A tratti mi sembra davvero impensabile che un regista come Gaspar Noè sia potuto diventare famoso. Uno così estremo, così provocatorio e così – come direbbero a Bologna – fuori dai coppi, come ci è arrivato al successo? Poi mi rispondo che la risposta sta nella domanda (scusate i giochi di parole stupidini): Gaspar Noè è arrivato così in alto proprio perché è così estremo e così provocatorio.
Credo che spesso – se non sempre – l’intento del regista sia quello di fare dei film che superino il cinema, che vadano oltre i limiti che questo impone e stabilisce. Il che, se non altro, è molto ambizioso.
E quindi dai, imbarcatevi con me in questo viaggio attraverso le follie virtuosistiche del caro Gaspar, senz’altro sarà divertente.

I cortometraggi
Tranquilli, non dobbiamo metterci ad analizzarli uno per uno, anche perché dopo poco inizierei anch’io a conficcarmi le unghie nelle guance, ma guardiamoli nel complesso.
Già dal primo corto, Tintarella di luna (sì, come la canzone), emergono alcuni dei temi che poi Noè si porterà appresso approssimativamente per tutta la carriera: primo su tutti il sesso. È pur sempre vero che il sesso in Noè funziona in modo particolare, come in realtà tutti i temi che tratta: all’insegna dell’estremo. E quindi in Tintarella di luna, prima cosa cinematografica mai realizzata dal regista, c’è uno stupro. MA QUALE MIGLIOR MODO DI PRESENTARSI?
Altro corto (in realtà mediometraggio) di spicco è Carne, che fa da prologo a quello che poi diventerà Solo contro tutti nel 1998. Carne lo anticipa di 7 anni e ci mostra gli eventi che nel film vengono riassunti nell’iniziale folle montaggio ipercinetico. In Carne emergono già tutta la brutalità e le pulsioni estreme dell’argentino naturalizzato francese. Qui troviamo di nuovo il sesso, declinato in salsa incestuosa e visto come un mero atto di – scusate il francesismo – svuotamento di palle da parte del protagonista, uno dei personaggi più spregevoli che mi sia mai capitato di vedere. Inoltre ci scontriamo per la prima volta contro la violenza sfrenata del cinema di Noè, sia visiva che comportamentale.
In Une expérience d’hypnose télévisuelle poi emerge il tema del fare cinema (o televisione in questo caso) come modalità di provocazione e, in questo particolare caso, come esperimento ipnotico: utilizzare le immagini per “rapire” lo spettatore ma ricordandogli sempre che è dentro a una finzione.
Ancora in Eva (serie di 3 corti) Noè sembra declinare il cinema a mero strumento estetico, come modalità per bearsi delle proprie capacità artistiche. E perché non farlo con un bel corpo femminile di mezzo? Che fai, te ne privi?
Giusto per chiudere: We fuck alone, che nasce come un tentativo di esplorare il confine tra il porno e l’arte. Questo corto semplicemente mostra un uomo nell’atto di bearsi in del sano autoerotismo, decidendo poi successivamente di regalare i suoi sforzi a una bambola gonfiabile. Che vi devo dire, è Gaspar Noè.
Solo contro tutti (1998)

Dopo questa bizzarra presentazione addentriamoci nella filmografia vera e propria. Per me Solo contro tutti è già capolavoro. Considerato che è fatto con 3 centesimi e mezzo e che Noè e i suoi (pochi) collaboratori dovevano letteralmente lottare ogni giorno per trovare i soldi per andare sul set il giorno successivo, io trovo che i risultati siano a dir poco strabilianti.
Il regista ci sbatte in faccia una realtà cruda, gretta, quella di una banlieue parigina brutta, sporca, pericolosa e senza prospettive, un po’ come faceva Kassovitz ne L’odio, ma se possibile in modo ancora più crudo.
Spiccano subito le soluzioni stilistiche adottate, con questi zoom improvvisi e questi continui turbamenti che subisce la mdp. Ma soprattutto spicca la violenza delle immagini. Una scena su tutte: il padre che fa sesso (anche se in realtà è pienamente definibile uno stupro, dato che la figlia è ritardata) con la figlia e subito dopo per il senso di colpa le spara e spara a se stesso ricatapultandosi nella realtà.
Insomma, fin da subito Gaspar Noè fa emergere il suo sguardo cinico e disilluso sulla realtà, che è cruda ed estrema e di conseguenza va affrontata.
