Nel 2010 uscì la prima puntata di Downton Abbey, serie tv anglo-americana ambientata nell’età giorgiana. Fu acclamata dalla critica e promossa a pieni voti dal mondo intero. Ecco perché questo dramma in costume, dall’inconfondibile gusto british, guadagnò un posto nell’olimpo dei prodotti più amati della TV.
Mio nonno mi raccontava spesso di essere stato, per un periodo, a servizio di una famiglia di rinomati Conti nel perugino. Dovevano essere gli anni Cinquanta, e lì aveva incontrato mia nonna, che prestava anche lei servizio. Ce lo ricordava soprattutto in momenti emblematici. Ad esempio, quando si doveva apparecchiare la tavola. Ogni cosa doveva avere il suo posto: i sottobicchieri, le posate, il cibo quasi mai portato in tavola nelle pentole e nelle padelle. Sono sempre rimasto affascinato dai quelle memorie di un passato che non c’è più. Poi è arrivato Downton Abbey.
Downton Abbey ha fatto la sua fortuna sulla fedele messa in scena di un universo ancora più lontano: quello delle case nobiliari inglesi della prima metà del secolo scorso. Sulla scia del fascino che questa serie aveva suscitato, anche documentari e libri hanno raccontato che cos’era vivere al servizio di una famiglia nobile, non solo in Inghilterra. Uno spirito, quello delle maniere aristocratiche, che viene sintetizzato in una frase del Conte di Grantham: «Tutti noi abbiamo un ruolo da mettere in scena. E tutti noi dobbiamo poterlo recitare.» È questo ciò che affascina prevalentemente ai giorni nostri. Ma non è solo l’idea di una società fatta di regole e convenzioni precise che ha fatto di Downton Abbey una vera e propria perla delle serie tv in costume, o period drama. Ecco, di seguito, i motivi per cui – che siate o no appassionati del genere – dovreste proprio recuperarla.

UN PASSATO CHE NON C’È PIÙ
In un epoca e uno spazio lontani dal nostro, il tasto di un telegrafo si muove convulsamente. La notizia che i segnali elettrici compongono è quella dello sconvolgente affondamento del RMS Titanic. È così che prende avvio Downton Abbey: l’epopea dei Conti Crawley e della loro tenuta nello Yorkshire.
Dopo di ciò, una serie di piani sequenza ci introducono la grande dimora di Downton Abbey, vera protagonista della serie. È una macchina perfetta che, con i suoi molti ingranaggi, si mette in moto come ogni mattina di buon ora. Prima che la famiglia si svegli, le cameriere, sotto lo sguardo attento della governante Hughes, aprono le imposte e puliscono gli ambienti, mentre la sguattera si occupa di accendere i caminetti. Nel frattempo, i camerieri raccolgono i bicchieri della sera precedente, la cuoca organizza i piatti della colazione e il maggiordomo asciuga le pagine del quotidiano con un ferro da stiro perché il Lord non si sporchi le dita con l’inchiostro.
C’era un mondo che oggi non c’è più, dall’età vittoriana fino alla seconda metà del Novecento. Un mondo fatto di regole precise e ruoli stringenti. Un mondo pedissequamente suddiviso in upstairs e downstairs, campanelle che suonano, fatto di famiglie nobili e servitù. Un mondo dove le suddivisioni di genere, età, classe e posizione sociale stringevano gli individui in livree, grembiuli, frac e corsetti e condizionavano la loro vita. Un mondo che oggi a stento riconosciamo.

Ma non è solo la rappresentazione della gerarchia dei domestici e delle “buone maniere” dei nobili che ha decretato il successo del dramma in costume. Ci troviamo di fronte a una vera e propria perla in termini di sceneggiatura e costruzione dei personaggi. Questi non sono solamente il ruolo che mettono in scena a Downton, che siano valletti, cameriere personali o tate. Sono, soprattutto, personaggi a 360°. Senza alcuna eccezione.
UNA STORIA (E IL SUO TEMPO)
Sebbene la vita all’interno di una dimora inglese della prima metà del Novecento possa sembrare noiosa e ripetitiva, la vita a Downton Abbey è tutt’altro che abitudinaria – e la serie tutt’altro che noiosa. Gli scandali spingono per uscire da Downton Abbey, mentre fuori dalla porta bussa il nuovo secolo, con le sue innovazioni sociali e tecnologiche. Appare chiaro fin da subito, infatti, che ci troviamo di fronte a un mondo che sta tramontando, travolto dalla ghigliottina della modernità. Un “vivere moderno” che assume le fattezze talvolta di un tostapane, di un grammofono, di una radio o addirittura di una guerra mondiale.

Gli sceneggiatori hanno fatto un lavoro eccellente nel delineare i personaggi mentre attraversano queste dinamiche. Tutti ricordano, ad esempio, Violet Crawley – la sagace matriarca della famiglia interpretata da una perfetta Maggie Smith, che con le sue perle di saggezza è diventata la protagonista di meme e vignette. Più degli altri è l’emblema di un passato che sopravvive, ma sa di essere ormai spacciata – è un dinosauro.
In Downton Abbey la storia è raccontata con un equilibrio e una cura del dettaglio tali che la serie si è guadagnata il Guinness dei primati come show più acclamato dalla critica nel 2011. A dispetto di ciò che si potrebbe pensare di un dramma in costume, infatti, siamo lontani anni luce dalle soap opera e dai loro espedienti narrativi “da quattro soldi”.
QUALITÀ E ATMOSFERA
Ciò che fa di Downton Abbey un prodotto così solido, però, non è solo una sceneggiatura costruita alla perfezione, ma anche il messaggio che porta con sé: il conflitto tra il vecchio e il nuovo, tra privilegiati e non. Un’opera d’insieme che ci porta nel passato e ci fa scoprire quanto non sia scontato l’ottenimento di libertà e diritti che oggi diamo per assodati. Il mondo di Downton Abbey è infatti pieno di sovrastrutture che oggi sono inesorabilmente crollate, come la relegazione della donna ai ruoli domestici o la segregazione razziale e di classe.
La serie è estremamente godibile anche per il maniacale lavoro che Donal Woods ha fatto per ricreare le ambientazioni e per l’impegno che è stato profuso nella messa in scena totale, dalle musiche ai costumi. Un dramma d’atmosfera che, come tale, pone l’enfasi sulla fedele ricostruzione di un’epoca, con i suoi cliché e le sue convenzioni.
Sempre per rimanere in tema di cliché, no, non è roba per casalinghe. No, non è Il segreto. È alta televisione.