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Enron – L’economia della truffa: the smartest guys in the room, sicuri?

È lunedì mattina, siete appena entrati in ufficio, piuttosto che accendere il pc preferireste lanciarvi dalla finestra, ma soprattutto state contemplando il vuoto chiedendovi come fa il vostro capo, o il capo del vostro capo, o il capo del capo del vostro capo e così via fino ad arrivare alle sette sfere celesti, a guadagnare così tanto. Così tanto rispetto a voi, soprattutto. Ebbene: Enron – L’economia della truffa è un ottimo bignami per scoprirlo. E la chiave è di una banalità sconcertante: basta mentire, in buona sostanza. E approfittare dell’euforia altrui, altrimenti detta stupidità.

Enron – L’economia della truffa è un ottimo documentario del 2005, diretto da Alex Gibney e che ha sfiorato l’Oscar per un soffio, e racconta il rapidissimo collasso della Enron, avvenuto nel 2001. In Italia la faccenda ha avuto un’eco minore, ma negli States in quel periodo non si è parlato (quasi) di altro: la Enron, colosso dell’energia fondato nel 1985, ha avuto una crescita costante e quasi verticale, salvo poi… puff. Non è il caso di addentrarsi in questa sede nei dettagli finanziari; anche perché questo film è molto più del solito racconto di ascesa e caduta della solita mega compagnia.

Enron – L’economia della truffa è quasi un legal thriller, che vi terrà inchiodati allo schermo fino all’ultimo secondo; oltre che un piccolo gioiello di sociologia, antropologia e psicologia, tutto in un colpo. Sociologia, ovvero come tendono a ragionare le masse, gli eserciti di uomini medi abbagliati dall’idea di fare soldi facilmente e in poco tempo; antropologia, perché quella di Enron è un’epopea che più americana di così non si può; psicologia, perché i protagonisti del crollo sono, beh, da manuale. Qualche nome? Kenneth Lay, fondatore dell’azienda, proveniente da una poverissima famiglia del Missouri. Il mito del self-made man vi dice niente? O ancora Jeffrey Skilling, CEO della Enron, presentatosi ad Harvard dichiarandosi “fucking intelligent”. Un piccolo capolavoro di modestia e understatement, insomma, che portò lui e i suoi più stretti collaboratori ad essere definiti the smartest guys in the room. E poi Louis Borget, drago del trading fantasioso, Lou Pai, noto per finanziare gli strip club con i soldi dell’azienda, Andrew Fastow, che con la destra faceva il CFO della Enron e con la sinistra e con l’altra creava società farlocche per pompare soldi dalla e alla Enron stessa… Un gruppetto interessante per organizzare una pizzata in compagnia, tutto sommato.

Questa compagine di tipetti pervasi dalle buone intenzioni mise in piedi un tempio all’americanità: uno degli slogan preferiti di Skilling era rank and yank, una sorta di darwinismo sociale distopico secondo il quale ogni anno andava licenziato il 15% degli impiegati – quelli meno produttivi, ça va sans dire. Che dire poi della filosofia mark-to-market, ovvero registrare i potenziali profitti subito dopo la firma del contratto senza tener conto di quelli attuali generati dall’accordo? Facilissimo risultare super bravi in questo modo, non trovate?

Accanto a questo, costruzioni di fantomatici impianti in India, solo che l’India non era abbastanza ricca per acquistare tutto quello che producono; spinte fortissime nei confronti degli impiegati a investire risparmi e fondi pensione nelle azioni della Enron; e un ruolo tutt’altro che secondario nella crisi energetica in California. Fortuna che c’erano i Bush e gli Schwarzenegger a dare una mano.

Epperò, anche i giganti prima o poi cascano, ci racconta Enron – L’economia della truffa: e Davide in questo caso aveva il volto di Jim Chanos, investitore, e Bethany McLean, giornalista di Fortune, accortisi di più di un giochetto dietro le quinte. A cui qualche tempo dopo si aggiunse Sherron Watkins, account di un certo peso che finalmente osò dire la parola “frode” a voce alta. Così come era decollata, la Enron crollò, e con essa i risparmi di milioni di persone.

Enron – L’economia della truffa ha suspence, ha i dati, ha la cronaca; definirlo documentario è riduttivo. E soprattutto, lascia intravedere una cosa che dovrebbe essere ormai ovvia, ma che ogni tanto fa bene rinfrescare: dei tipi così non sono the smartest guys in the room. Sono banali, prevedibili, e probabilmente uscirci a cena potrebbe essere un’esperienza di rara noia; semplicemente, hanno più pelo sullo stomaco della media. E, tristemente, forse la media è, come dire, sotto la media. Lo slogan della Enron era Ask Why: ecco, ogni tanto ricordatevi di farlo.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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