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Cosa ne sarà del “mockumentary”? – Dio benedica “Feral”!

PREMESSA DOVEROSA

Feral è un film che ho avuto il gran piacere di vedere al Nightmare Film Festival di Ravenna. Un po’ tardivamente ora ve ne farò due parole, ma ciononostante non ho alcun problema a dire che il film di André Kaiser è uno dei migliori spettacoli visti in quelle giornate di festival.

Ma, avrete notato, questa non è una recensione. È un focus. E su cosa? Diciamo che il contesto mi sembrava più che ottimo per fare un paio di considerazioni anche sul (sotto)genere di Feral. Il Falso documentario.

Un piccolo, ma, diciamocelo, doveroso discorso su questo filone, che, peggio delle tasse, torna costantemente a tormentarci.

IL FALSO DOCUMENTARIO: UN’OPPORTUNITÀ COSTANTEMENTE IGNORATA

Cosa c’è di peggio di un brutto horror senza il becco di un’idea? Un falso documentario (mockumentary). Questo genere di film è forse il più vicino ad un peccato capitale cinematografico.

In questo sterile periodo produttivo, per non dare al pubblico la sensazione di star vedendo una storia di paura banale e ripetitiva, non c’è nulla di più comodo che confezionare un film che risulti basato su “fatti realmente accaduti”. E quale modo migliore di creare questa illusione se non con un montaggio di riprese amatoriali ritrovate (found footage)?

“Ma che bella! L’hai scritta tutta da solo sta scemenza?”

Un espediente davvero vecchio come il cucco. Se poi consideriamo la provenienza letteraria del testo ritrovato e riaccomodato, l’origine rischia di perdersi nei tortuosi corridoi della Storia della letteratura.

Non biasimiamo certo l’utilizzo di questa soluzione, che è sempre divertente e stimolante usare. Biasimiamo l’accontentarsi di questa idea rinunciando a tutte le altre che ne potrebbero derivare.

“Cos’è questa storia del found footage?”

Gli autori di questi noiosi e ripetitivi film sembrano dimenticare che in una storia d’orrore, mentre viene costruito un mondo e una base narrativa, tutto è concesso. Questo è uno dei generi più fantasiosi immaginabili.

Scuotere il Cinema è forse la cosa più divertente e interessante da fare con esso. Tirando in ballo il mezzo principale, ovvero la camera, questa cosa risulta più facile. E se c’è un contesto perfetto per creare questo straniamento è l’Horror. Veniamo strappati dalla nostra confortevole condizione di guardoni e veniamo messi in una condizione di disagio, perché ci sentiamo tirati in ballo.

Questo in particolare per tenere conto dell’identità del cameraman (a tutti gli effetti un corrispettivo cinematografico del narratore). La letteratura questo lo ha capito. Basti pensare al capolavoro L’assassinio di Roger Ackroyd o al Dracula di Bram Stocker.

Ma se normalmente il Cinema adotta queste idee limitandosi ad applicarle alla scrittura dell’intreccio e dei caratteri, basti pensare a classici come Quarto Potere o J. Edgar, il found footage offre la possibilità di andare alla radice. Al mezzo di ripresa.

E se il cameraman avesse dei superpoteri? – “Chronicle” (2012)

Quello che la camera normalmente impressiona è il punto di vista costruito per noi spettatori. Sulla natura precisa di questo punto di vista esistono fior di ricerche, saggi e carriere (vedi La finestra sul cortile).

Pensate a cosa voglia dire sostituire questo punto di vista con un altro. Il Cinema questo ci permette già di farlo, con una ripresa chiamata soggettiva. E con l’Horror questa ripresa funziona a meraviglia.

Pensiamo a Bava e Argento con la loro prospettiva dell’assassino, che poi Raimi trasforma nella prospettiva frenetica e ultraterrena del mostro di Evil Dead.

https://www.youtube.com/watch?v=QyyM49Gwx-Y

Persino Luchetti ha compreso il potenziale surreale che può avere una ripresa soggettiva con il cult La Scuola, in particolare con la deliziosa ripresa volante finale di Cardini, lo studente-mosca.

Come vedete, appena smoviamo qualcosa in questo meraviglioso meccanismo rodato, mille idee e riflessioni vengono subito fuori.

Possibilità infinite, svilite per seguire una moda o per usare una situazione fotocopiata da mille altre.

Se poi consideriamo che questo copione visto e ri-visto è interpretato sempre con poco impegno e svogliatezza, sembra davvero complesso salvare questi film in qualche modo.

Ma in fin dei conti non chiediamo la sceneggiatura perfetta o un cast stellare. Solo una storia che sia quantomeno decorosa a sufficienza per giustificare il modo orripilante in cui è stata girata.

Un film non bellissimo, ma cult, come The Blair Witch Project lo aveva fatto, così come Balaguerò e Plaza con i due capolavori REC e REC 2. Girati normalmente quei film avrebbero perso la loro componente più originale.

Non chiediamo molto. Ed ecco perché possiamo dirci più che soddisfatti di Feral di André Kaiser.

LA NOSTRA RECENSIONE DI FERAL: LA SEMPLICITÀ A VOLTE PAGA

Feral narra di un’inchiesta giornalistica. Un incendio distrugge una casa in mezzo alle montagne, all’interno della quale vengono ritrovati i corpi di tre bambini. Partendo da questo fatto di cronaca, gli autori cercano di indagarne i retroscena. Ai nostri non rimane altro da fare che scoprire di più sul padrone della casa: un sacerdote ridotto allo stato laicale. Le loro ricerche li porteranno a scoprire gli studi condotti dall’uomo sui cosiddetti bambini selvaggi e i suoi tentativi di educazione civile e, soprattutto, religiosa.

