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Drag Me To Hell – Il capolavoro dimenticato di Raimi

L’altra sera, riguardando Drag Me To Hell dopo molti anni dall’ultima visione, non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai questo film non abbia ancora acquisito l’importanza che merita all’interno del panorama horror.

Il sospetto è che, se il film fosse uscito nel 1989 invece che nel 2009, Drag Me To Hell in quanto a popolarità non avrebbe nulla da invidiare alla trilogia di Evil Dead (di recente tornata alla ribalta grazie alla spettacolare serie Ash vs Evil Dead).

Come i vecchi capolavori di Raimi, anche questo suo sottovalutatissimo gioiello è un film di puro intrattenimento. Pieno di quelle trovate comiche tipicamente raimiane che i fan hanno imparato ad amare, e allo stesso tempo capace di dare allo spettatore vere e proprie lezioni di cinema dell’orrore.

Un trionfo di fantasia e di creatività che rende Drag Me To Hell un autentico capolavoro dimenticato della filmografia di Sam Raimi.

La trama è riassumibile in due righe: Christine è una ragazzotta che lavora all’ufficio prestiti di una banca. Nel tentativo di impressionare il capo per ottenere un’ambita promozione, nega la proroga del mutuo ad una vecchia zingara, portandole di fatto via la casa. Sfiga vuoi che la vecchia coltivi l’hobby della magia nera, e allora ecco che la ragazzotta si prende una bella maledizione di quelle cattive: da lì a tre giorni, il demone Lamia verrà a reclamare la sua anima per portarla all’Inferno.

E tanti saluti alla promozione.

Già un plot del genere basta da solo per farmi sbavare, ma quello che ci combina Raimi è davvero un qualcosa che continua a farmi godere manco fosse Grosso contro la Germania. Drag Me To Hell è un susseguirsi sfrenato di trovate geniali, di scene cult, di istant classic e di personaggi assolutamente indimenticabili.

Fra questi, merita senz’altro l’immortalità la vecchia zingara Sylvia Ganush, interpretata in maniera spettacolare da Sonia Scotti. Detta brevemente, il Disgusto fatto personaggio. Mi immagino Sam Raimi che nello scrivere la sceneggiatura dice ai suoi collaboratori una roba tipo “mi raccomando, ogni 5 secondi in cui Sylvia è in scena dobbiamo farle fare qualcosa di rivoltante!”.

La strega sbava, scatarra e vomita una quantità di liquidi e di schifezze tali perderne letteralmente il conto. E, ovviamente, tutto finisce sulla faccia della povera Christine (che non disdegna comunque di spruzzare sangue dal naso ad idrante manco fosse il Maestro Muten davanti alle pere di Bulma in Dragon Ball).

Tuttavia, nonostante la malefica signora Ganush sia essenzialmente l’antagonista di Drag Me To Hell, le cose non sono così semplici. E questo lo capiamo fin dalla prima volta che Raimi introduce la zingara all’interno della storia, dove ci viene presentata per quello che è: una povera vecchia, malata, che cerca disperatamente di non finire in mezzo alla strada. Che arriva addirittura a supplicare in ginocchio per avere un’ultima possibilità di mantenere i suoi pochi averi.

Insomma, per quanto la signora Ganush sia schifosa a livelli inumani, è impossibile non provare compassione per lei.

Ecco allora che, nel momento in cui Christine sacrifica la sua umanità solo per ingraziarsi il suo superiore, i ruoli si ribaltano. La ragazza maledetta non è più una povera sventurata, ma una stronzetta che, se non proprio l’Inferno, qualcosa di brutto un pochino se la merita.

Questo è sicuramente un aspetto interessante e, soprattutto, innovativo per la filmografia di Raimi. Perché anche il peggiore dei suoi eroi, cioè il buon vecchio Ash, nonostante sia un borioso cazzone, è sostanzialmente buono di cuore. Insomma, in tre film (e una serie) non ti viene mai da dire “Ma guarda te sto gran figlio di puttana…!”.

Ecco, Christine riesce nell’impresa di meritarsi degli insulti dopo 10 minuti dall’inizio del film. E questo anche grazie ad Alison Lohman, che un pochino la faccia da schiaffi ce l’ha di base. Ma state tranquilli che, come era stato per Ash, anche Christine si trasformerà in una sorta di personaggio dei cartoni chiamato a sopportare ogni tipo di mazzata possibile.

Dicevamo all’inizio che Drag Me To Hell è puro intrattenimento, ma in che modo? Beh, è semplicemente uno spasso. Scene che in mano a chiunque altro risulterebbero l’apoteosi del trash e della puttanata, gestite da Raimi diventano il massimo del divertimento e della comicità (voglio dire, ma chi altri al mondo avrebbe potuto farsi venire in mente la scena della capra? Oppure quella esilarante del gatto?). Ma la genialità non sta solo nel saper far ridere, perché altrimenti staremmo parlando di una commedia pura e semplice. Drag Me To Hell invece è soprattutto un horror, e quando c’è da inquietare e terrorizzare risponde sempre presente.

Voglio dire, dopo due minuti dall’inizio del film Raimi si preoccupa di spedire un ragazzino dritto dritto fra le fiamme dell’Inferno. Altro che risate.

Ecco allora che il film si rivela come un figlio diretto de La casa 2, perché ne replica la stessa geniale follia. Si passa così da una scena terrificante ad una da lacrime agli occhi nel giro di un battito di ciglia, in una giostra totalmente schizzata che, grazie anche ad una sceneggiatura perfetta e mai forzata, vorremmo continuasse a girare per sempre.

Ma purtroppo, come tutte le giostre, anche Drag Me To Hell deve prima o poi fermarsi. Solo che, quando lo fa, ci regala un finale semplicemente spettacolare. Avete presente quando una storia vi offre un finale assolutamente perfetto e totalmente appagante? Ecco, questo è uno dei rarissimi film in cui accade.

Sono già passati sette anni da quando Raimi ha firmato questa autentica perla del cinema horror, e francamente comincio a sentire bisogno fisiologico che Sam torni a mettere mano al suo genere preferito. Che l’episodio pilota di Ash vs. Evil Dead non mi è bastato niente.

Nell’attesa, credo sia giunta ormai l’ora di permettere a Drag Me To Hell di entrare nella Hall of Fame del cinema horror.

Senza contare che il film di Raimi ha avuto un altro, encomiabilissimo merito: quello di farci venire voglia di essere gentili con le signore anziane.

Che non si sa mai cosa fanno ‘ste vecchiette fra un solitario e l’altro.

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Roberto Lazzarini

25 anni, cresciuto fin dalla tenera età a film, fumetti, libri, musica rock e merendine. In gioventù poi ho lasciato le merendine perchè mi ero stufato di essere grasso, ma il resto è rimasto, diventando parte di quello che sono. Sono alla perenne ricerca del mio film preferito, nella consapevolezza che appena lo avrò trovato, il viaggio ricomincerà. Ed è proprio questo il bello.
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