Il male più antico del mondo: l’invidia che il Vecchio ha per il Nuovo
Da qualche tempo a questa parte ci troviamo di fronte a un increscioso caso di bullismo artistico nei confronti del maggiore rappresentante della Settima Arte contemporanea, il re del rallenty, il duca del montaggio frenetico, il regista che tutti noi oggi abbiamo la fortuna e il privilegio di poter ammirare all’opera: Michael Bay. La Santa Pasqua è passata, tutti siamo più buoni (o era a Natale?) ed è forse venuto il momento di rivalutare (o veder resuscitare, se vi è cara la metafora pasquale) uno dei registi su cui è stato buttato più fango di tutta la storia, un artista vero, un costruttore di mondi, un visionario così talmente vicino all’archetipo da sfanculare nientepopodimeno che messer Kubrick. E cominciamo chiedendoci: ma perché il povero Michael sta così sulle palle? Forse perché i suoi scavalcamenti di campo non sono errori di grammatica filmica (come asseriscono le malelingue), ma sono tutti tesi a far godere meglio le scene d’azione e niente affatto fastidiosi? Forse perché i produttori si fidano ciecamente di lui? Forse perché inserire qualche messaggio pubblicitario OGNI TANTO non solo è lecito, ma addirittura doveroso da parte di un artista che deve pur campare e che ha bisogno di farsi pagare per il suo onesto lavoro? Forse perché la gente invidia i suoi piani-sequenza che Orson Welles se li sogna?
Il rapporto di Bay con l’altrui invidia ha radici antiche: fin da quando ha impugnato per le prime volte la macchina da presa il giovane Michael ha suscitato antipatie dovute al suo genio indiscusso, tanto da essere respinto alla facoltà di cinema dell’Università della South California. Ma ci pensate? Come se Michelangelo fosse scartato a un bando per disegnatori di Topolino.
Non che la cosa stupisca più di tanto: i 4 in pagella di Einstein sono noti ed arcinoti, ma che il talento dei genii non venga ancora riconosciuto fa male, soprattutto quando poi dichiariamo a gran voce che la civiltà di oggi sia giunta al suo massimo splendore. Non è così, lettori adorati, non è così purtroppo, e sappiate anche che quelli tra di voi che non capiscono un cinema come quello di Bay – un cinema vero, autentico, fatto di puro, cristallino talento – forse dovrebbero abbandonare i loro panni di barbosi puristi che passano le giornate a declamare citazioni a caso dal Settimo sigillo…

Sveglia gente, i tempi cambiano, il cinema si aggiorna; il vecchiume muore e il nuovo avanza e Michael Bay ce lo dimostra fin dai suoi esordi. La verità è che il pubblico pecorone – come suo solito – pascola seguendo quei quattro vecchiacci noiosi che si definiscono “critici cinematografici”; quel folto gruppo di parassiti della società civile che rimangono stupidamente attaccati a un cinema fatto di idee, di talento e amore per quello che si fa, e che non hanno capito quello che a Michael Bay è chiaro fin dal suo primo film: il cinema deve dare al pubblico quello che il pubblico chiede, perché solo quello è grande cinema, tutto il resto è sbobba.
Et voilà – risponde il regista prodigio di Los Angeles – il film è servito.
Sì, perché quella di Michael Bay è una carriera che parte subito col botto: un tris action da far cadere il parrucchino a Donald Trump, ovvero Bad Boys (1995), The rock (1996) e Armageddon (1998). Dite la verità? Quale regista nella storia può vantare un inizio del genere?
Michael in questi suoi film mette subito in chiaro quale sarà il diktat della sua Rivoluzione Cinematografica: maxi-produzioni (perché il vero cinema necessita di miliardi, basta fare gli indie alternativi coi pantaloni stracciati e le camicie a quadri); attoroni a manetta (perché il Neorealismo e gli attori presi dalla strada sono robaccia da snob e a noi fottesega); patriottismo power a stelle e strisce (perché possiamo fare tutta la retorica che vogliamo, ma i buoni sono gli americani, punto) e regia iper-iper-iper-cinetica (perché il cinema in quanto Arte riproduce la vita e se la vita è veloce anche il cinema deve esserlo).
Dopo i successi degli esordi la poetica di Bay si fa più matura e riflessiva; Pearl Harbor (2001), Bad Boys II (2003) e soprattutto The island (2005) rivoluzionano i rispettivi generi, dando vita alla Bay-leggenda, perché questo è quello che Bay è oggi per noi: un autore di culto, un Maestro che ha imposto una novità artistica fondata sulla propria rivoluzionaria espressività. Insomma siamo di fronte un nuovo modo di fare cinema che, come tutte le cose nuove, spaventa chi si aggrappa disperatamente al relitto del Vecchio: mi riferisco a quella mandria di zeloti che invocano gente come Kubrick, Scorsese, Carpenter, Hitchcock, quei sinistroidi incapaci della Nouvelle vague e quello shooter sopravvalutato di Tarantino…
Sveglia gente: bisogna guardate avanti…
… e a proposito di guardare avanti, nel 2007 il nostro regista riesce a coniugare perfettamente il vecchio al nuovo, unendo il suo stile visionario a un cartone animato anni ’80. Ecco che dal nulla Bay tira fuori dal cilindro il suo prodotto più sensazionale, quel Transformers che – giunto al quarto capitolo – non accenna a terminare (e per fortuna! direi).
Abbiamo trascurato di parlare del Bay produttore, del suo gusto ineguagliabile per quei film che hanno cambiato (e stanno ancora cambiando) il panorama di un genere horror in crisi per colpa di roba come Babadook, come 28 giorni dopo e di serie tv come Ash vs Evil Dead. Bay per prima cosa riprende in mano brand come Non aprite quella porta, Venerdì 13 e Nightmare, che vengono svecchiati e che finalmente ci possiamo godere in santa pace senza romperci le palle con tutti quei sottintesi politici pessimistici e grazie a effetti speciali degni di questo nome; in un secondo momento poi pompa forte sull’originalità, producendo il capolavoro Ouija che ha terrorizzato mezzo mondo con la sua freschezza e i suoi guizzi registici.
Dopo questa litania di successi, queste mie lodi sperticate nei confronti di un manifesto genio, vi invito a non ascoltare più quei maldicenti che lo criticano ingiustificabilmente: come abbiamo visto Michael Bay e gli invidiosi si conoscono bene da parecchio tempo…
Che altro dire di un artista a trecentosessanta gradi che sforna una perla dopo l’altra? Niente se non il consiglio a gustarvi i suoi splendidi film e a cercare di non deviare dalla retta via, quella stessa retta via che Bay – in una sua messianica versione – ha prematuramente indicato fin dai suoi primissimi lavori.
A quei tre che ci hanno creduto fin dall’inizio dico che se vi sentiti ingannati dovete prendervela esclusivamente con voi stessi: Michael Bay è talmente cane che ogni elogio nei suoi confronti deve sapervi di presa per il culo a prescindere.