
Doppia personalità: il De Palma dimenticato tra Hitchcock e Shyamalan
Quando si parla di Brian De Palma, lo spettatore medio pensa subito a Carrie, Scarface, Gli Intoccabili e Mission: Impossible. I più studiati potrebbero citare Vestito per uccidere, Blow Out e Omicidio a luci rosse. Pochi però sembrano conoscere Raising Cain, qui da noi banalmente ribattezzato Doppia Personalità.
Questo thriller psicologico dimenticato dai più uscì al cinema nell’ormai lontano 1992. A quel tempo De Palma era reduce dal flop critico e commerciale de Il falò delle vanità, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del compianto Tom Wolfe. Di solito in casi come questi la mossa ideale per riprendersi è guardare alle origini. E così fece il regista, decidendo di tornare a un genere a lui più congeniale: il suspense movie che tanto gli aveva portato fortuna tra gli anni ’70 e ’80.

Protagonista di Doppia Personalità è Carter Nix (John Lithgow), stimato psicologo infantile, marito fedele di Jenny (Lolita Davidovich) e padre amorevole di una bambina. All’apparenza uomo perfetto, in realtà nasconde un segreto: a causa dei disumani esperimenti compiuti dal padre durante la fanciullezza, Carter soffre di disturbo di personalità multipla. Quando il genitore riappare per continuare le proprie ricerche sulla psiche infantile, una delle identità di Carter, il malvagio Cain, inizia a rapire per lui dei bambini da usare come cavie, lasciando nel frattempo dietro di sé una lunga scia di cadaveri.

Già dalla sinossi si capisce come questo film sia molto più nelle corde di De Palma. In esso infatti si possono individuare molti dei temi portanti del suo cinema più personale: la schizofrenia, il voyeurismo, la sessualità repressa, la confusione tra finzione e realtà. Ma soprattutto l’omaggio al maestro Alfred Hitchcock.

Nessuno si è mai imposto come erede del cineasta inglese meglio di De Palma. Tutta la sua filmografia si basa sul recupero di echi e stilemi di stampo hitchcockiano, rielaborati e aggiornati secondo un’ottica postmoderna. Un’operazione citazionistica che spesso coinvolge le trame stesse delle pellicole. Pensiamo a Omicidio a luci rosse, sorta di remake-fusione de La finestra sul cortile e La donna che visse due volte.
Nel caso specifico di Doppia Personalità, De Palma realizza il proprio Psycho personale (il secondo dopo Vestito per uccidere). Di fatto il Carter Nix magistralmente interpretato da Lithgow è una versione 2.0 del Norman Bates di Anthony Perkins, solo con più di due personalità (quindi il titolo italiano oltre che banale è sbagliato). Ma a parte ciò, il film abbonda di strizzate d’occhio al capolavoro di Hitchcock, alcune più sottili, altre invece parecchio palesi (la scena dell’inabissamento dell’auto nella palude).

In tutto questo, Doppia Personalità si dimostra un thriller avvincente e inquietante, capace di lasciare lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine. Naturalmente ciò non sarebbe possibile senza la sapiente mano di De Palma, che qui tira fuori il meglio dal suo repertorio di virtuosismi registici: si va dalla soggettiva del killer al rallenty per le sequenze a più alto tasso di tensione, passando per i celeberrimi split diopter shot (che ormai io chiamo “inquadrature alla De Palma”) e i piani-sequenza.

E a proposito di questi ultimi, non si può non menzionare il long take, piazzato a metà pellicola, con cui il regista ci porta dall’ultimo piano di una stazione di polizia fino all’obitorio. Un unico movimento di macchina di quasi 4 minuti, senza stacchi di montaggio, che colpisce per inventiva e complessità e che meriterebbe di essere studiato nelle scuole di cinema. Eppure quasi nessuno ne parla. Che è un po’ ciò che si può dire del film stesso, già abbastanza bistrattato all’epoca. Difficile capire il motivo di tanto astio.
Ovviamente non sto dicendo che Doppia Personalità sia un film perfetto, e infatti ci sono diversi aspetti che fanno storcere il naso. Per cominciare Cain, con la sua giacca di pelle, gli occhiali da sole e la sigaretta sempre accesa, è una figura a tratti troppo macchiettistica. La Davidovich, da parte sua, è più bella che brava, mentre il personaggio dell’ex fiamma di Jenny (interpretato da Steven Bauer), a parte far ingelosire Carter, non ha un ruolo così importante nella storia. La sceneggiatura infine non è priva di sbavature e occasioni mancate: quanto sarebbe stato geniale, per esempio, se il padre di Carter si fosse rivelato solo un’altra delle sue personalità (tanto più che è sempre Lithgow ad interpretarlo)!

Nulla di tutto questo però giustifica una simile damnatio memoriae. L’unica spiegazione che riesco a immaginare è che il film di De Palma fosse troppo avanti per i suoi tempi. Così avanti da avere praticamente anticipato di vent’anni Split di M. Night Shyamalan. In Carter Nix e le sue altre tre personalità (Cain, il giovane Josh e la fredda Margo) è possibile riconoscere un antenato del Kevin Wendell Crumb di James McAvoy, e le similitudini non si fermano certo qui (in entrambe le pellicole abbiamo un protagonista che rapisce delle persone e un’anziana dottoressa che studia il suo caso).

Non mi sorprenderebbe se l’autore de Il Sesto Senso e Glass si fosse ispirato proprio al thriller di De Palma per la sua opera. Il che mi farebbe piacere perché vorrebbe dire che Doppia Personalità, seppur indirettamente, un segno lo ha lasciato. Sia come sia, vi invito caldamente a recuperarlo. Magari non sarà alla stessa altezza dei capolavori del regista, tuttavia rimane una pellicola interessante e sottovalutata, che necessita assolutamente di essere riscoperta.