Film

Exit Through the Gift Shop: Banksy ha fatto un film!

Attiva da circa 30 anni, nei primi 2000 la Street Art è ormai – quasi – unanimemente considerata parte integrante del panorama artistico. Nel 2010 il suo massimo esponente, Banksy, “dirige” Exit Through the Gift Shop, film che svela poco del misterioso artista inglese ma indaga a fondo su cosa sia l’arte.

Exit Through the Gift Shop è la storia di Thierry Guetta (una sorta di Tommy Wiseau della Street Art), immigrato francese a Los Angeles, proprietario di una sciccosa boutique di vestiti vintage e dotato di un ottimo fiuto per gli affari. Thierry è anche un videoamatore compulsivo (adora riprendere tutto ciò che lo circonda) e decide di iniziare a documentare il crescente fenomeno della Street Art losangelina, riuscendo a entrare in contatto con i suoi massimi esponenti, tra cui il suo idolo Banksy.

A causa delle sue abilità dilettantistiche come filmmaker, Banksy lo invita a investire le sue forze nella Street Art stessa, abbandonando il ruolo di testimone e divenendo un diretto protagonista. Di tutta risposta Thierry vende le sue proprietà, ipoteca la casa, recupera ogni soldo della famiglia per gettarsi anima e corpo nella nuova impresa, facendo seriamente preoccupare Banksy e provocando conseguenze del tutto impensabili.

Una full immersion delirante in questo spicchio d’arte senza regole tale da far dubitare osservatori e critici, a distanza di anni, che tuto ciò che si vede in Exit Through the Gift Shop non sia altro che l’ennesima opera provocatoria di Banksy stesso.

Banksy
Banksy in un fotogramma del film.

In principio il film avrebbe dovuto essere la semplice celebrazione della Street Art e dei suoi protagonisti, diretta da Thierry. In seguito all’incapacità di quest’ultimo, Banksy prende il controllo del progetto acquisendo legalmente i nastri e i diritti. Per una forma d’arte passeggera come la Street Art, sarebbe stato delittuoso non sfruttare le migliaia di ore di riprese capaci di mostrare opere (ossia messaggi) ormai persi, cancellati dal tempo o dalla legge. Banksy, e il suo ristretto gruppo di collaboratori fidati, comincia il titanico montaggio del film, decidendo sì di parlare della Street Art ma – come già spiegato – focalizzando l’attenzione su Thierry, che nel frattempo, nella sua transizione artistica, ha iniziato a farsi chiamare Mr. Brainwash.

Il montaggio alla fine dura intorno a un anno e mezzo, una media di circa due mesi di lavoro per ogni dieci minuti di film. Si rivela tempo speso bene visti tutti i riconoscimenti internazionali che ottiene, tra cui la nomina a miglior documentario agli Oscar e ai BAFTA. Ironico (forse) per una forma d’arte, e un film, che fa della messa in discussione della critica uno dei suoi temi portanti, ma che dopotutto, come tutta l’arte, ha come primo obbiettivo quello della massima diffusione di un messaggio.

Banksy
Mr. Brainwash (Thierry Guetta).

E il messaggio qui c’è e non c’è, in un certo senso. Leader di un’arte che fa dell’assenza di regole la sua prima regola e rigetta con forza il ruolo della critica, Banksy si ritrova a muoversi in un terreno controverso. Riferendosi al film, egli dice: «Non è Via col vento, però probabilmente c’è una morale da qualche parte». Questa morale è volutamente “nascosta”. In questo lungo indagare l’arte e l’artista, si limita a mostrarci due tipologie differente di esso: un artista puro, mosso da una sorta di vocazione, l’altro mosso dalla ricerca di fama e denaro. Pur divertendosi raccontando Mr. Brainwash, e prendendo le distanze dal suo modo di vivere l’arte, alla fine Banksy non ha né intenzione né è in grado di spiegare cosa sia l’artista o chi sia degno di essere chiamato tale. Fornire una risposta chiara e univoca lo metterebbe sullo stesso piano della critica che lui disprezza, che si è auto-conferita questo ruolo di giudice e giuria, e altro non fa che alimentare un mercato facilmente manipolabile.

In sostanza restituisce all’osservatore la libertà di sviluppare il proprio pensiero, senza condizionamenti.

Banksy

In controtendenza con quanto afferma alla fine del film: «Ho teso sempre a incoraggiare le persone a fare arte… ormai non lo faccio più come un tempo» (riferendosi alle conseguenze dell’ingresso di Mr. Brainwash nella Street Art), Banksy col suo film sembra proprio incoraggiare chi guarda a preoccuparsi di arte, contemplarla, ricercarne i messaggi “nascosti” che non sono mai univoci.

L’obbiettivo è stato in parte centrato, il film ha avuto un successo strepitoso, ma se l’invito a dedicarsi all’arte sia stato colto meno è difficile da dire. Per lungo tempo ha fatto discutere più per la sua autenticità che non per i contenuti di cui tratta, cosa che in un primo momento è risultata divertente ma che man mano ha avvilito i suoi creatori, che più volte hanno dovuto assicurare che i fatti mostrati sono reali e non fiction, e che anche fossero finzione non modificherebbero il discorso che il film fa.

Banksy

Oggi Banksy, a distanza di 8 anni, sta mantenendo fede alla promessa fatta alla fine del film, e cioè che non avrebbe mai più preso parte o contribuito a realizzare documentari sulla Street Art. Continua a dedicarsi a essa così come tutti gli altri protagonisti del film, compreso Mr. Brainwash, consapevole che solo il tempo può decidere cosa sia arte e cosa non lo sia.

Alcune persone potrebbero pensare io sia una lepre, perché corro dappertutto e pensano non sia organizzato. Ma gli dico: «aspetta alla fine della vita, e vedrai se sono una lepre o una tartaruga!»
Mr. Brainwash

Daniele Manis

Laureato al Dams di Bologna. Attualmente conduce una vita casa e chiesa in quel di Los Angeles, sperando che - prima o poi - Brazzers si accorga del suo talento registico.
Back to top button