Film

Dogville: una crudele pietra miliare

Il primo dei tre squarci sulle mirabolanti opportunità made in U.S.A. viste con gli occhi di un danese è un pugno nello stomaco. Però di quelli che inducono al masochismo da quanto sono belli.

Dogville è il nome di fantasia di una cittadina del Colorado degli anni Trenta in cui approda Grace, nome niente affatto casuale – come lo stesso nome della città, del resto. Grace è in fuga da due gangster e viene accolta nel villaggio, dove ottiene protezione in cambio di piccoli lavoretti per la comunità. E proprio la comunità è il tema centrale, oltre che il vero protagonista di tutto il film: una comunità apparentemente benevola, ma in realtà malata, dove i piccoli lavoretti si trasformano un’escalation di stupri e vessazioni che culminano in una catena al collo. Come si fa con i cani, appunto, solo che i veri cani in questo caso sono gli abitanti di Dogville.

Lars Von Trier con Dogville ha girato un’opera maestra, non solo per la qualità degli attori – su tutti, Nicole Kidman, James Caan Lauren Bacall, ma anche per l’impostazione di regia e scenografia: Von Trier sceglie infatti un ambiente minimale, nero come la storia e come l’anima di Dogville, metonimia per l’America intera, e sul quale spicca la diafana, purissima Grace. Un déco teatrale e che in certi punti pare richiamare Brecht, solo molto più violento e senza possibilità di redenzione.

Sì, perché dopo capitoli su capitoli di ingiustizie, Grace viene finalmente trovata dai due gangster, che sono in realtà al soldo del padre: Grace puntava a fuggire da quella vita e a cambiare le cose, ma si renderà conto che “il loro meglio non è abbastanza buono per lei”. E dunque non rimane che fare terra bruciata, letteralmente.

Ogni cosa è importante in questo film: dalla suadente e sempre pacata voce narrante, anche quando l’inferno diventa palpabile, alla sigla finale, una carrellata di foto di immigrati disperati sulle note allegrissime di Young Americans di David Bowie, alla sequenza spietata della distruzione delle statuine di Grace, sequenza che verrà ripresa in modo speculare e ancora più crudele nel finale.

Scorretto senza essere inutilmente polemico, come invece rischiano di essere gli ultimi lavori di Von Trier, Dogville è una pietra miliare sia che lo si intenda dal punto di vista della regia, sia della recitazione, sia della pura messa in scena. Da vedere assolutamente, non fosse altro che per la genialità dei capitoli e delle scenografie.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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