
El Topo: immagini perfette in un film in cui «troppa perfezione è un errore»
I film più surrealisti e visionari raramente riescono a diventare grandi successi di pubblico, ma molti di questi nel tempo arrivano a diventar dei veri e propri cult movie, ed è proprio questo il caso: El Topo (1970) di Alejandro Jodorowsky è un vero capolavoro che non può assolutamente mancare nella filmografia di un vero cinefilo.
Ma chi è ‘sto Jodorowski?
Jodorowsky è un artista incredibilmente poliedrico, essendo noto, oltre che come cineasta, come un famoso scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, regista teatrale, compositore e poeta nonché “guaritore psicomagico” (qualsiasi cosa voglia dire).
Famoso nel mondo del cinema soprattutto per opere come La montagna sacra (1973) e Santa Sangre (1989) ma anche il film trattato in questo articolo nel tempo ha acquisito una certa fama, infatti sono tanti gli artisti che ne hanno apprezzato la bellezza: John Lennon dichiarò che El Topo fosse il suo film preferito, mentre altri fans dichiarati del film sono David Lynch, Marilyn Manson, la band inglese dei Kasabian e alcuni artisti italiani come Franco Battiato (questo film è strano quasi quanto alcune delle sue canzoni).
Il film
Comprendere e decifrare i vari livelli di significato del film non è proprio un’operazione semplice: i rimandi al “misticismo sincretistico” tanto caro all’autore richiederebbero vaste conoscenze di carattere teologico, esoterico e filosofico che non molti possiedono, ma tutti ciò si presta bene ad uno stile allucinato che riesce a rendere una grande potenza di immagini, potenza paragonabile a quella dei film del maestro del cinema surrealista Luis Buñuel, da cui Jodorowsky eredita non solo caratteristiche stilistiche ma anche diverse tematiche.
L’ambientazione che fa da sfondo al film, in aggiunta ad alcuni particolari stili di ripresa, non possono non farci rimandare alla mente il cinema western di Sergio Leone: alcune scene sembrano addirittura una vera e propria parodia del genere.
Le prime scene: El Topo contro i fuorilegge
Le prime sequenze del film ci presentano questo pistolero a cavallo che vaga per il deserto, interpretato dallo stesso Jodorowsky. Il suo nome simbolico è El Topo, è in viaggio alla ricerca del senso della sua vita. Nella prima parte del film tutto sembra dominato da impulsi naturali che portano il nostro protagonista ed in particolare i suoi nemici a combattere per la vita e per soddisfare i propri istinti, il tutto all’insegna della violenza e della depravazione.
Accanto al pistolero si muove un bambino, il suo giovane alunno, verso il quale spesso si mostrerà molto duro, facendogli abbandonare l’unica foto della madre e facendogli uccidere un giovane frate morente, trovato in un villaggio devastato da fuorilegge.
Si avvia una breve sigla in cui viene detto che “la talpa (el topo) è un animale che scava sottoterra e che quando arriva in superficie e vede il sole, diventa cieco. ”
I due partono quindi alla ricerca degli assassini, che si rivelano essere dei criminali ossessionati dal sesso e dalla violenza (più volte associati a degli animali) capitanati da un papa-colonnello alle prese con una giovane amante schiava. Questi saranno trovati nell’atto di torturare e sottomettere dei giovani francescani presso il loro convento: il pistolero sconfiggerà il loro capo e lo castrerà (in una scena abbastanza esplicita che ho preferito risparmiarvi).
El Topo fa della donna del capo dei fuorilegge la sua amante e abbandona il figlio presso i frati; ma questa donna sadica e ambigua ha una richiesta per il pistolero: se vuole essere amato da lei, è necessario ch’egli sia il più forte di tutti: la donna gli chiede di uccidere i quattro maestri pistoleri del deserto, figure simboliche legate all’inconscio e all’accrescimento spirituale.
I maestri
Il primo di questi maestri è un uomo cieco dalla voce di donna, vestito solo con un perizoma e guidato da un uomo senza gambe che cavalca un uomo senza braccia. L’uomo risulta essere molto agile nonostante l’handicap, inoltre è invulnerabile alle pallottole perché non oppone loro alcuna resistenza. El Topo uccide il maestro con un inganno: prepara una botola per intrappolare il maestro, facendogli perdere la concentrazione e rendendolo quindi vulnerabile.
