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Daredevil – Stagione 2

A cosa serve questa recensione? La prima stagione di Daredevil fu un successo inaspettato. La serie, seppur legata al mondo cinematografico Marvel, rinnegava i toni scanzonati e leggeri dei film. Si trattava di un prodotto di ottima fattura, adulto e profondo. Personalmente lo trovai superiore a tutti i film sui supereroi rifilatici finora, Thor, Iron Man o Avengers che fossero.

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Perciò a cosa serve questa recensione? C’è bisogno dell’ennesimo elogio ad una serie ritenuta bellissima all’unanimità? Perché io in certe cose sono un bastardo. Non provo simpatia per i supereroi. Non sono un appassionato di fumetti e di conseguenza non sono portato ad avere chissà quali aspettative nei confronti di questo genere di prodotti. Probabilmente è per questo motivo che non mi piacciono i film Marvel, mentre ho promosso con riserve Batman v Superman.

Se accetto di guardare attori che se le danno vestiti in modo improponibile, vorrei almeno che la visione fosse giustificata. Se Batman v Superman si è salvato grazie ad una prima parte improntata sullo scontro ideologico/filosofico tra i due protagonisti, Daredevil ha dalla sua un’introspezione dei personaggi pari a poche altre serie tv.

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E la seconda stagione ne riconferma tutti i pregi, nonostante la formula sia leggermente cambiata. Uscito di scena Fisk, interpretato dal bravissimo Vincent D’Onofrio, ci vengono presentati The Punisher ed Elektra. Rispetto alla prima annata, questa nuova stagione presenta uno svolgimento meno lineare grazie al quale la si può dividere in tre parti tematiche.

Nelle prima entra in gioco il personaggio di The Punisher e ne vediamo il conflitto ideologico con Daredevil. Mentre i due si pestano di santa ragione, tra un dibattito e l’altro sulla differenza tra “giustizia” e “giustizia privata”, noi piangiamo di commozione per l’interpretazione della new entry Jon Bernthal. Il suo Punisher è il fiore all’occhiello della stagione, un personaggio scritto alla perfezione ed interpretato ancora meglio.

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L’ipotetica seconda parte della stagione si concentra sul ritorno di Elektra nella vita di Matt Murdock e del loro complicato rapporto. Élodie Yung è ben calata nella parte, ma il personaggio non brilla nell’originalità dello sviluppo. Infine, nella terza parte avviene l’introduzione di un elemento decisamente fantasy in una serie che vinceva grazie al suo essere realistica nonostante il soggetto di partenza. Comunque tutto ciò non stona dato che si tratta di un qualcosa di appena accennato, per ora. La preoccupazione è dovuta in vista delle prossime stagioni. Ma d’altronde parliamo di una serie che ha per protagonista un cieco che fa acrobazie sui tetti di un intero quartiere di New York e tramortisce gruppi di sei o sette ninja alla volta.

Ancor più che nella prima, in questa seconda stagione viene sfruttato il potenziale da legal drama della serie. Buona parte degli episodi si concentrano infatti sullo sviluppo di una causa legale e in alcuni di questi la stagione raggiunge i suoi punti più alti, come l’arringa di Foggy (un sempre bravo Elden Henson) o lo sfogo di The Punisher davanti alla giuria.

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Se c’è qualcosa che mi ha fatto storcere il naso è stato l’aver relegato in periferia due personaggi che nell’annata precedente avevano giustamente ricevuto più spazio e avrebbero ancora molto da dire: i due amici del protagonista Foggy e Karen. Inoltre la parentesi amorosa tra quest’ultima e Matt Murdock mi è parsa leggermente forzata, considerando che la stagione inizia subito con un interesse reciproco nemmeno accennato in quella precedente.

Io sono un bastardo e speravo di bocciare Daredevil. Ma non posso. Devo omologarmi alla massa e scrivere una recensione prevedibile ed inutile, perché è già stato detto tutto. Charlie Cox è un Daredevil perfetto, la regia è cinematografica, l’introspezione dei personaggi…e bla bla bla.

Ci si rivede tra un anno.

 

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Mauro Paolino

Classe 1996, inizia a scrivere recensioni cinematografiche all'età di 15 anni. Appassionato di cinema, scrittura e storia dell'arte moderna, passa le sue giornate a guardare film, scrivere sceneggiature scadenti e coltivare la sua barba, nella falsa convinzione di sembrare un ragazzo intellettualmente impegnato.
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