboli della lotta per l’indipendenza della magistratura, minacciata prima da Berlusconi, poi dalla Bicamerale di D’Alema e infine dal secondo Governo Berlusconi, proscenio dei processi al Cavaliere e delle famigerate leggi ad personam.
Ora che gli archi narrativi di Beatrice “Bibi” Mainaghi e di Luca Pastore sono stati definitivamente chiusi, 1994 avrà tutto il tempo per concentrarsi su quello che davvero interessa al pubblico: la discesa in campo di Silvio Berlusconi e l’inizio della sua guerra alla magistratura. Di conseguenza, è lecito aspettarsi che Berlusconi, Borrelli e il pool di Mani Pulite, fino ad ora rimasti quasi sullo sfondo della vicenda, assumeranno un ruolo da assoluti protagonisti.
Ovviamente Leonardo Notte sarà ancora uno dei personaggi principali della serie (il finale alla Twin Peaks non credo possa ingannare seriamente qualcuno). C’è solo da chiedersi: siederà nuovamente a fianco di Berlusconi, o entrerà davvero nei ranghi della sinistra di Massimo D’Alema? Sicuramente il futuro leader del PDS avrà un ruolo più corposo in 1994 (che altrimenti non aveva molto senso chiamare uno come Vinicio Marchioni ad interpretarlo, tra l’altro alla grande), ma se dovessi scommettere punterei ancora su un’alleanza fra il Cavaliere e Leonardo (il personaggio è liberamente ispirato ad Ezio Cartotto, il dipendente di Publitalia incaricato da Dell’Utri di lavorare all'”Operazione Botticelli“, cioè alle indagini necessarie alla nascita di Forza Italia).
Dicevamo della discesa in campo: 1994 non potrà che passare dal 26 gennaio, giorno in cui il Cavaliere con un celebre videomessaggio di nove minuti annuncia agli italiani la sua candidatura.
Le settimane che verranno saranno però tutt’altro che tranquille per Berlusconi: da diverso tempo ormai il pool di Milano sta stringendo il cerchio intorno agli affari di Fininvest e dei suoi dirigenti, molti dei quali indagati o rinviato a giudizio. Il pm Colombo e la sua squadra arrivano ad una svolta anche nell’inchiesta aperta da mesi sui bilanci di Publitalia, grazie alla scoperta di fatture false e gonfiate per miliardi di fondi neri. Ed è pure venuto fuori che per un certo periodo di tempo Berlusconi è stato, oltre che il Presidente del Milan, anche il proprietario occulto del Torino (il “caso Lentini”).
Nonostante tutto, Berlusconi appare agli italiani come appare una bella figa ventenne agli occhi di un cinquantenne divorziato, e così Il Polo delle libertà e del Buon Governo riesce a vincere le elezioni del 27 marzo contro l’Alleanza dei progressisti di Achille Occhetto. La dodicesima legislatura comporta un vero e proprio rinnovamento della classe politica italiana: il 70% degli eletti entra in Parlamento per la prima volta. La Democrazia Cristiana non esiste più, mentre il PSI è ormai in condizioni cadaveriche (verrà sciolto il 12 novembre). Bettino Craxi è rimasto tagliato fuori dal Parlamento, visto che nessuno ha avuto il coraggio di candidarlo. Perfino il suo vecchio amico Berlusconi ormai lo tratta come un appestato. Il vecchio leader socialista si ritrova così improvvisamente nudo davanti alla legge, senza possibilità di poter invocare l’immunità parlamentare. Per sfuggire alle manette, il 5 maggio Craxi si trasferisce/fugge definitivamente ad Hammamet, dove morirà da criminale latitante il 19 gennaio 2000.
Nell’ottica della serie, interessante vedere Veronica Castello e Pietro Bosco seduti fra i seggi della medesima maggioranza, nonostante la Lega rappresenterà fin da subito una spina nel fianco per la stabilità del Governo.
Il Berlusconi che entra a Palazzo Chigi per la prima volta non è ancora il mangia magistrati comunisti che abbiamo imparato a conoscere nel corso del tempo. Mani Pulite va ancora forte fra l’elettorato, e lo stesso Cavaliere è ben consapevole che Di Pietro vanta ancora una popolarità irraggiungibile per chiunque. Ecco allora che, nella speranza di cavalcare il sostegno della cittadinanza al pool di Milano, Berlusconi arriva ad offrire a Davigo il Ministero della Giustizia, prontamente rifiutato dal magistrato.
