
Crudelia: il Topo è diventato grande. E pure modaiolo
Qualche anno fa, quando la Disney acquistò i diritti di Star Wars, i fan si stracciarono le vesti, dicendo che la saga sarebbe stata snaturata. Da assoluta profana non mi sono mai interessata alla faccenda, limitandomi a crollare addormentata dopo il primo quarto d’ora di visione. Arrivata al 2021 ed essendo stata svezzata a cartoni dei tempi che furono, posso però dire che il Topo sa fare cose ben diverse dalle favolette per bambini. Del tipo? Beh, la cattiva per antonomasia per esempio, quella disposta a scuoiare un centinaio di cagnolini per farcisi una pelliccia: Cruella de Vil, in patria meglio nota come Crudelia.
Il motive principale per cui smaniavo per vedere il film di Craig Gillespie era lo scontro fra titani: da una parte Emma Thompson, aka la Baronessa, stilosissima e affermata stilista della swinging London; a tenerle testa l’altra Emma, Emma Stone, prima bambina ribelle e poi astro emergente della moda londinese nei Seventies. Commento breve: lo scontro è una bomba. Commento lungo: oltre a quello, che da solo vale il film, in Crudelia c’è molto, molto di più.
La storia inizia a cavallo tra Oliver Twist ed Edward Mani di Forbice – e l’estetica del film è tutta un lungo omaggio a Tim Burton: la piccola Estella vive con la madre in un paesino della campagna inglese, ha i capelli black&white, ama agghindare la sua divisa con spille e catene che anticipano il punk ormai alle porte, e nel tempo libero fa a botte con i compagni. Non c’è da stupirsi quando la scuola decide di espellerla. Ma la mamma, apparentemente la creatura più dolce del globo, decide di darle un’altra chance: le due si avviano verso la grande città per iniziare una nuova vita. Tutto sembra procedere per il meglio, devono solo fare una tappa intermedia per sistemare una faccenda; ed è lì che avviene il fattaccio. Rimasta sola, Crudelia, pardon, Estella, deve rapidamente imparare a sopravvivere nella giungla londinese. Per fortuna che accanto a lei ci sono Jasper (Joel Fry) e Horace (Paul Walter Hauser), due ladruncoli che ben presto si trasformeranno nella sua famiglia. Ma la nostra adorabile cattiva pensa in grande: vuole fare la stilista, e farà di tutto per riuscirci. E con di tutto, si intende di tutto.
I fanatici de Il diavolo veste Prada dovranno rassegnarsi: è Crudelia il vero film sulla moda. Stesse dinamiche di fondo, ma un sacco di buoni sentimenti in meno: proprio come nella vita reale. E senza moralismi su quanto sia vacuo quel mondo: Crudelia non lo vuole cambiare, né usarlo come punto di partenza per salvare il pianeta, vincere il Pulitzer o qualche altro sogno sedicente nobile; lei vuole esserlo, quel mondo. E, cosa non secondaria, per chi ha un interesse anche solo infinitesimale per vestiti e storia del costume, questo film è anche un balsamo per gli occhi: non c’è un orlo, su entrambe le Emme, che sia fuori posto. A metà strada fra la prima Vivienne Westwood, non a caso decollata proprio in quel periodo storico, e l’ultimo Alexander McQueen, Crudelia è parecchio più interessante di svariati numeri di Vogue.
Ma non finisce qui: perché è anche un documentario romanzato sulla Londra degli Anni Sessanta e Settanta. Tra robivecchi che sono un omaggio a David Bowie, baffi pronunciati e pantaloni a zampa di elefante, ogni inquadratura è un piccolo affresco dei tempi e dei cambiamenti epocali avvenuti in quegli anni – sintetizzati alla perfezione nella vetrina dei grandi magazzini prima e dopo il passaggio di Crudelia. La colonna sonora pure la fa da padrone: scordatevi le musichette da cartoni animati, qui si alternano gli Stones, i Clash, Nina Simone e i The Doors. Unica concessione al nuovo millennio: la canzone finale, composta appositamente dai Florence and the Machine.
Se si vuole trovare una pecca a Crudelia, si può dire che non ha niente a che fare con La carica dei 101: i dalmata sono poco più di una tappezzeria, e neppure troppo coccolosa, mentre i personaggi della storia originale sono delle mere comparse.
Perché questo è un film Disney, ma non un film per bambini; lo si capisce sin dalle battute di esordio, con l’iconico castello che diventa in bianco e nero, come i capelli della nostra eroina, e un cielo tempestoso sullo sfondo. È un film su un cattivo, con tutte le sfumature psicologiche del caso, che evolve, sì, ma che rimane cattivo fino alla fine: niente redenzione, niente riappacificazioni melense, niente lieto fine, almeno non nel senso classico del termine. Per fortuna. Unica concessione educativa: il bocchino di Crudelia è sparito. Niente sigarette, siamo pur sempre salutisti.
E ora scusate ma vi devo lasciare, ho una missione da compiere: devo trovare il numero di Jenny Beavan, la costumista di Crudelia nonché premio Oscar, e convincerla a farsi una gita nel mio armadio.