Film

Destino – Surrealismo a quattro mani firmato Disney-Dalì

Nel 1946, due artisti leggendari cominciarono a collaborare a Destino, un cortometraggio che contaminava magistralmente la cultura di massa con l’arte. Più di mezzo secolo più tardi, la loro creazione è stata finalmente completata.

 

Una collaborazione mica da poco

Quando due menti esplosive si incontrano, non può che venirne fuori un maestoso e pittoresco fuoco d’artificio, che questa volta si chiama (oh, ma tu guarda, nomen omen) Destino.

Specialmente se le menti in questione sono quelle di Walt Disney e Salvador Dalì: animazione per l’infanzia contro mondo adulto, cultura popolare contro arte tout court, e potrei andare avanti all’infinito elencando tutte le differenze fra i due; ma di ciò che li divideva ci importa veramente poco, perché la vera forza del loro progetto stava nella visione comune di tutte le potenzialità del disegno, e nella condivisione di una fantasia non convenzionale – e di quel pizzico di fuoriditest-ismo senza il quale, diciamocelo, le polveri non prendono mai fuoco.

Bbbelli de casa fotoscioppati un po’ male.

Io me li immagino troppo, Walt Disney e Salvador Dalì, seduti in un café americano che fumano da una pipa vintage e decidono il grado di allucinazione che imprimeranno al loro corto (grado molto alto, ve lo anticipo). L’idea iniziale fu proprio di Walt Disney che, sulla scia di Fantasia e del suo successo, voleva imbarcarsi in un altro package film: un film-unione di episodi diversi, indipendenti fra loro, senza dialoghi ma con il solo filo conduttore della musica, senza una vera e propria trama, in modo che le vere protagoniste della storia fossero le immagini. Le immagini, e la loro capacità di fluire liberamente dalla fantasia del loro creatore, sfuggendo alla logica apparente. Più surrealista di così…!

I feel you non sai quanto, ballerina.

E infatti, Dalì si mostrò subito entusiasta. All’epoca stava lavorando con nientepopodimeno che sua maestà Alfred Hitchcock, curando la scenografia di una sequenza per il film Io ti salverò: si trattava di un fondale dipinto con una serie di occhi giganteschi, gli stessi occhi riproposti in una sequenza di Destino:

Disney scelse anche la musica che avrebbe fatto da fil rouge: la ballata messicana di Armando Dominguez Destino (da cui il nome del corto), poi adattata in inglese da Ray Gilbert con il titolo My destiny in love.

Un progetto abbandonato e poi ripreso

Idee originali e premesse meravigliose. Ma cosa hanno fatto, nella pratica, questi due geni del male e del visuale? Molto poco, ahinoi. Dopo una massima fase creativa iniziale in cui Dalì partoriva continuamente idee sottoforma di bozzetti con cui tappezzava gli studios della Disney (135 avviati + 22 finiti), nessuna sceneggiatura venne mai alla luce. Non è chiaro il motivo per cui il progetto di Destino si arenò, ma probabilmente si trattò sempre della solita vecchia (e ciclica) storia delle gioie violente che hanno fini violente e muoiono nel loro trionfo (avevo promesso qui di non citare mai più Shakespeare a sproposito ma vabè). Fatto sta che nel 2003, recuperati gli schizzi di Dalì e perso ogni rimasuglio di speranza nel dare a questi ultimi un ordine vagamente sequenziale, Roy Disney riuscì a rimettere mano ai materiali e a creare uno storyboard più surrealista che mai, sotto la regia di Dominique Monfrey.

Due degli schizzi di Dalì. Ce ne sono altri nei titoli di coda di Destino, molto godibili dopo lo stato confusionale in cui ti lascia il corto.

Se vogliamo trovare una trama in Destino, questa è la molto banale e molto disneyana Ricerca Del Vero Amore, costellata da peripezie oniriche e deliranti e segnali tutt’altro che decifrabili (elementi molto più realisti che Disney, questi ultimi): lei è una ballerina dalle fattezze vagamente Disney Princess, lui un giocatore di baseball. Si cercano e si perdono e si ritrovano sullo scenario sconfinato di una landa desolata e arida, molto Dalì e anche molto De Chirico. Quello che si può vedere in Destino è un vero e proprio catalogo dell’immaginario e della produzione di Dalì: formazioni rocciose, orologi, cose che sembrano liquefarsi, formiche che diventano ciclisti, elementi paesaggistici dalle sembianze antropomorfe e così via.

Questi inquietanti personaggi non sono altri che Walt Disney e Salvador Dalì che sorretti da due tartarughe formano la sagoma della ballerina protagonista (non è un testo dei Verdena)

L’animazione omaggia il surrealismo

A lavori finiti, Destino colpisce soprattutto per l’impegno con cui gli animatori del nuovo millennio siano riusciti a mantenere pulito e riconoscibile lo stile pittorico di Dalì. Non solo: se parliamo di surrealismo, la scintilla che riesce ad accendere la luce su cose difficili da realizzare (non dico “impossibili”, ché in questi casi è un termine mooolto relativo) come le metamorfosi o le illusioni ottiche, è proprio l’animazione. Le immagini doppie, i paesaggi in cui ogni cosa è qualcos’altro, tutto ciò che nel dipinto è sincronico viene esplicitato e sublimato dal meccanismo dei disegni animati, e in Destino le cose si trasformano realmente l’una nell’altra, sotto gli occhi di uno spettatore che rimane col fiato sospeso e la mascella penzoloni per sei minuti abbondanti (nel mio caso si è aggiunta l’invidia per i capelli della ballerina perché tre giorni fa ho tagliato i miei dopo due anni, ndr).

P.s. se siete ammiratori dell’artista spagnolo, fate un salto sulla pagina Salvador Dalì!

Lucia Baldassarri

La mia data di nascita è il primo pezzetto della tabellina del 3. Campo di grammar nazismo in più lingue, teatro amatoriale, tè e altre splendide cose che non fanno curriculum. Finché non mi crasha photoshop faccio anche l'illustratrice. Se esistesse un posto con i tramonti del Lago Trasimeno e le porte di Bologna, abiterei lì. Guardo film per poter dire che vabè comunque il libro era meglio.
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