La pedagogia è una disciplina assai affascinante. Se ci pensate essa è quella cosa, quel metodo, quell’insieme di pratiche e regole che determinano cosa saremo. D’altronde un bambino quando nasce non sa nulla di come ci si comporta, vive allo “stato naturale” per dirla con Rousseau. Tutto quell’insieme di norme che costituiscono il vivere in società si acquisiscono crescendo, attraverso l’educazione; ed è qui che entra in gioco la pedagogia, la quale ha un ruolo cruciale nel determinare l’educazione civile.
L’educazione infantile, infatti, è essenziale per fornire al bambino le fondamenta comportamentali che successivamente lo costituiranno in quanto individuo civile. Detto in parole povere il bambino impara a comportarsi.
Ma cosa succede se si salta questo passaggio?
Ci sono due film quasi coevi che provano a dare una risposta. Da un lato abbiamo L’enigma di Kaspar Hauser di Herzog; dall’altra Il ragazzo selvaggio di Truffaut.
In entrambi i film il protagonista non ha ricevuto l’educazione di base, è cresciuto senza apprendere le norme comportamentali fondamentali, dall’utilizzare un cucchiaio per mangiare, al camminare in posizione eretta, sino all’articolare suoni e parole.
La domanda che si pongono i due film differisce, ma gli esiti a cui la narrazione conduce sono sovrapponibili e in egual modo rispondono alla domanda che noi ci siamo posti poco sopra.
Truffaut si chiede se sia possibile portare allo stato civile un ragazzo, appunto, selvaggio. Il protagonista del film, infatti, è un bambino di circa 8 anni che è stato abbandonato dai genitori nel bosco e lì ha vissuto ed è cresciuto, senza quindi una guida educativa che ovviasse a insegnargli le norme comportamentali. Da alcune cicatrici riscontrate sulla testa si deduce che i genitori volessero liberarsi di lui uccidendolo.
Herzog, invece, in un certo modo dà per scontato che il suo protagonista possa approdare allo stato civile, e proprio perciò ne problematizza gli esiti. Un uomo che non è stato educato durante l’infanzia diviene un uomo civile allo stesso modo in cui noi intendiamo la civiltà?
Così facendo Herzog si sta chiedendo e ci sta chiedendo che cosa significhi civiltà. Il suo film allora diventa un modo per criticare e spogliare le norme canonicamente accettate come civili, per dismettere tutti quei codici comportamentali rigidamente codificati.
Kaspar Hauser è un individuo che sente in modo autonomo, che sviluppa una sensibilità fortissima e acutissima nei confronti di tutto ciò che non fa parte delle convenzionali regole borghesi. Si vedano il suo amore per la musica e le visioni da cui è affetto. La storia di Kaspar Hauser è la storia di un’individualità libera e liberamente formata che si scontra con le rigide regole della logica che i vari tutori incaricati della sua educazione vorrebbero che egli imparasse naturalmente.
In altre parole assistiamo allo scontro tra ragione e sensibilità, tra natura e cultura.
Truffaut a sua volta si scontra con l’impossibilità di salvare il ragazzo selvaggio dalla totale carenza di vita. Infatti in entrambi i film è centrale l’elemento del linguaggio, lo strumento che dà forma alla realtà e alla nostra individualità.
Il Ragazzo selvaggio perciò visualizza l’educazione linguistica di Victor come l’elemento cardine di tutta la sua educazione. Truffaut lotta in prima persona (è lui che interpreta il precettore di Victor, il dottor Itard) per far sì che il ragazzo si conquisti una dimensione, uno spazio, perché attraverso il linguaggio ci si costituisce.
Victor in parte impara a sottostare alle norme della società civile: indossa le scarpe, cammina in posizione eretta e sviluppa anche un certo istinto morale quando riconosce che gli viene inferta una punizione non meritata.
D’altra parte però non riuscirà mai ad accedere alla dimensione linguistica, che è l’unica cosa che gli permetterebbe di esprimersi e metterlo in comunicazione con gli altri.
Laddove Kaspar Hauser trova la sua dimensione linguistica nella musica e nelle visioni, entrambe sfere che gli consentono di esprimere attivamente la sua sensibilità, pur restandogli negato il contatto con gli altri, in un consorzio civile troppo rigido e codificato per una sensibilità libera come la sua; Victor non riesce nemmeno a compiere il primo step, ovvero l’accesso alla dimensione linguistica – anche in virtù della sua parziale sordità.
L’esito, in entrambi i casi, è il medesimo: l’esclusione dalla società civile.
Ci troviamo dunque di fronte a due film che ridiscutono in profondità le fondamenta della società civile. Herzog mostra l’assurdità delle norme che governano il “buon comportamento” e l’educazione borghese, mostrando in maniera evidente quanto tutto ciò non abbia nulla di naturale.
Truffaut invece concepisce la natura come matrigna, come un luogo spietato da cui salvarsi. La salvezza è rappresentata dalla commistione di questa con la cultura. Ma l’elemento che consente di accedere alla cultura, di formarsene una propria, è necessariamente il linguaggio, senza il quale il contatto con gli altri è negato e si è quindi rimandati a uno stadio naturale insufficiente alla vita. Rousseau non sarebbe troppo d’accordo.
Ma attenzione: non facciamo l’errore di pensare che Truffaut preveda l’aderenza alle norme della società civile, tutto il contrario. Al di là della formazione come individuo di Truffaut stesso, reietto e rifiutato dalla società per eccellenza. Di conseguenza i suoi protagonisti inglobano elementi autobiografici e perciò si costituiscono anch’essi come personaggi devianti dalla norma, inadatti alla vita civile.
Ciò che evidenzia Truffaut è il bisogno di vita che caratterizza tutti i suoi alter ego: rifiutati dalla vita, la quale ha consegnato loro una cicatrice indelebile, essi rincorrono la vita stessa, in una frustrazione continua, che ne Il ragazzo selvaggio è espressa come frustrazione della conoscenza.
È chiaro quindi che entrambi i registi esprimono una mancanza, che in entrambi i casi viene inquadrata come mancanza di uno spazio vitale – non quello nazista. Entrambi si rivolgono alla questione con sguardo morale, sottolineando il bisogno di comunicazione e l’esigenza di occupare uno spazio da cui si è respinti perché si guarda la realtà con altri occhi, con una diversa sensibilità non conciliabile con i rigidi codici del comportamento civile.
E perciò entrambi evidenziano l’innaturalità dell’educazione in senso tradizionale, che è più il frutto di un’opera di flessione della sensibilità dell’individuo, con lo scopo di piegarla alle norme canonicamente accettate.
Per i diversi, per i visionari, per i sognatori, per coloro che guardano al mondo con occhi differenti c’è solo solitudine e carenza di vita.
E mi scusassero la chiusa retorica.