“Suo figlio è bravo ma non si applica“, questo dicevano le maestre a mia madre, che tornava a casa e se la prendeva con me. Derry Girls fa un po’ la stessa cosa, perché se le potenzialità ci sono, non tutte vengono fuori.
Erin, Clare, Orla, Michel e suo cugino James sono ragazzi che vivono spensierati la propria gioventù, mentre gli adulti sono in lotta senza saper bene il motivo. Sullo sfondo di questa storia ci sono macchine che esplodono e camionette dell’esercito ferme a pattugliare le strade. Fuori c’è aria di rivolta. Siamo negli anni ’90 ed è in corso la guerra civile nel Nord Irlanda.
Le ragazze frequentano un college cattolico gestito da suore, che decidono però di fare una piccola eccezione e accogliere James in questo mondo tutto al femminile. Il ragazzo, inglese anche nella vita vera (Dylan Llewellyn), rischierebbe di prendere dei bei cazzotti da altre parti, va a lezione senza essere tentato dalle minigonne e dalle bionde trecce. Per questo tutti credono che sia gay fino a quando non viene quasi stuprato da un’ucraina in vacanza.
Le altre protagoniste invece tra ormoni impazziti, parolacce e stravaganze varie dominano la scena e il pink power trionfa. Non si fanno mettere i piedi in testa, creando continuamente casini e infilandosi in avventure a metà tra l’adolescenza e la pazzia. Le famiglie conservatrici e molto religiose cercheranno di proteggere a loro modo queste giovani adolescenti pronte però a rivendicare sempre la propria libertà.
Nel panorama delle ultime produzioni britanniche possiamo collocare questa serie a metà tra Sick Note e The End Of The F***ing World. Le puntate, solo sei, durano una ventina di minuti e così la prima stagione si guarda in due orette. Vengono raccontate storie autoconclusive, perdendo a volte il filo conduttore comune. È un po’ una pecca, perché quando si inizia a conoscere la vita a Derry tutto finisce. Per fortuna si dice che la seconda stagione uscirà ben presto.
La fotografia e la visione in lingua originale catapulteranno lo spettatore qualche chilometro più a Nord di Dublino, nella patria di George Best, tra prati verdi e profumo di fish and chips. Anche se, quasi a sorpresa, non si vede neanche una birra.
L’idea di raccontare la troppa voglia di vivere di questi giovani in un periodo sicuramente non facile rischia in certe occasioni di perdere originalità e di diventare la solita serie tv già vista e rivista. La prova del 9 l’abbiamo quando scopriamo l’esistenza di un personaggio che fa outing, anche se probabilmente non era necessario. Sembra che Netflix abbia firmato un patto con il diavolo dove non può creare una nuova serie tv senza inserire almeno un personaggio omosessuale.
Una menzione speciale la meritano Ian McElhinney, per lui anche la parte di Ser Barristan in Game Of Thrones, e Tommy Tiernan. I due interpretano rispettivamente un suocero e un genero che non si vogliono troppo bene, passando tutto il tempo a punzecchiarsi.
L’ironia e il cinismo, forse un pochino sopra le righe in certe occasioni (lo dice uno che è bastardo dentro), sono utilizzati per criticare una società fatta di tradizione e contraddizioni. Neanche la religione riesce a rimanere immacolata. Erin e Michelle, soprattutto, sono le due che esprimono i loro pensieri in maniera diretta e disincantata.
Lisa McGee e Michael Lennox con Derry Girls sviluppano un progetto ambizioso che però ha bisogno di altre puntate per rendere al meglio. Serve più coraggio per raccontare le difficoltà e la tensione della guerra civile. Menomale che l’ultima scena sembra essere un buon presentimento. La paura è di vedere progetti originali e fuori dagli schemi venir risucchiati in una spirale di standardizzazione obbligata utile solo ad ottenere facili fan.