Serie TV

El Chapo – Stagione 1: il Narcos dei meno abbienti

Ozio, padre dei vizi, cugino del binge watching (che una volta si chiamava “Ammazzarsi di tv”, ma in inglese fa più figo) e soprattutto grande amico di Netflix. Se utilizzate la popolare piattaforma di streaming, sapete che ogni tanto questa vi propone qualche titolo sulla base di quelli già visti ed apprezzati tipo che so, Narcos. Ecco, El Chapo è tipo Narcos, però in tono minore, ma l’attrazione gravitazionale del divano è potente (sir Isaac Netwon lo sapeva), quindi vediamo com’è questo El Chapo.

Ideata da Silvana Aguirre e Carlos Contreras, trasmessa per la prima volta dal 23 aprile 2017 dal canale Univision, la trovate anche su Netflix più o meno da giugno L’ambizione è quella di proporre al pubblico un altro anti eroe televisivo, perché, parliamoci chiaro, da I Soprano in poi la tv non è mai più stata la stessa: una volta tifavamo per dei buoni alla MacGyver, ora i nostri eroi sono gangster, narcotrafficanti, serial-killer ed ex professori di chimica convertiti alla produzione di metanfetamine.

Che poi, la vita di Joaquín Guzmán Loera detto “El Chapo” (potreste tradurlo “Il tracagnotto” voi, io no perché non voglio ripercussioni per aver mancato di rispetto al capo del cartello di Sinaloa) era già pronta per un film, tanto che proprio per questa ragione la DEA lo ha beccato per la terza volta. Tre, perché se la resilienza di un pugile si misura dal numero di volte che si rialza dal tappeto, quella di un narcotrafficante dal numero di volte che evade da una prigione di massima sicurezza.

El Chapo lo ha fatto ben due volte, a fregarlo la terza volta la vanità, galeotta (ah-ah) fu la volontà di Guzmán di vedere un bel film sulla sua vita magari diretto da uno bravo tipo Sean Penn. Nel gennaio del 2016 il regista di Into the Wild è andato a cena in un bunker ultra segreto proprio con El Chapo, impegnato a bullarsi di essere meglio di Tony Montana e Walter White messi insieme.

Il nasone di Sean contro il baffo del Chapo, una sfida tipo Godzilla contro Gamera.

Il contatto che ha reso possibile l’incontro? Tenetevi forte, tale Kate del Castillo, professione attrice di soap opera popolarissima in Sud America, impegnata nel sociale e considerata dalla rivista People nel 2011 una delle 25 donne più influenti del mondo e della 50 più belle. Ve lo avevo detto o no che la vita del Chapo era già pronta per la fiction?

Ora, non voglio fare allusioni scomode, ma Kate del Castillo è sempre stata fumosa riguardo al suo rapporto con El Chapo, in un paio di occasioni le sono scappati anche degli attestati di stima verso il capo del cartello messicano. Sul perché conosca pure Sean Penn non chiedete a me, questo non è un sito di gossip, però se non fosse stata tra le “50 donne più belle del mondo” non credo che avrebbe avuto quello strappamutande di Sean Penn a portata di tiro, citofonare a Robin Wright per conferma.

La prima stagione di El Chapo, però, non arriva a raccontare di questo rocambolesco arresto, inizia con la sua ascesa come boss criminale e termina con la sua permanenza nel carcere di massima sicurezza di altopiano in Messico. Se state pensando ad un resort con il minibar pagato, la piscina e la Spa, ecco, magari anche no.

Problemi? Uno, grossino, però. Netflix vi proporrà questa serie se avete visto ed apprezzato Narcos, il problema è che anche Silvana Aguirre e Carlos Contreras hanno visto e apprezzato Narcos, infatti El Chapo ci somiglia molto, ci somiglia pure troppo.

“Cosa diceva quello là plata o l’altra cosa, oh insomma avete capito!”.

Le due serie hanno in comune protagonisti realmente esistiti (e baffuti), lo stile è identico, un’alternanza di immagini reali ed altre girate dagli attori, non aiuta nemmeno che nel primo episodio della serie avvenga proprio l’incontro tra Pablo Escobar (purtroppo non interpretato dal bravissimo Wagner Moura) ed El Chapito. Se proprio vogliamo dirla tutta, persino la sigla sembra la versione da discount di quella di Narcos: stesso stile delle immagini, stesso pezzo malinconico, insomma uguale, davvero troppo, però senza mai raggiungere le vette qualitative della serie di Pablito.

Forse la differenza tra serie e personaggi sta tutta nel primo episodio. Nella 1×01 di Narcos, Pablo portava il carico oltre confine risolvendo tutto con una calma gelida e due parole: «Plata o plomo».

El Chapo, invece, vola su un biplano e quasi si schianta, viene inseguito in auto, gli sparano addosso e l’ultimo tratto fino agli Stati Uniti lo fa in un tunnel in cui non sarebbe entrato nemmeno Pietro Micca, il tutto mentre da casa lo chiamano dicendo “torna che papà è malato e vuole vederti”.

“Walter White queste cose qui mica le faceva…”

Insomma, El Chapo è un discreto sfigato, fa quasi tenerezza per la catena di sfighe e avversità che gli si riversano addosso nel corso di una sola stagione, in tutta onestà, fa anche un po’ ridere il fatto che uno che si fa chiamare El Chapo venga “Ciapato” dalla polizia, dove? Nella regione del Chiapas. Ma cos’è, una barzelletta?

Marco de la O non ha il talento di Wagner Moura, ma riesce comunque a costruire un personaggio con una sua etica, verso metà la serie procede un po’ troppo su territori già visti (la lotta con gli altri cartelli, la brama di potere di El Chapo); forse dove questa serie offre qualcosa di nuovo è negli ultimi tre episodi, dove si trasforma in un dramma carcerario in cui Joaquín Guzmán Loera è costretto a lottare con il suo passato e con il trattamento delle guardie carcerarie, tra isolamento nelle “Celle imbottite” e un trattamento in stile Guantanamo che potrebbe spezzare chiunque.

“Che dite sembro abbastanza Scarface così?”.

El Chapo termina al nono episodio forse sul più bello, un attimo prima della prima evasione di un ritrovato e ancora combattivo Guzmán, motivo per cui la seconda stagione potrebbe risultare molto più interessante della prima proprio perché promette di mostrarci finalmente questo mago delle evasioni in azione.

A patto, però, di smarcarsi dall’ombra (lunga e ingombrante) di Narcos. Vedremo se Silvana Aguirre e Carlos Contreras avranno la volontà e il talento per farlo, alle brutte abbiamo due alternative: facciamo venire giù Sean Penn a dirigere un paio di episodi (facendo felice El Chapo, quello vero), oppure aspettiamo qualche giorno, tanto tra un po’ arriva la terza stagione di Narcos, quello vero.

Cassidy

Cresciuto a pane e cinema, alimentato a birra e filmacci, classe 1983, si fa chiamare Cassidy, e questo già vi dice dei suoi problemi (mentali). Ora infesta questa pagine, di solito si limita a fare danni sul suo blog "La Bara Volante".
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