Irreversible (2002)
Questo è un po’ il film maledetto di Noè, in una carriera costellata da film maledetti. Ma qui, come probabilmente già saprete, c’è un motivo ben preciso. Il regista ha scelto di mostrare, in un lunghissimo piano sequenza di oltre 10 minuti (se la memoria non mi inganna), un intero stupro, tutto quanto, dall’inizio alla fine. Vi assicuro che quei 10 minuti sembrano molti di più.
Ora, non che la mia opinione sia richiesta, ma dato che la scena, ovviamente, ha suscitato fortissimo scandalo e critiche, volevo spenderci un paio di parole. Lo farò parafrasando una frase detta da Noè stesso: il fatto che in questo film venga mostrato un crimine così efferato non significa che il film stesso sia un crimine.
Ragiono su un concetto semplice: queste cose esistono, così come esistono quelle mostrate in Solo contro tutti, quindi è meglio fare finta di niente e non mostrarle oppure prenderne atto e farle vedere al pubblico, certo scioccandolo, ma rendendolo più consapevole di certe realtà? Avrete già capito da che parte sto.
Anche perché non è che la scena mostri lo stupro prendendolo alla leggera, anzi, attorno ad esso si costruisce una fortissima drammatizzazione che condiziona le sorti di tutta la pellicola.
E quindi per me Irreversible è un altro capolavoro di Gaspar Noè, senza considerare lo sperimentalismo sfrenato utilizzato nel rappresentare gli eventi dalla fine all’inizio, con una mdp che letteralmente fa quello che vuole senza rispettare nessuna grammatica registica, ma risultando comunque follemente coerente.
Enter the void (2009)
E niente, io qui godo.
Credo che questo sia il capolavoro definitivo di Noè, o in ogni caso è sicuramente il mio film preferito del regista. Non so neanche da che parte cominciare a descriverlo perché non credo si possa fare a parole. Enter the void è quel film che lavora ad immagini, un’esperienza visiva spirituale e psichedelica che ci fa accedere a diverse dimensioni della coscienza. Ma quanto so’ poeta regà.
Risulta evidente a questo punto della sua filmografia come tra gli intenti di Noè ci sia quello di voler parlare di vita e di morte, di nascita e di declino, dell’inizio e della fine. Con modalità decisamente ardite il regista ci mostra stavolta il sesso come seme da cui si origina la vita e la morte come possibilità di accedere ad un’altra dimensione, superiore se possibile, e quindi come veicolo verso una nuova vita. Tutto in maniera molto onirica, perdonatemi ma è un pelo complicato renderlo sensatamente a parole.
Già in Irreversible in realtà si intravedeva la volontà di parlare di vita e morte e tutto ciò che ci sta in mezzo, ma Enter the void è il compimento di questa visione per la creatività con cui Noè ci fa accedere a dimensioni che normalmente sono inintelligibili.
Da un punto di vista stilistico il film è strutturato su 3 piani: visione soggettiva, in cui effettivamente vediamo le cose con gli occhi del protagonista (con tanto di battito di ciglia); visione semi-soggettiva, con l’inquadratura che segue il protagonista alle spalle dopo la sua morte; infine la visione che lo stesso Noè definisce “astrale”, ovvero quella che nel vero senso della parola ci fa volare in giro per la strade di Tokyo e non solo.
Enter the void è un capolavoro formale pienamente coeso col suo contenuto e che attraverso una visione onirica e anche allucinata della realtà riesce a mostrarci le sfaccettature dell’esistenza.
Love (2015)

Dunque, dunque, dunque. Qui iniziano alcuni dei miei (pochi) problemi col buon Noè, ma arriviamoci con calma.
Secondo il mio modesto parere Love parte già male presentandosi al Festival di Cannes come “il primo porno in 3d”. Ci sono due problemi in questa autodefinizione: chi cazzo se ne sbatte del 3d; dire che Love è solo un porno è come dire che la Gioconda è solo una ragazza brutta.
Questo film è dotato di una poesia visiva davvero sublime, con un’attenzione millimetrica al colore, ai dettagli, alle luci, alla costruzione di quadri in movimento. Poi sì, in Love c’è anche tantissimo, ma tantissimo sesso; e forse è anche questo il problema.
