
Divorzio all’italiana, ovvero: come ammazzare la moglie e vivere felici
L’Italia ha tanti difetti, da sempre, inutile negarlo: mafia, evasione fiscale, Giorgia Meloni. Ma è anche il Paese del Colosseo, della pastasciutta, di grandi artisti, scrittori e registi.
Per fortuna, oltre ai “bacioni” di Salvini, vero orgoglio nazionale, abbiamo regalato al mondo qualcosa di cui andare fieri: la classe, l’eleganza, l’ironia gentile di Marcello Mastroianni, per il quale ho un malcelato, folle amore.
In questa uggiosa giornata vi voglio quindi propinare la recensione di uno dei film più celebri del mio prediletto, nonché un vero caposaldo del nostro cinema: Divorzio all’italiana, di Pietro Germi (1961).
Agramonte, Sicilia, anni ’60: il barone Fernando Cefalù detto Fefè/Marcello Mastroianni, sposato con la baffuta e ordinaria Rosalia/Daniela Rocca, si invaghisce della cugina sedicenne Angela/ Stefania Sandrelli.
Dato che in Italia esiste ancora il delitto d’onore ma non una legge sul divorzio, Fefè s’ingegna in tutti i modi per trovare un amante per la moglie, così da coglierli in flagrante e, una volta liberatasi di lei, poter sposare la sensuale cuginetta.
Che Divorzio all’italiana sia un capolavoro della commedia all’italiana, per l’appunto, qualsiasi cinefilo lo sa, così come è impossibile negare che sia una delle più grandi interpretazioni del mio adorato Marcello, siciliano furbacchione e maschilista.
Anche il cast femminile è di prim’ordine: la brava Daniela Rocca, imbruttita per l’occasione, è qui una moglie appiccicosa e limitata, sostituita dalla fintamente ingenua ragazzina più giovane e procace, che Stefania Sandrelli, al suo esordio, interpreta in modo convincente.
Tratto da un racconto di Giovanni Arpino, Germi porta sullo schermo il ritratto di un Paese in cui è ancora lecito uccidere la moglie che fa becco il marito ma che trova blasfema mettere fine legalmente ad un matrimonio infelice.
Divorzio all’italiana, oltre ad essere una commedia brillante ricca di battute e intermezzi comico – grotteschi, è soprattutto una feroce satira del moralismo bigotto della Sicilia (e dell’Italia) del secondo dopoguerra, già bersaglio di un altro film da me recensito (ah, l’autocitazione!) sempre con Mastroianni protagonista, Il bell’Antonio.
Momento Superquark: il referendum sul divorzio in Italia si avrà solo nel 1974 e l’articolo 587 del Codice Penale (il delitto d’onore) verrà abolito addirittura nel 1981.
E, a giudicare da ciò che succede anche ai giorni nostri, forse qualcuno non ne è stato ancora informato.
Perché il motore dell’azione in Divorzio all’italiana, cari miei, non è l’infatuazione di Fefè per Angela; per citare l’esponente del PCI in visita ad Agramonte:
«[… ] Nel vostro bel Sud che io ho il piacere di visitare per la prima volta, è giunto alfine il momento di affrontare il secolare problema dell’emancipazione della donna, così come esso è stato affrontato e risolto, per esempio, dai nostri confratelli cinesi. Pertanto, io vi invito a esprimere il vostro democratico parere sul fatto, cioè a dire quale giudizio sereno ed obiettivo merita la signora Cefalù».
E gli abitanti del paese non hanno dubbi nel rispondere: «Buttana! Buttana! Buttanaaa!»