
Mediterraneo – Dedicato a quelli che stanno scappando
Il film di Salvatores, vincitore agli Oscar 1992, rappresenta una delle gemme più indelebili del cinema nostrano. Tutto molto bello.
Trovo davvero difficile parlare di Mediterraneo con leggerezza, ma ci proverò.
Film di Gabriele Salvatores, capitolo conclusivo e sicuramente più suggestivo di quella che lo stesso regista ha definito la Trilogia della fuga, insieme a Turné e Marrakech Express.
La trama è piuttosto semplice: un manipolo di improbabilissimi soldati viene spedito nel giugno del ’41 a presidiare un’isoletta greca sperduta nel mar Egeo. Sembra chiaro fin da subito come la presenza dei commilitoni in quel luogo sia piuttosto inutile, essendovi solo donne, vecchi, bambini e capre, tante capre, tantissime capre.
Capre.
Una volta capito che di operazioni militari ce ne sono ben poche da fare, i nostri soldatini cominciano ad adattarsi alla vita mediterranea, tra partitelle di calcio, pastorelle piuttosto avvenenti, balli di gruppo, formaggio di capra (l’ho detto che è pieno di capre?) e un bel po’ di tipico lassismo all’italiana.
Ognuno di loro rappresenta un tipo umano ben caratterizzato: abbiamo il tenente letterato e artista (Claudio Bigagli), il sergente fascista convinto (un bravissimo Abatantuono), l’innamorato che manda lettere alla moglie (Bisio), il pazzo, il soldatino sfigato (Giuseppe Cederna) che rappresentano tanti aspetti di un popolo, quello italiano, caratterizzato da differenze e divisioni e sempre alla ricerca di un’identità precisa.
Nel corso del film, di fatto, non si può neanche dire che succeda granché. I personaggi semplicemente vivono in questa specie di situazione totalmente inedita, in una sorta di limbo, isolati dal mondo per la rottura immediata della radio, si nutrono di quello che trovano e che gli viene dato dalle donne del paese e hanno tutto il tempo che vogliono per dedicarsi a ciò che gli interessa: il tenente letterato, per esempio, si occupa di ridipingere la vecchia chiesa ortodossa, il soldatino si innamora della prostituta del paese, la bellissima Vassilissa, e l’innamorato scrive lettere alla moglie, cercando inutilmente modi per contattarla e per scappare.
La pellicola è da considerarsi un film generazionale che in qualche modo rappresenta l’evoluzione sentimentale e idealistica dell’Italia dell’epoca. Mi rendo conto che possiate trovare difficile discernere la figura di Diego Abatantuono da quella di Cecco, il fornaio sotto casa (andate qui per capirmi), o da quella del Ras della Fossa (viuuulenzaaa), ma il centro rappresentativo di questa riflessione storica è proprio il suo personaggio: il sergente Nicola Lorusso, che incarna il passaggio dall’Italia fascista, esaltata e interventista a quella incazzata con le istituzioni, riflessiva e desolata. Memorabile il suo monologo sul lettino dei massaggi.
Salvatores si rivolge proprio alla generazione a lui vicina, quella degli Anni ’80 e dell’inizio dei ’90, che ormai sembra senza più valori in cui credere.
Ma quali sono i motivi in cui dovrebbe credere quest’Italia che sembra essere in un limbo, proprio come lo sono i soldati sull’isola?
Gli altri due centri della riflessione della pellicola sono rappresentati dalle figure del Tenente Raffaele Montini che si rifugia totalmente nella cultura classica, nella pittura e nella bellezza che il nostro paese ha saputo esprimere in passato, e l’attendente sfigatello Antonio Farina, sensibile e innamorato della bella prostituta Vassilissa, tanto da non voler usufruire dei suoi servigi, finendo con darle la possibilità di smetterla con il mercimonio del proprio corpo, sposandosi con lei per vero amore.
L’amore e la bellezza: ecco i valori che Salvatores vuole salvare.
Le acque dell’Egeo rappresentano una bellissima cornice che protegge questo micromondo, dandogli la possibilità di sviluppare tutte le tematiche care al regista, che utilizza moltissimo il mare per connotare le sue inquadrature.
L’atmosfera che si delinea è paradisiaca, una specie di utopia in cui l’uomo può fermarsi, raccogliere le idee e riflettere sul senso della propria esistenza. Un capolavoro insomma, poco da eccepire, che riesce a dire tutto o quasi, senza che succeda molto.
Beh, che fare infine? Ho finito per parlare in modo molto serio di questo film. Vi giuro che ci ho provato a mantenere un tono leggero e scanzonato.
Vabbè provo a rimediare citando un dialogo di una scena che mi fa sempre ridere enormemente.
Buon Film.
Vassilissa [parlando un italiano stentato misto a Greco]: Egò: Vassilissa…
Lorusso: Vassilissa? Bellissimo nome…
Vassilissa: Io vengo per δουλειά μου [doulià mu]… εργασία [ergasia] capisci?
Lorusso: Mi dispiace non lo conosco… [rivolto ai commilitoni] Conosciamo un certo Dugliamo Ergassia? [i commilitoni fanno cenni di diniego]
Lorusso: No mi dispiace…
Vassilissa: Come si dice… LAVORO! L-l-lavoro…!
Lorusso: Lavoro… Ah! Volere parlare di… per lavoro. E che lavoro… fare?
Vassilissa: Io sono puta…
Lorusso: Puta che in Greco…
Colasanti: Una puttana!
Lorusso: PER PIACERE! Non mi sembra il caso di…
Vassilissa: Sì, sì, una puttana.
Lorusso: No dicevo… per piacere, c’è modo e modo di… il concetto resta quello…