
Coyote Ugly, quando un bancone ti cambia la vita
Le ragazze del Coyote Ugly è uscito nel 2000. All’epoca io avevo dodici anni e ricordo che, quando lo vidi, rimasi a dir poco entusisasta. Ero convinto con tutto me stesso che questa commedia sarebbe entrata stabilmente nel novero dei miei film preferiti di ogni tempo. Qualche tempo fa ho notato che un canale satellitare aveva piazzato Coyote Ugly (questo il titolo originale) in prima serata. Mi sono ritrovato a pensare a quei giorni ormai lontani un po’ nostalgicamente e mi sono anche reso conto che, in realtà, non ricordavo quasi nulla del film. Solo due le cose che sopravvivevano nella mia testa: la colonna sonora spettacolare e la quantità elevatissima di culi femminili costretti all’interno di pantaloni attillatissimi. Facile immaginare il perché di tanto entusiasmo da parte del me stesso pre-adolescente del 2000. Però, magari, Coyote Ugly non è solo questo. Magari, c’è qualcosa di buono che ora – a 27 anni – posso apprezzare, al di là delle comunque graditissime terga del gentil sesso. Ho deciso allora di riguardarmelo e questa recensione è il risultato.
Due parole sulla trama. Violet è una musicista e autrice di testi che sogna di sfondare nel mercato discografico. Il problema è che viene dalla “provincia” e – si sa – se si vuole veramente fare successo, bisogna trasferirsi in una grande città, nello specifico New York. Violet arriva nella Grande Mela piena di speranze, ma le difficoltà non tardano ad arrivare. Le major la snobbano, nessuno è realmente interessato a comprare i pezzi di una Signora Nessuno venuta da chissà dove. Se vuole avere uno straccio di speranza, Violet deve farsi la gavetta, cantando lei stessa i suoi pezzi in giro per locali. Questo è un bel problema, perché la protagonista ha il terrore del palcoscenico. Quando si trova di fronte a un pubblico si blocca e proprio per questo desidera fare carriera soltanto come autrice. Le serate vanno male e il morale della ragazza si fa sempre più basso, ma ancora non è disposta a tornare a casa con la coda tra le gambe. Ci vuole un lavoretto per sbarcare il lunario nell’attesa di una buona occasione. La soluzione arriva quando Violet si imbatte nel Coyote Ugly. Si tratta di un locale notturno per uomini dove si ascolta buona musica, si tracanna alcol ma soprattutto ci si intrattiene in compagnia delle disinibite dipendenti. La protagonista sembra inizialmente inadatta a un impiego al Coyote, ma dopo qualche tempo riesce a vincere le sue timidezze e a sopravvivere a contatto con le personalità forti delle colleghe. L’esperienza cambierà Violet.
Il film riesce a tracciare in maniera convincente il percorso di crescita della bella cantautrice, interpretata da Piper Perabo, e suscita nello spettatore alcune riflessioni interessanti sulle contraddizioni della nostra società, quando si trova di fronte a una donna che usa il proprio corpo e la propria sensualità in maniera disinvolta. Al Coyote, Violet supera le proprie insicurezze, valorizza la propria bellezza e, soprattutto, fa solo quello che la fa sentire a suo agio, nessuno la costringe a spingersi dove non desidera. Dopo aver conosciuto il locale, la ragazza è decisamente una persona migliore, più matura e consapevole di sé. Eppure, oltre alla prevedibile gelosia del suo ragazzo, deve sopportare anche un padre che si vergogna della figlia perché – udite, udite – a lavoro osa indossare una t-shirt bagnata. Naturalmente, non viene neppure preso in considerazione il fatto che a Violet piaccia quello che fa, è una povera ragazza di periferia e come tale va protetta, anche da sé stessa. Purtroppo questo modo di pensare è radicato a vari livelli nella nostra società ed è portato avanti, paradossalmente, da buona parte del mondo femminista, per il quale certe cose sarebbero ipso facto degradanti per una donna. Mi rendo conto di essermi addentrato in un argomento complesso, che dovrebbe essere trattato in altre sedi e che richiederebbe anche un bel dibattito. Ma se la visione del film mi induce a queste riflessioni allora, a mio avviso, ci troviamo di fronte a un prodotto di buona qualità.
Altro punto di forza de Le Ragazze del Coyote Ugly, come avrete ormai intuito, è la colonna sonora. La musica ha un ruolo di primo piano nel film ed è addirittura il motore della trama, dato che Violet si trasferisce a New York proprio per essa. Inoltre, Lil – la titolare del Coyote – dimostra di esserne intenditrice e propone ogni sera una selezione di qualità. Il brano portante della soundtrack è Can’t Fight the Moonlight interpretato da LeAnn Rimes e scritto – nella finzione del film – da Violet, ma almeno altre due splendide canzoni spiccano, nel corso della pellicola. Ve le lascio qui sotto, nel caso voleste rifarvi le orecchie mentre leggete la recensione.
https://www.youtube.com/watch?v=tnepPZChA5U
Coyote Ugly non è però tutto rose e fiori. È un film leggero, a volte anche troppo. Tratta temi piuttosto maturi ma spesso si appiattisce su toni da commediola romantica di quart’ordine. Sarebbe stata a mio parere più efficace un’impostazione maggiormente drammatica. Inoltre, nel lungo periodo, si conferma la sensazione che avevo avuto da ragazzino: a parte le belle donne e la musica, il film tende a lasciarti poco altro. Non so se è questione di cast, di scrittura o se sono entrambe le cose, ma c’è un qualcosa che manca e che impedisce a questo film di essere incisivo fino in fondo. Ciò nonostante, Coyote Ugly riesce nell’intento di intrattenere senza troppe menate per un’ora e mezzo, mette dentro una colonna sonora di livello e delle gnocche non da poco, che ci fanno anche un po’ pensare. E allora, come si fa a negargli le tre stelline?
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