Il secondo maestro è un girovago che vive da sua madre e un leone. Dopo aver battuto El Topo in un duello, l’uomo gli mostra come è riuscito a diventare così abile: egli si esercita costruendo sia oggetti in duro metallo sia fragili forme geometriche con bastoncini. I complicati poligoni forse simboleggiano la limitatezza della ragione o del formalismo in sé stesso, inutili senza lo spirito. El Topo riesce ad ucciderlo dopo aver ferito la madre (di cui questo è fortemente affezionato) con un inganno.
Il terzo maestro pistolero vive in una fattoria dove alleva conigli. Confrontano il loro modo di uccidere sparando ai corvi. El Topo mira alla testa del corvo, mentre il maestro spara al cuore. Poi comincia il duello e il maestro colpisce El Topo al petto facendolo cadere. Però questi si rialza ridendo e spara all’allevatore di conigli ormai indifeso, poiché la sua pistola può sparare solo un colpo alla volta: «troppa perfezione è un errore». El Topo tira fuori dalla giacca una piastra di rame regalatagli del precedente maestro pistolero. In un atto di rispetto per il maestro, costruisce per lui una tomba fatta di conigli morti.
La sconfitta
Si arriva finalmente all’ultimo maestro pistolero. Il protagonista vorrebbe battersi a duello con lui, ma l’uomo dice di non avere una pistola, perché tanti anni prima l’ha barattata con il retino. I due allora fanno a pugni, ma El Topo non riesce a mettere a segno neanche un colpo. Frustrato, El Topo cerca di sparare all’uomo, ma questi devia le pallottole con il suo retino, dimostrando la sua capacità di poterlo ferire con i suoi stessi colpi. Il maestro gli chiede se la sua propria vita vale veramente di essere presa. Quindi prende la pistola de El Topo e si spara, dimostrandogli che la vita non ha nessuna importanza. El Topo si rende conto che alla fine è stato sconfitto, perché non è riuscito a uccidere l’ultimo maestro.
El Topo, oppresso dal senso di colpa per aver imbrogliato, distrugge la sua pistola e torna nei posti dove ha ucciso i maestri. La tomba del maestro allevatore di conigli viene incendiata, il maestro zingaro e sua madre vengono sepolti in una grande tomba di stuzzicadenti e la tomba del maestro cieco è coperta di favi di miele.
Infine una donna pistolera innamorata dell’amante del protagonista, sparerà molte volte al nostro pistolero sconfitto, provocando in lui una serie di ferite sulle mani e sui piedi molto simili alle stigmate.
La caverna
El Topo viene salvato da una banda di emarginati, deformi a causa degli incesti degli abitanti della città vicina (ed è interessare notare come tali figure siano ricorrenti nel cinema di Jodorowsky). Questi lo conducono nella loro comunità del sottosuolo. In quella caverna l’uomo, in stato di coma, medita per anni sulle quattro lezioni che ha ricevuto. Quando si sveglia, “rinasce” come un novello Buddha o Cristo, e con l’aiuto di una nana cerca di liberare questi deboli dalla loro prigione sotterranea. I due andranno quindi verso la città.
La città
La città rappresenta “la luce” che rende cieca la talpa risalita in superficie. Questa è dominata da una classe borghese di schiavisti, che va in chiesa a pregare rimanendo assoggettata da ritualismi fini a sé stessi, che uccide e tortura chi ritiene inferiore, che si dà alla libidine e alla lussuria, dietro una facciata di puritanesimo intransigente. Nonostante la condotta di questi cittadini, nella città vi è un simbolo onnipresente, rappresentante un triangolo con un occhio al suo interno: Dio.
El Topo e la nana si ritroveranno a dover fare i buffoni e dei lavori molto umilianti per guadagnare i soldi necessari alla liberazione dei deformi dalla caverna. Ad un certo punto si faranno aiutare da un giovane frate che s scoprirà essere il bambino abbandonato all’inizio del film, che inizialmente proverà rancore verso il vecchio maestro, mentre alla fine ne seguirà le orme con rispetto.
Quando infine il protagonista riuscirà a liberare i deformi dal sottosuolo, questi verranno sterminati, scatenando l’ira di El Topo, che sfrutterà le doti dei quattro maestri per combattere a sua volta contro gli abitanti della città e liberare i numerosi schiavi. La conclusione è molto indicativa: El Topo si darà fuoco, e dalla sua tomba comparirà il miele. Verrà compiuto quindi un gesto estremo carico di nichilismo e denuncia sociale, che ripercorre l’atto del maestro che cacciava farfalle nel deserto, chiudendo il cerchio del rifiuto della volontà di vivere, dell’annullamento totale del sé.
L’atto finale del maestro è sicuramente da considerare all’interno del contesto storico in cui i film venne girato: in questo senso il film diventa un’opera di contestazione della guerra del Vietnam.