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David Fincher – L’arte della scelta tra il male e il bene

Le persone diranno “Ci sono milioni di modi di girare una scena“;

io non credo sia così. Ce ne sono forse due. E uno dei due è sbagliato.

– David Fincher

Poco tempo fa, lessi una notizia che mi lasciò abbastanza sconcertato: è in pase di produzione il sequel della zottona secolare World War Z. In pratica, Brad Pitt invincibile contro un’apocalisse Zombie. Non potete avere idea del dolore che ho provato; non tanto per il progetto in se, di cui mi frega meno di 0, ma per aver visto che in cabina di regia figurerà David Fincher. No questo non lo accetto.

La faccia di chi è convinto delle proprie scelte

Nonostante dovrei avere totale fede nelle sue indiscutibili qualità autoriali (altrimenti non starei a scrivere un pezzo su di lui), questo progetto puzza proprio di sola e di marchetta, confezionata a regola d’arte per uno dei registi migliori dei nostri tempi. Tecnicamente devastante, David Fincher è un maestro nel gestire gli effetti speciali e movimenti di macchina, padre di alcuni film che sono già pietre miliari del cinema, mainstream (Fight Club) e non (Zodiac).

Proverò a riassumervi, male, quelli che per me sono i dettami della bibbia filmica di David. Quanto amo le masturbazioni mentali cinefile. 

Arte popolare degli anni 2000

Non voglio darvi nozioni wikipediane, direi che non è il caso di annoiarvi. Vi basti sapere che la carriera d’esordio di David passa da uno spot per la Coca Cola ad un video di Michael Jackson fino ad Alien 3. Già dai primi lavori la firma è inconfondibile ed è marcata con decisione; ancora oggi David Fincher rimane unico per il taglio che da ad ogni suo film (o serie televisiva). Il suo sguardo matura, ma non cambia. Atmosfere cupe, tenui, in un mondo dove la luce rimane costantemente opaca.

Giusto per, ha pure lavorato nel reparto artistico di Star Wars VI

Insieme a Christopher Nolan, è sicuramente l’esempio migliore di come coniugare l’idea di cinema d’autore al blockbuster, riuscendo, negli ultimi anni, a far orbitare i suoi film in zona Oscar. Mi verrebbe quasi da definirlo… Eclettico; pensi alla sua filmografia e non può non balenare l’idea “Cazzo, ma questo ha fatto un sacco di roba diversa!”. Eppure, ogni sua opera è essenzialmente un thriller, un regno incontrastato dove la tensione è la sua regina… che sia la storia di una donna che indaga su uno stupratore o che sia quella dell’ideatore di Facebook.

Da vero autore qual è, Fincher ha uniformato una propria visione della realtà che ci circonda, riducendola all’essenziale. All’opposizione tra il bene e il male. Un confine assai sottile.

La pioggia cade sul giusto e sull’ingiusto

Alla fine di ogni suo film rimango sempre pensieroso; forse solo Il Curioso Caso di Benjamin Button è riuscito a non darmi qualcosa tanto era stucchevole. È raro trovare registi simili, che riescono a entrarti nella mente, che riescono a dirti qualcosa sottovoce. Sottotraccia.

Ambienti medio borghesi (il non plus ultra è The Game), dove uomini e donne abbienti sguazzano nella tranquillità del loro fondo bancario e d’un tratto, tutto il loro mondo viene messo in discussione e stravolto. Il regista del Colorado doveva odiare i propri vicini più ricchi e snob.

Fincher stesso ammette che la sua intera carriera ha avuto fortuna per merito di perversi (come il sottoscritto) che hanno provato a spiegare e dare un senso ad ogni sua ossessione. E se avesse voluto solo farci credere questo? 

Mi state seguendo, vero?

L’apparente freddezza su cui ogni film è costruito nasconde in realtà una forza incredibile: fa sì che lo spettatore che si immedesimi ed empatizzi con i suoi protagonisti, indipendentemente dalla situazione o dal carattere. Se arrivi a fare il tifo per Ben Affleck in Gone Girl può solo essere per merito di Fincher o perché siete dignitosamente brilli.