Io credo di aver inteso gli intenti di Gaspar Noè: se il film si chiama Love non è un caso, e difatti ci troviamo di fronte ad una bellissima storia d’amore che mette in evidenza come l’amore sia il motore primo di ogni cosa. Difatti quando il protagonista ne resta privo non può far altro che piangere, disperarsi e rifugiarsi nel ricordo e nell’illusione, in quel magnifico quadro che è l’inquadratura finale del film.
E giustamente l’amore è fatto anche di sesso. Alcuni direbbero soprattutto. BESTIE! Tuttavia non riesco a non considerare troppo esagerato il modo, i tempi e la quantità di sesso che viene mostrata. Perché questo è per davvero un porno, ma è anche una toccante storia d’amore e storia di due vite che viaggiano intrecciandosi salvo poi doversi separare. È una tragedia.
E ancora una volta riconosco la coerenza, perché quest’esibizione sfrenata del sesso in ogni sua forma serve a mettere a nudo la spirale entro cui i due protagonisti finiscono senza più riuscire ad uscirvi: è nella ricerca costante ed esasperata del sesso che i due si perdono. Ma allo stesso tempo rimangono col fastidio, perché in troppe scene mi sembra che il sesso sia solo un veicolo estetico, vuoto, un guscio privo di anima, una shell senza un ghost, insomma avete capito.
Ma forse era proprio questo l’intento di Gaspar Noè e io ci sono caduto come un allocco.
Climax (2018)

Allora. Climax è una figata visiva: l’attenzione per i colori qui si fa ancora più accurata e i colori stessi assumono varie valenze simboliche – come per esempio nella scena dove la protagonista attraversa tutte le stanze del capanno attraversando un arcobaleno di colori giungendo al rosso, modo per indicare la discesa all’inferno: la cura fotografica è preziosa e rara.
Un grandissimo applauso va anche alla messa in scena: coreografie strabilianti (gli attori non sono professionisti ma ballerini) girate in maniera divina, col solito gusto provocatorio alla Noè.
Bene, tolti questi elementi il resto è solo pura esibizione, provocazione e voglia di dare fastidio. Che per carità, può anche essere lecito, ma Noè ci aveva abituati a ben altro, ed è per questo che mi sento di poter affermare che Climax è un film vuoto.
Perché va bene il tema della difficile convivenza in un ambiente ristretto dove basta pochissimo a far scoppiare una bomba che innesca una reazione a catena distruggendo lo status quo, va bene anche proiettare quel microcosmo nel “macrocosmo” dell’umanità, ma io sinceramente non vedo elementi sufficienti per dire che quello è un campione significativamente rappresentativo della realtà umana.
Credo che l’intento di Noè fosse semplicemente fare un film disturbante e fastidioso. E ci è riuscito alla grande: tutta la sequenza finale girata ruotando l’immagine di 180° rispetto alla normale posizione in piano, lo spezzettamento della narrazione isolando gruppi di personaggi che conversano, il fatto stesso di far cominciare il film dal fondo per poi inserire i titoli di testa a metà. Sono tutti elementi che rendono evidente come l’obiettivo di Gaspar Noè fosse innanzitutto quello di infastidire.
Poi ci sono io che sono rimasto un po’ deluso. Ma intendiamoci: non è un reato fare un film fine a se stesso. Quello che mi turba è l’autocompiacimento di Noè, perché mi sembra sempre di più che col passare degli anni e delle pellicole il regista si stia orientando sempre di più verso questo tipo di cinema: esibito, autoreferenziale, provocatorio, autocompiaciuto (sempre che esista questo termine), ma essenzialmente vuoto.
Sarebbe un peccato. Vi rompo le balle ancora un secondo con Enter the void. Il terzo lungometraggio di Noè era un film pensato in questo modo, ma a ciò poi aggiunge tanta, tantissima sostanza, parlando dei temi che abbiamo già evidenziato prima, ma anche collocandosi in una certa linea cinematografica, inserendo riferimenti visivi a Kubrick e Lynch, riprendendo elementi dalla Nouvelle Vague. In Climax tutto ciò diventa per l’appunto autoreferenziale ed estremamente esibito, mostrandoci una serie di libri/dvd/videocassette nella lunghissima introduzione dove vengono intervistati i protagonisti. Che certo, individuano un certo orizzonte, ma sostanzialmente poi di quest’orizzonte nel film non si trova traccia.
Spero di sbagliarmi, visto che al buon Gaspare io ci voglio bene bene ed è uno dei miei registi preferiti.
https://www.youtube.com/watch?v=aIM95apn6n0