Nel titolo abbiamo accennato alla semplicità che a volte paga. A cosa ci riferiamo?

C’è una domanda che si pongono spesso gli spettatori di un falso documentario a base di found footages: “Per quale ragione il cameraman sta riprendendo un evento spiacevole, o comunque grottesco, invece di fare qualsiasi altra cosa di più utile o comunque verosimile?

Ne abbiamo accennato anche prima: si tratta di dare un senso alla forma del film. Alcuni ce la fanno, vedi la saga spagnola di REC, altri danno delle risposte a dir poco demenziali (quando le danno).

Qui la ragione è semplicissima. Feral è costruito come un documentario classico. I contributi sono vari: interviste, fotografie d’epoca, filmati di repertorio, filmati sul posto fatti dalla troupe. Come s’inserisce il found footage in tutto questo?

Con i filmati fatti dall’uomo per documentare i progressi delle sue ricerche. Questi si riveleranno un tassello fondamentale per comprendere le dinamiche del fattaccio.

Semplice, ma efficace.

I filmati del sacerdote, i dialoghi, l’ottimo modo in cui vengono interpretati, le riprese della troupe, gli ambienti, la messinscena, le ricostruzioni. Ogni singola cosa concorre a creare quell’alone di realtà e credibilità che tutti i mockumentary cercano sempre di ottenere.

Quindi, buona recitazione, attori e location ben scelte, base solida. Sembrerebbe sufficiente già questo per far guadagnare punti al nostro Feral. Ed è vero, ma c’è un’altra cartuccia che il film ha a disposizione per battere la concorrenza.

Perché, al contrario di molti suoi “colleghi” del filone mockumentary, Feral ha anche una bella trama.

Partendo da alcune suggestioni del capolavoro di Truffaut Il ragazzo selvaggio, e più in generale dai racconti di ragazzi cresciuti allo stato brado, come fu il caso di Victor de Aveyron, viene raccontato il lavoro pedagogico di questo sacerdote e il suo profondo rapporto con la religione e la spiritualità.

Nonostante qualche svolta non proprio perfetta (e un finale un po’ sottotono), la vicenda è molto intrigante. Questo lo si deve soprattutto al suo vero protagonista. Il sacerdote. Questo personaggio è complesso, non è possibile curcirgli addosso un’etichetta morale. Il suo cuore e il suo animo sono straziati e tormentati da terrificanti esperienze e dubbi spirituali. Un uomo che aspira a percorrere il suo cammino di fede e, usandola come un faro, punta sempre a fare il bene.

Al contrario del film di Truffaut, dove è un dottore ad incontrare un selvaggio ed a tentare di applicare su di lui le teorie pedagogiche del tempo, qui ad agire è un sacerdote. Fosse anche solo per questo cambiamento, il percorso dei personaggi si rivela più tortuoso e insidioso. E le domande poste alla telecamera saranno di vario tipo. Si andrà dal chiedersi cosa fare per superare gli ostacoli del percorso pedagogico a vere e proprie domande sulla propria missione spirituale.

La superstizione e i pregiudizi dei paesani, i dogmi religiosi, soprattutto i comandamenti, si frappongono come ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo e minano la serenità di questo piccolo nucleo.

Ovviamente non possiamo aggiungere altro per non rovinare ulteriormente l’esperienza. Sappiate solo che questa storia vuole porvi delle domande senza necessariamente condannare la fede. Piuttosto preferisce mettere in seria difficoltà i suoi dogmi e il modo in cui bloccano la comprensione o l’umanità, soprattutto di fronte all’innocenza di un bambino selvaggio la cui unica colpa è seguire l’istinto.

In conclusione…

Ci sono molte vie per rendere giustizia a questo sottogenere bistrattato. Feral ne sceglie una semplice e sicura per concentrarsi sulla trama e i personaggi.

In fin dei conti, come già detto nella parte precedente, noi non chiediamo molto. Chiediamo solo che ci sia garantita una media di prodotti decorosi, per poi magari sperimentare.

Feral ci regala un risultato più che decoroso, con una buona trama, una buona recitazione e delle solide basi.

E questo lo fanno molti altri film. Come anche l’italiano The Gerber syndrome (visione particolarmente a tema in questo periodo segnato dal Covid…).

A volte basta poco per ottenere un buon risultato. Basterebbe solo stare un po’ più a lungo su quel tavolo prima di dichiarare conclusa una sceneggiatura.

E magari un po’ d’amore e rispetto per l’illustre genere dell’horror.

Segnatelo, Hollywood.

Marco Moroni

Nato nel maggio del 1995 a Terni, città dell'acciaio e di san Valentino. Dovete sapere che vicino alla mia città si erge, spettrale, un complesso di capannoni abbandonati. Quando eravamo bambini ci veniva detto che quelli erano luoghi meravigliosi, in cui venivano realizzati film come "La vita è bella" o "Pinocchio". Questo fatto ci emozionava e ci faceva sognare una Hollywood vicino casa nostra. Come il castello transilvano di Dracula, tutti cercano di ignorare quei ruderi ma, ciononostante, tutti sanno benissimo cosa siano e non passa giorno senza che si continui a sognare quel Cinema che nasceva a casa nostra. Chiedendomi cosa mi faccia amare tanto la settima arte, e perché mi emozioni così tanto al solo pensiero, potrei rispondermi in molti modi, ma sono sicuro che quel sogno di tanti anni fa abbia un ruolo più che essenziale.
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