
La cultura che avvicina: Ossimoro a Camp X-Ray
La scacchiera di Guantánamo
Accompagnati da un perfetto gioco di musiche ovattate e colori neutri, quasi come in una seduta di cromoterapia, una ormai sempre più impegnata-impegnativa Kirsten Stweart, Amy “Blondie” Cole, (On the Road, Sils Maria, Personal Shopper) e un ipnotico-magnetico Peyman Moaadi, Ali “471” Amir, (About Elly, Una separazione, The Night Of) riducono esponenzialmente le distanze culturali e umane tra prigioniero e secondino, attraverso i libri nella labirintica Camp X-Ray.
Dovremmo chiamarli detenuto e soldato dell’esercito degli Stati Uniti d’America, tuttavia Sattler non insulta l’intelligenza dello spettatore post 2001 e riesce a mettere in piedi 111 minuti di dettagli, fondamentali dettagli, che riscrivono le proporzioni delle loro realtà.
Amy, ragazza dal tipico anonimo nome, proveniente da una noiosa America cerca un senso alla sua vita e si arruola nell’esercito per evadere dalla sua ristretta realtà per lasciare un segno.
Purtroppo i suoi sogni di missioni in Iraq svaniranno ancora prima di prendere forma e verrà destinata a Guantánamo, precisamente all’odierna Camp Delta, allora Camp X-Ray.
Alì, tunisino di Brema, innocente, recluso della cella 105 da otto metodici anni, appassionato di Sudoku e Harry Potter (la collana di libri realmente più letta all’interno di Guantánamo) con un tagliente senso dell’umorismo.
Il lungometraggio si apre svicolando qualche retorica dovuta all’11 settembre e ci racconta come passano le loro giornate reclusi e guardie.
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I ruoli sono davvero così definiti? E se lo sono, allora perché entrambi hanno lo stesso bisogno di aria, di confronto, di contatto, di parola, di pensiero, di amicizia, di amore, di prospettiva? Perché le paure, le sensazioni, i confini, gli ostacoli sono i medesimi?
Del resto qualcuno scrisse “What’s in a name? That which we call a rose, By any other name would smell as sweet”.
In questi 365 giorni di servizio Amy impara a leggere tra le righe delle vite altrui mettendo in discussione la sua, fino a creare un rapporto onesto con Alì, l’unica relazione di “amicizia” che risulta essere solida di questo percorso.
Il film appare come una scacchiera dove i protagonisti sono pedine mosse abilmente da Sattler lungo i corridoi di Guantánamo e le loro porte color mattone. Ogni volta che una pedina guadagna terreno, un’altra viene mangiata dal sistema di spersonalizzazione che vige nel carcere. Non importa che sia un detenuto o un soldato, il terrorismo, principe della privazione dell’identità, si punisce nella stessa maniera, senza distinzioni di obiettivo. Spingere le pedine al bordo della scacchiera e salvarle, apparentemente, all’ultimo. Amy comprende ben presto che il lavoro consiste non tanto nell’impedire ai prigionieri di scappare, quanto nello scongiurare i tentativi di suicidio.
E così noi, attraverso gli occhi della ragazza, scopriamo gradualmente la rabbia e le esplosioni di violenza di alcuni prigionieri, la solitudine e gli istinti repressi dei soldati, le contraddizioni del protocollo e di chi ha il compito di farlo rispettare, le certezze di alcuni militari e i dubbi di altri celati sotto la rigidità delle uniformi.
Con una scena finale inoppugnabile, Camp X-Ray è la sincera, asettica bilanciata ed equidistante analisi del dopo Iraq.