Film

Ema – Larrain nel complicato mondo del reggaeton

Ema cammina per le strade della sua città e la gente la guarda male. Alle prove di danza, i ballerini vociferano fragorosamente attorno a lei. Parlare con suo marito Gaston a casa è diventata una battaglia. Tra loro due c’è un’amorevole astio. Il motivo della situazione presto detto: Ema e Gaston hanno deciso di ridare indietro Polo, il figlio di 7 anni che entrambi avevano adottato senza tuttavia essere stati in grado di allevarlo. Insieme provano a sostenersi in questo momento difficile, ma la loro relazione vacilla. Hanno differenti modi di affrontare la realtà. Gaston è svilito da non poter dare di più e si sente un padre fallito. Ma Ema è più sicura della sua scelta e va avanti a testa alta. Risponde con sicurezza alle accuse di Gaston di non essere stata capace di amare e reagisce con sguardo severo e gli da dell’insensibile. Tutto questo è pesante da sopportare e Ema ha già un piano per migliorare la sua vita.

Chi conosce e apprezza l’opera di Pablo Larrain sa cosa aspettarsi dai suoi film. Ci ha mostrato contesti oscuri, famiglie surrogate nate dallesigenza di sopravvivere ad uno scandalo (vedi El club) o  personalità dolci come quella Jacqueline Kennedy che affronta il trauma della perdita e del cambiamento (Jackie). Ma questo Ema spiazza per la sua originalità. Una regia più fresca e ritmica ci immerge in un mondo di danze scatenate e reggaeton, alternato ai problemi familiari della coppia. Sembra di essere piombati in un vero videoclip di MTV. Uno straniamento che ci porta al nocciolo del film: come la libertà e le azioni del singolo possono cambiare radicalmente la vita di chi lo circonda e anche della società.

Il film, comunque, rimane il meno riuscito nell’opera di Larrain fino ad adesso. Non tanto per la fotografia, sfavillante e coloratissima, “alla Suspiria” per intenderci. Men che meno per le interpretazioni: Mariana Di Girolamo da ad Ema un volto inflessibile e un corpo energico e sensuale, mentre Gael García Bernal interpreta un Gaston spento, tormentato dai rimorsi. Il  vero problema sta nello svolgimento. La parte centrale si trascina in un vortice di situazione reiterate e lascive che danno alla pellicola un gusto erotico di troppo. Il colpo di coda arriva troppo tardi e, seppur ben orchestrato, non riesce a salvare la pellicola. Insomma, Larrain dipinge una realtà contemporanea più estetica che oggettiva, superficiale e arrogante, dove i più giovani sono pronti a tutto per sentirsi liberi. E per bruciare il mondo a ritmo di reggaeton.

Marco Perna

A volte mi piace credere che essere nato nello stesso mese di Fellini e un anno dopo la sua morte abbia influenzato, in qualche modo, la mia vita e di conseguenza anche il mio amore per il surreale e la settima arte. Poi torno in me e mi accorgo di non avere Borsalino grigio e sciarpa rossa ma una profonda passione per il cinema e tutto ciò che viene considerato bello. Mi sono cimentato dietro la telecamera ai tempi del DAMS a Torino, dove mi sono laureato, ma parlare di cinema mi piace quasi di più che farlo.
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