I numeri, da sempre, affascinano; la loro intrinseca ordinatezza seduce, mentre a volte, invece, perseguita e tormenta. Ma c’è una grande verità: i numeri, nelle storie, sono come il sale sui popcorn. O la panna sulle fragole.
È ben nota l’ossessione del “Sommo Poeta” Dante Alighieri per i numeri. Egli, quando scrisse la Divina Commedia, vi inserì una sofisticata simbologia numerica, che può essere oggi esplorata nella sua complessità solo dagli esperti. Così ogni elemento numerico della sua opera risponde a una logica tutt’altro che casuale. Ricordate, invece, il chiodo fisso che Walter Sparrow (Jim Carrey) aveva per il numero 23 nel film Number 23? Oppure in Lost la sequenza – sempre ricorrente – del 4 8 15 16 23 42?
Proprio così. Se la matematica, soprattutto tra i banchi di scuola, piace a pochi, i numeri, nelle storie, piacciono a tutti. Alcuni più di altri. Come ad esempio il numero tre, numero dei porcellini, dei topolini ciechi, delle fate madrine, dei moschettieri, dei desideri da esaudire, delle teste di cerbero e in genere delle prove da superare, come anche delle parti in cui ogni racconto può essere suddiviso (introduzione, sviluppo e conclusione). Oppure il sette, numero dei corvi dei fratelli Grimm, dei nani di Biancaneve e degli Horcrux potteriani – di più recente memoria.
Così Agatha Christie, nel 1939, fondò uno dei suoi romanzi gialli di maggiore successo proprio sul numero dieci. Dieci piccoli indiani. Dieci personaggi. Dieci omicidi. Una formula di successo che verrà ricalcata dal film Nella mente del serial killer (2004) e dalla serie tv Harper’s Island (2009). Cambiano i numeri, ma rimane invariata la formula – la sottile algebra dell’opera: una serie di individui vengono uccisi uno dopo l’altro, nel preciso meccanismo narrativo che prevede una fine predestinata per ciascuno, un destino deciso da un deus ex machina misterioso. Una narrazione, in ultimo, scandita dal conto “alla rovescia” dei superstiti.

Un altro enigma della camera chiusa che si fonda sui numeri è l’ultimo capolavoro di Quentin Tarantino The Hateful Eight, un western molto-Agatha-Christie. Se gli indiani della Christie erano dieci, i cowboys di Tarantino sono solo otto, ma altrettanto vili. Del resto, praticamente da sempre, i film western sono indivisibili dal numero dei loro personaggi: ne sono un esempio Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone (1966) e I magnifici sette, da quello di Sturges del 1960 al remake del 2016 di Antoine Fuqua.
E poi c’è Seven, l’acclamato thriller del 1995 diretto da David Fincher. In esso la simbologia del sette non solo riprende la tradizione cristiana dei sette vizi capitali, decretando per gli sfortunati personaggi una morte per contrappasso dantesco, ma scandisce il tema e i tempi della pellicola.
Numeri che stanno nei titoli, e che sono intimamente connessi alle storie. Numeri che diventano protagonisti delle storie. Di nuovo è numero dei vizi capitali in Sette anime di Gabriele Muccino (2008), dove Ben Thomas – interpretato da Will Smith – deve redimersi aiutando sette persone. Sette, come le persone che ha involontariamente ucciso. Sette anime per la redenzione della propria, sette come i livelli del purgatorio dantesco per cui passa l’espiazione della colpa.
Altri prodotti di intrattenimento che sfruttano la potenza dei numeri vengono da Netflix: Sense8, la serie fantascientifica in cui otto sconosciuti, provenienti da diversi luoghi della terra, sviluppano una connessione telepatica reciproca, e Tredici, in cui abbiamo una ragazza adolescente, Hannah Baker, che spiega i tredici motivi per i quali si è uccisa, collegati ad altrettante persone che in qualche modo hanno avuto una responsabilità nel disperato gesto.
E stiamo parlando solamente delle opere in cui i numeri sono così fondamentali da apparire nel titolo. Perché i numeri, nelle storie, sono un po’ come l’aria che respiriamo. Presenti ovunque, e più importanti di quanto spesso si creda. Due esempi su tutti? Pensiamo all’importanza del sette, numero magico per eccellenza, nella saga di Harry Potter. Oltre ai già citati Horcrux, sette sono gli anni scolastici della scuola di Hogwarts, così come il numero di romanzi della saga e il numero degli “Harry Potter” che lasciano la casa di Privet Drive all’inizio de Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 1. Oppure pensiamo alla saga de Il Signore degli Anelli, e quindi al numero degli anelli di Sauron (3+7+9+1). Esiste veramente una matematica delle storie che si muove nelle fondamenta di ogni narrazione.

Ma perché i numeri, al cinema e nelle serie tv (in generale, nelle storie), ci piacciono tanto? Dal momento che mi piacciono i numeri anche negli articoli, provo a dare tre personali motivazioni.
Innanzitutto nelle storie amiamo alla follia ciò che è ordinato e finito. Ovvero, avere una serie di elementi, oggetti o personaggi, dispersi nella storia, dei quali conosciamo il numero fin dall’inizio. È il principio per cui funzionano le quest dei videogiochi basate sulla raccolta di diversi “frammenti”. A mano a mano che ci avviciniamo agli ultimi frammenti della raccolta, sappiamo che la fine e il climax sono vicini.

Inoltre – e siamo al secondo motivo – amiamo ciò che si ripete ed è suddivisibile. In Tredici ci aspettiamo che ogni episodio avrà pressappoco la medesima struttura, così come anche Sette anime e Seven sono suddivisibili in sette determinate vicende. È lo stesso principio per il quale le canzoni, quasi sempre, seguono uno schema di strofe e ritornelli. Così come la poesia e la musica, anche le storie sono spesso suddivisibili.
Terza motivazione, amiamo tracciare corrispondenze tra le cose. Trovare analogie e differenze è, del resto, una forma di intelligenza. Gli Horcrux di Harry Potter erano sette frammenti dell’anima di Voldemort collegati ad altri elementi della storia, come gli omicidi perpetrati dall’innominabile antagonista della saga o i fondatori della scuola di magia Hogwarts. I sette omicidi di Seven sono collegati ai peccati capitali, mentre quelli dei Dieci piccoli indiani alle altrettante strofe della filastrocca. Ogni cosa ha il suo posto e ne siamo totalmente gratificati.
Scegliete un numero, costruite sopra ad esso una storia. Avrete un buon – anzi, ottimo – punto di partenza. Se invece le storie vi piace ascoltarle, invece che scriverle, andate al cinema. Difficimente, però, sfuggirete al potere dei numeri.