Ma il chiodo fisso di Berlusconi è solo uno: arruolare Di Pietro. Così, dopo averlo invitato ad un incontro privato, il premier offre al pm simbolo di Mani Pulite il Ministero degli Interni. Una scena che ha tutta l’aria di poter diventare un confronto esplosivo fra Antonio Gerardi e Paolo Pierobon (che in questa stagione si è dimostrato un eccellente Berlusconi) e che spero sarà sfruttata come si deve.
Di Pietro rifiuta l’offerta del Premier, torna al suo lavoro e, caso vuoi, si imbatte in un’inchiesta che punta dritta dritta al Presidente del Consiglio: lo scandalo delle Fiamme gialle, o meglio, delle “fiamme sporche“, travolge la Guardia di Finanza, inguaiando anche la Fininvest, accusata di aver pagato fior di tangenti per ammorbidire i finanzieri incaricati di indagare sulle quote azionarie di Telepiù (rete di cui si sospetta che il Cavaliere detenga illegalmente la maggioranza schermandosi dietro dei prestanome).
Chissà se ci sarà spazio anche per un giovane Mentana ante blasting
Il Governo vara così in tutta fretta il famigerato decreto Biondi, ribattezzato “decreto Salvaladri“, approvato il 13 luglio approfittando della distrazione causata da Italia-Bulgaria, semifinale dei Mondiali negli Stati Uniti. Detta in breve, il decreto vieta l’uso della carcerazione preventiva per tutti i reati finanziari, cioè quelli di Tangentopoli: niente manette per concussione, corruzione, peculato, finanziamento illecito, falso in bilancio e tanta altra bella roba. In pratica il privato cittadino che minaccia una persona per costringerla a pagare finisce in galera, mentre se lo fa un pubblico ufficiale al massimo rischia i domiciliari.
Il decreto provoca l’immediata scarcerazione di decine e decine di finanzieri corrotti appena arrestati, tanto che il pool di Milano decide di prendere posizione (contro il volere di Borrelli): il 14 luglio Di Pietro, affiancato da Colombo, Davigo e gli altri membri del pool, legge davanti alle telecamere un comunicato in cui si critica il decreto Biondi.
Il Paese intero si solleva contro il decreto. La stessa Lega Nord, fin dal primo momento in rapporti burrascosi con il Premier, si schiera contro la legge, paventando addirittura l’ipotesi di far cadere il Governo uscendo dalla maggioranza. Nel tentativo di salvare il salvabile, sarà lo stesso Berlusconi a tentare di dissociarsi dal suo stesso decreto, scaricando tutta la responsabilità sul Ministro Biondi. Alla fine il Cavaliere dovrà rassegnarsi alla sconfitta, e il 19 luglio il Governo farà bocciare il decreto dalla sua maggioranza.
Ma sarà solo a novembre che i rapporti fra Berlusconi e la Magistratura arriveranno ad un definitivo punto di rottura.
IL PREMIER SOTTO INDAGINE
Dopo mesi e mesi di indagini, il pool di Milano ha trovato le prove per poter iscrivere Silvio Berlusconi nel registro degli indagati. Il 21 novembre Berlusconi si trova a Napoli per un vertice dell’Onu sulla criminalità internazionale quando viene raggiunto dalla notizia che Procura di Milano lo ha convocato a comparire in veste di indagato per “concorso in corruzione continuata” della Guardia di Finanza.
Sarà l’inizio della cantilena sulla giustizia ad orologeria, sull’uso politico dell’azione penale, sulla magistratura politicizzata e robe del genere. Il Governo, dopo aver attaccato il pool per mezzo stampa, avvierà un’ispezione approfondita presso la Procura di Milano: in pratica gli ispettori mandati dal Governo Berlusconi avranno l’incarico di setacciare e indagare sui fascicoli e sulle operazioni dei magistrati che stanno indagando su Berlusconi.
Borrelli protesterà vivamente contro quel sopruso, motivato essenzialmente sulla base di denunce anonime, e scriverà al procuratore generale Catelani di un’ispezione “senza precedenti in tutta la storia giudiziaria italiana, Ventennio compreso”, fondata su “informazioni e possibili lagnanze di persone inquisite”. Le proteste non serviranno a nulla, e Borrelli verrà poi a sapere che era stato lo stesso Catelani, che non aveva mai visto di buon occhio l’operato del pool, ad esortare Biondi affinché aprisse l’inchiesta su Mani Pulite.