Uomini e donne sempre spinti all’estremo, in situazioni di pericolo e, quasi sempre, di fronte a scelte che farebbero impallidire i concorrenti di “Ok il prezzo è giusto”. Dal discusso finale di Seven, passando per il tormentato Mikael Blomkvist, fino alla dubbia moralità di Frank Undervood; si corre sopra un filo sottile, in bilico tra giusto e sbagliato, tra bene e male. Tutto questo, con una costante: la pioggia si abbatterà sempre su tutti, buoni o stronzi che siano.

La fascinazione per il male

Una vera e propria ossessione, quella di Fincher, per il male. Per quell’anima oscura che abita dentro ognuno di noi e che affascina molti dei suoi personaggi: in Zodiac, Robert è come innamorato e rapito dall’assassino dello zodiaco tanto da logorare i propri rapporti e fare dell’indagine una malattia incurabile. Altre volte ciò che è sbaglio è una voce dentro di noi, la voce di Tyler in Fight Club, o gli avidi consigli di Shawn Parker in The Social Network.

Il male può allontanarci dalla verità, mescolando le carte in tavola presentandosi a noi come una splendida bionda di nome Rosamund Pike in Gone Girl; dubbi, elementi in se che sono chiavi per la narrazione della filmografia del cineasta da Denver. Un mondo in cui si vive costantemente in tensione, in cui il pericolo è dietro l’angolo, nelle foreste scandinave di Millenium o nella piovosa metropoli di Seven dove vivono dei veri e propri mostri. Dico John Doe, e credo di aver detto tutto.

Utilizzando una citazione spiccia ma efficace, il male si nasconde nell’ombra e noi, pur provando a rimanere a galla, a contatto con la luce del bene, siamo come in Mindhunter, riusciamo a comprendere fin troppo bene ciò che le menti deviate e malate hanno da dirci. I crimini, il dolore, il desiderio di autodistruzione e sentirsi, solo per un momento, in controllo.

Ciò che rimane di noi

Cerchiamo di proteggerci, chiudendoci in noi stessi come lo Zuckerberg di Jesse Eisenberg o in un bunker per sfuggire a dei ladri come in Panic Room; scappiamo dai noi stessi perché in fondo sappiamo che non esiste una scelta. Ha ragione David Fincher, in noi convivono troppe perversioni e contraddizioni per poter cedere ad uno dei due richiami. Lottiamo e perdiamo la speranza; crediamo di conoscere noi stessi così bene da non accorgerci del male che alberga dentro di noi o di quanto possiamo essere fragili e insicuri.

“Ma quanto è bello Zodiac?!”

Fincher è uno dei pochi artisti in grado di rendere l’oggettivo… soggettivo. È un maestro nel riuscire a raccontare le sue molteplici storie in maniera così avvincente osservando e descrivendo i suoi personaggi attraverso piccoli gesti o dettagli. Minimalista, maniacale, perfezionista, il regista meno mainstream tra i mainstream. Ho provato con questo sproloquio a raccontarvi le sensazioni, le sfaccettature di un mondo molto più ampio e complesso di quello descritto in questo articolo.

Bellezza e crudeltà

Quella di David Fincher non è sicuramente una filmografia impeccabile, con alcuni bassi e scivoloni che hanno comunque una buona fetta di pubblico che li difende (ehm… The Game?! Benjamin Button?!). Concedetemi l’essere triste se vedo che una personalità come quella di Fincher si lancia in un progetto anonimo come World War Z 2. Fatevi un favore, correte a recuperare i suoi film e le sue serie tv, fatevi stregare da un mago della regia. Ognuno di noi ha quel pizzico di genio, follia e perversione che non aspetta altro che essere liberato.

“Io avrei finito, posso andare?!”

Davide Casarotti

Antipatico e logorroico since 1995. Scrivo di Cinema da quando ho scoperto di non saper fare nulla. Da piccolo volevo fare il cuoco, crescendo ho optato per il giornalista; oggi mi limito ad essere pessimista, bere qualche birra con gli amici e andare al Cinema da solo. Giuro, non sono una brutta persona.
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