
Downton Abbey, il film: non se ne sentiva il bisogno, ma visto che l’han fatto…
Downton Abbey è stata la prima serie che ho visto quando sono entrata nel mondo civilizzato, ovvero il momento in cui ho sottoscritto l’abbonamento a Netflix: ne ho amato praticamente ogni episodio, ogni intrigo, ogni battuta di Lady Violet, ovvero l’inarrivabile Maggie Smith.
La serie è terminata nel 2015, dopo sei intense stagioni (viste d’un fiato) e, a parer mio, tutti i cerchi si chiudevano più o meno sensatamente: le questioni in sospeso venivano risolte, le eventuali gravidanze annunciate e ciascun personaggio prendeva il suo posto nel Cerchio della Vita, per citare Il re leone.
Potrete quindi capire la mia sorpresa, mista a gioia, mista a timore, quando venne annunciato un film di Downton Abbey: cosa aveva da dirci di ancora taciuto lo sceneggiatore Julian Fellows?
Nonostante i dubbi, io e il mio degno compare, eccitati e curiosi, abbiamo indossato i nostri abiti di crinolina e le livree e ci siamo recati devotamente al cinema per l’evento.
1927: re Giorgio V e l’augusta consorte annunciano l’imminente visita nello Yorkshire e l’intenzione di trascorrere una notte a Downton, ospite dei Crawley.
Padroni di casa e domestici si preparano ad accogliere le Loro Maestà al meglio delle loro possibilità ma non hanno fatto i conti con il seguito reale, che prende possesso di prepotenza della magione, e con gli intrighi e rivalità che la visita fanno emergere, turbando il tranquillo ménage dei conti di Grantham.
Il regista Michael Engler ha pisciato un po’ fuori dal vaso, per usare un francesismo: senza remore di sorta, Downton Abbey è un prodotto discreto, gradevole sia per il fan sia per il neofita.
Detto questo, oltre a non aggiungere nulla di veramente interessante alla trama (ad eccezione di un unico elemento che non posso dire – pena la scomunica da parte del tribunale dell’Inquisizione degli spoiler), è un film che non vale la pena di portare sul grande schermo, perché non vale il prezzo del biglietto, ahimè.
Per un pomeriggio sotto le coperte davanti alla tv con una tazza di tè, ci sta: uno speciale, un episodio spurio, un di più insomma, assolutamente sì, ma nient’altro.
Perché il film di Downton Abbey è pieno di piccole gag, alcune argute, altre meno: lo squisito humour inglese, repertorio di Lady Violet in primis ma anche degli altri personaggi, fiore all’occhiello della serie, si perde tra battute sciocche e strizzatine d’occhio al politically correct, che suonano ancora più anacronistiche se si pensa che l’ambientazione è l’Inghilterra conservatrice degli anni ’20.
Mary/Michelle Dockery, vera protagonista della serie, nel film è poco più che una casalinga travolta dalle faccende domestiche che non sa disbrigare a dovere senza l’aiuto di Anna/Joanne Froggat, unico personaggio pimpante: per quanto io non abbia mai sopportato Mary, questo ruolo subalterno proprio non le si addice.
Gli altri protagonisti si perdono dietro a pettegolezzi e scaramucce, senza che riescano a distinguersi veramente l’uno dall’altro: perfino Edith/Laura Elisabeth Carmichael, la femminista ante litteram, ragazza madre, aspirante giornalista, nel film di Downton Abbey è una moglie trascurata dal maritino.
E Lady Violet? Raga, quanto ci sono mancate le sue battute caustiche, anche se la recitazione di Maggie è sempre ineccepibile (sì, sono di parte ma me ne sbatto).

Insomma: il film di Downton Abbey non è male, non siamo usciti sboccando dal cinema ma manco entusiasti.
Se ne sentiva il bisogno? No.
Ci siamo andati perché siamo degli asociali col pallino dei film in costume? Sì.