
Crocevia della morte: quando i fratelli Coen giocano con i gangster movie
Una domanda mi è sorta spontanea l’altra sera, quando per la prima volta nella mia esistenza ho visto Crocevia della morte: ma fino ad ora, che ne sapevo di cinema? Ok, comunque più della media perché resto una snob con un’insana tendenza a dedicare ore e ore della sua vita al grande schermo; ma non abbastanza, insomma. Terzo film dei geniali fratelli Joel ed Ethan Coen, uscì nel 1990, lo stesso anno della sottoscritta, ed è invecchiato molto meglio di me. Tanto che per storia, ironia, umorismo macabro e tutto ciò che contraddistingue una delle coppie più adorabili di Hollywood, potrebbe essere uscito ieri, oppure addirittura potrebbe ancora dover uscire.
La trama di Crocevia della morte potrebbe sembrare intricatissima, ma in realtà altro non è che un faraonico, avvincente, divertentissimo sfottò ai gangster movie. Gli ingredienti ci sono tutti: una città che non si nomina mai ma che potrebbe essere indifferentemente New York, Chicago o Los Angeles; gli Anni Venti con tutto il contorno di Grande Depressione, proibizionismo e cappelli a bombetta; il capomafia italiano (Jon Polito) che si fa la guerra con Leo, quello irlandese (Albert Finney), a causa di un bookmaker ovviamente ebreo (John Turturro), o meglio, a causa della sorella del bookmaker (Marcia Gay Harden), naturalmente una femme fatale amante del boss irlandese, ma non solo. La bella Verna, questo il suo nome, si diletta infatti anche con Tom (Gabriel Byrne). Problema: Tom è il braccio destro di Leo, e lenzuola a parte gli è davvero fedele: come fargli capire che Verna non è esattamente la ragazza da portare all’altare, e che il di lei fratello non vale tutto quello che l’irlandese sta rischiando?
Crocevia della morte potrebbe essere la spiegazione per immagini di che cos’è il buon cinema: intrattenimento, azione, e tantissime risate. Perché ha proprio tutto: la storia, che tiene incollati allo schermo dall’inizio alla fine; sparatorie e spargimenti di sangue quanto basta, truculenti senza però mai scadere nel volgare; una spruzzatina di romance, perché in un noir che si rispetti la donna è d’obbligo, e infatti ce n’è rigorosamente solo una, fascinosa, intrigante e doppiogiochista come da manuale; e valanghe di riferimenti colti e autoironici.
La scena della sparatoria con incendio annesso è da manuale; gli accenti e le movenze dei due boss sono tra i migliori stereotipi sul genere; e il Crocevia della morte è uno scenario a dir poco perfetto. Menzione d’onore poi a John Turturro, perfetto nel ruolo del criminaluccio isterico, e al protagonista Gabriel Byrne, che è tutto ciò che deve essere per un film del genere: tenebroso, di poche parole, non bello ma trovatemene una che non vorrebbe saltare dentro allo schermo, con un cuore all’apparenza di pietra, ma pur sempre un cuore.
Crocevia della morte non si pone ancora gli interrogativi filosofici alla Fargo, e non ha quel tono scanzonato e surreale de Il grande Lebowski; ma la firma dei fratelli Coen è già riconoscibile. Divertimento, divertimento e ancora divertimento, nel senso più ampio del termine: da vedere, per ricordarsi che l’ottimo cinema non deve per forza essere ermetico.