All’ispezione di Biondi si aggiunge anche una controversa decisione della Cassazione che toglie al pool un’importante inchiesta relativa alla corruzione di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza, che da Milano viene trasferita a Brescia. Una decisione che insigni giuristi ritengono come giuridicamente infondata e priva di precedenti. Sono segnali che mostrano come l’aria attorno a Mani Pulite sia ormai cambiata, e che da ora in avanti sarà il pool di Milano a dover resistere e incassare.
L’ispezione e la decisione della Cassazione non faranno che abbattere ulteriormente il morale di Di Pietro, che già da mesi confida ai suoi amici più stretti di essere stanco e logorato dall’inchiesta. La vittoria alle elezioni di Berlusconi è stata un segnale per il mondo dell’imprenditoria, che ha smesso di collaborare con il pool di Milano. “Mani Pulite – dice il pm – è stato un mulino alimentato da un grande fiume d’acqua, ma quel fiume è stato via via prosciugato.”
Arriva alla fine il 13 dicembre, giorno in cui Silvio Berlusconi si presenta davanti al pool per l’interrogatorio. Il premier però non trova ad attenderlo Antonio Di Pietro, in quanto il pm si è dimesso dal pool esattamente una settimana prima.
LE DIMISSIONI DI DI PIETRO E LA CADUTA DEL GOVERNO
Le motivazioni che spinsero Di Pietro ad abbandonare la magistratura sono da ricercare nelle ultime settimane del 1994. Di Pietro ha affermato che aveva già in mente da tempo di lasciare il pool di Mani Pulite alla fine dell’anno, ma che poi l’inchiesta sulla Guardia di Finanza e la scoperta delle prove che coinvolgevano Berlusconi lo avevano portato a rinviare la decisione. Tuttavia, dopo l’invito a comparire recapitato al Premier, la vita del magistrato non sarebbe stata più la stessa.
Perseguitato già da tempo dalle minacce di morte della Falange armata, Di Pietro viene sommerso da una serie di dossier raccolti da uomini vicini a Berlusconi (principalmente dal fratello Paolo e dal fedele avvocato Previti) al fine di mettere in cattiva luce il magistrato più famoso di Mani Pulite. Sergio Cusani presenta la prima delle sue molte denunce ai danni di Di Pietro, che negli anni seguenti sarà sottoposto ad una serie di inchieste della Procura di Brescia (che termineranno tutte con un’archiviazione).
A minare la tranquillità di Di Pietro è principalmente il dossier Gorrini, che avrebbe portato alla divulgazione non tanto di reati, quanto di sventatezze passate commesse dal pm ai tempi in cui vestiva i panni del poliziotto, che avrebbero potuto scalfire l’immagine di Mani Pulite, soprattutto grazie all’immenso potere mediatico di cui poteva disporre il Governo. Di Pietro, diventato ormai un bersaglio, decide così di lasciare l’inchiesta per potersi difendere privatamente, senza rischiare di infangare il lavoro fatto nel pool dal 1992 fino a quel momento.
Il Cavaliere però non ha tempo di esultare per le dimissioni di Di Pietro, perché nel giro di una ventina di giorni anche lui dovrà rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio, dopo che Bossi gli toglierà la fiducia sulla riforma delle pensioni facendo uscire la Lega dalla maggioranza (che di fatto non esisteva più da almeno un mese, minata anche dalle disastrose amministrative del 20 novembre che avevano dimostrato il crollo di Forza Italia, superata quasi ovunque da Alleanza Nazionale).
Berlusconi nel 2001 sarà assolto in Cassazione dall’inchiesta aperta dal pool sulle tangenti alla Guardia di Finanza, e in una lettere al Corriere della Sera il Cavaliere, diventato nuovamente premier, accuserà i magistrati milanesi di aver causato la caduta del suo primo Governo, il cosiddetto “ribaltone”. La stessa accusa assumerà le vesti di una denuncia formale contro il pool per “attentato a organo costituzionale“, ma il processo darà torto al Presidente del Consiglio, arrivando alla conclusione che non fu certo l’invito a comparire del 21 novembre a provocare la crisi di Governo.
Al contrario, quella data sarà invece l’inizio della fine della carriera in magistratura di Di Pietro, che si toglierà definitivamente la toga nel 1995, avviando di lì a due anni la sua carriera politica, prima come Ministro dei lavori pubblici nel primo Governo Prodi e poi come fondatore de L’Italia dei Valori, col quale rimarrà in Parlamento fino alle elezioni del 2013.
Insomma, avete capito quanta carne c’è al fuoco per 1994?