
Dredd – Il Giudice dell’Apocalisse, o quando le attese vengono ripagate
In un lontano futuro, una guerra nucleare ha ridotto la Terra a una massa desertica. Gli ultimi brandelli di umanità vivono all’interno di Mega City 1, un conglomerato che si stende senza interruzioni da Boston a Washington, dove grattacieli alti centinaia di piani fanno ombra alle rovine del vecchio mondo. All’interno di questa gigantesca metropoli la criminalità domina a tal punto che per mantenere l’ordine vengono istituiti i “Giudici”, speciali agenti di polizia con i poteri di giudice, giuria e boia. Il migliore tra questi è l’integerrimo Dredd.
Durante una “normale” giornata di lavoro, Dredd e la nuova recluta Anderson si recano a Peach Trees, un enorme palazzo che fa le veci di una città, per indagare su un triplice omicidio. Una volta sul posto vengono però intrappolati nell’edificio da Ma-Ma, spietata boss del quartiere e venditrice della droga “Slo-Mo”. Braccati da tutte le parti da criminali e membri delle gang, i due Giudici dovranno farsi strada a forza per superare la notte e consegnare Ma-Ma alla giustizia.

Questa è in soldoni la trama di Dredd – Il Giudice dell’Apocalisse, secondo adattamento del noto fumetto di John Wagner e Carlos Ezquerra dopo il mediocre film del 1995 di Danny Cannon. Una pellicola uscita negli Stati Uniti e nel resto del mondo già nel 2012, ma arrivata in Italia, direttamente in home video, solamente qualche settimana fa! Una lunga attesa quindi, per fortuna ampiamente ripagata.
Ufficialmente diretto da Pete Travis (regista del sottovalutato Vantage Point), di fatto opera prima dello sceneggiatore Alex Garland (Ex Machina, Annientamento), questo nuovo Dredd prende decisamente le distanze dal lungometraggio con Sylvester Stallone. Le atmosfere un po’ camp di quest’ultimo vengono infatti spazzate vie per lasciar spazio a un approccio più crudo, violento e realistico, seppur non privo di un pizzico di black humor. Il risultato, non serve dirlo, è straordinario.

Nell’adattare il fumetto sul grande schermo, Garland sottopone tutto (compresi gli aspetti più grotteschi) al filtro del verosimile. Le ambientazioni alla Blade Runner sono così sostituite da chilometri di slum che paiono usciti da un film di Neil Blomkamp (e difatti le riprese si sono svolte perlopiù in Sudafrica). Allo stesso modo, le divise dei giudici perdono tutta la vistosa paccottiglia delle versioni su carta per farsi più sobrie, scure e sporche, nonché più professionali. Queste e altre scelte, lungi dal tradire lo spirito dell’opera originale, contribuiscono a creare un mondo futuristico credibile ancorché oscuro, dove il confine tra vittime e criminali è labile e la morte è all’ordine del giorno.

Se la parte fantascientifica può dirsi riuscita – grazie anche ad effetti speciali abbastanza apprezzabili considerando il budget limitato (“solo” 45 milioni di dollari) – è sul versante action-poliziesco che la pellicola dà il meglio di sé. Adottando il modello uomo-solo-in-edificio-isolato reso celebre da Die Hard e perfezionato da The Raid (non a caso fonte d’ispirazione principale per questo film), Dredd alterna momenti di autentica suspense a scene d’azione che sono una gioia per gli occhi.
Le sparatorie e i combattimenti sono dinamici, spettacolari ed eccitanti, ma soprattutto non lesinano in spargimenti di sangue, con una “passione” che non vedevo dai tempi di Robocop (opera di cui Dredd, per tono e tematiche, potrebbe essere l’erede ideale). Al di là di questo, il film gode di un ritmo incalzante, scandito dalla trascinante colonna sonora techno-elettronica di Paul Leonard-Morgan, ed è impreziosito da alcune delle migliori sequenze al rallentatore mai viste sul grande schermo. Concepite per replicare gli effetti della Slo-Mo, tali scene possiedono una bellezza visiva semplicemente unica, garantita da una fotografia psichedelica che sfiora l’opera d’arte.

Ovviamente non si può parlare di Dredd senza citare il suo protagonista, a cui presta il volto il Karl Urban di Star Trek e The Boys. Oddio, il volto… Diciamo il mentone, visto che in nome della fedeltà al fumetto il Giudice non si leva mai il casco dalla testa. Non che sia un problema per Urban, dato che a lui bastano bocca, movenze e voce per caratterizzare alla perfezione una figura che, per quanto badass, non può dirsi completamente positiva. Freddo come un robot e apparentemente privo di emozioni (anche se non immune alle one-liner), Dredd è l’incarnazione della Giustizia, come lui stesso ricorda (“Io sono la Legge”), ciò non toglie che combatta il crimine con la stessa violenza e ferocia delle persone a cui dà la caccia.

Suo perfetto contraltare è la giovane Giudice Anderson, la classica novellina armata di grandi speranze e buone intenzioni, che scoprirà sulla sua pelle che il mondo in cui vive non è così innocente come crede. Ma che alla fine riuscirà comunque a far emergere un barlume di moralità nel suo superiore. Ad interpretarla la bella Olivia Thirby, tutto sommato convincente, malgrado reciti per gran parte del tempo con la bocca aperta. La vera rivelazione è però Lena Headey (la Cersei de Il Trono di Spade), eccellente nei panni della cattivissima Ma-Ma, le cui cicatrici sul viso riflettono la spaccatura della sua psiche.

Diventato in poco tempo (giustamente) un cult, Dredd è senz’altro uno degli action movie più belli e rivoluzionari dell’ultimo decennio, insieme a Mad Max: Fury Road e John Wick. Proprio per questo mi chiedo due cose. Prima di tutto, perché noi italiani abbiamo dovuto aspettare sette anni per vedere questo capolavoro? Secondo e più importante, perché non abbiamo ancora avuto un sequel?