Dopo Sense8 dei Wachowski, continua la mia rubrica “serie tv firmate da coppie di fratelli registi famosi”: questa volta è il turno del telefilm Fargo, prodotto da Joel e Ethan Coen.
La seconda stagione di Fargo va vista. Perché? Perché è una figata.
Ok, fine della recensione, ciao a tutti, buona vita.
…mi dicono dalla redazione che è d’uopo sviscerare un poco di più il mio pensiero (saranno i forconi che agitano ad essere convincenti). Ma davvero: non si tratta di pigrizia stavolta, ma proprio che ogni argomentazione aggiuntiva mi pare superflua: la seconda stagione di Fargo è perfetta. Scritta in modo geniale. Recitata da dio. Originale, imprevedibile, divertente. Piena di humor nero. Pulp.
Potrebbe essere solo interessante aggiungere che io non sono mai stata una grande fanatica dei fratelli Coen. Li ho sempre approcciati con lo spirito che da bambino ti suscita quel compagno che riesce a essere il primo della classe e inspiegabilmente cool al tempo stesso. Non puoi odiarlo e proprio per questo ti irrita: c’è sempre qualcosa di troppo preparato, troppo misurato per conquistarti del tutto. Non è Tarantino, che ha delle sbavature nei suoi film ma allo stesso tempo in essi manifesta questa sua strabordante, bruciante passione amorosa per il lavoro che fa. No: i Coen possiedono un che di “quadrato” nella loro follia, hanno sempre ben salde in mano le briglie di ciò che creano, come già sapessero in anticipo qual è la parolina magica che strapperà in automatico il consenso di pubblico e critica. Sono, spesso, più cervello che pancia e cuore – e che cervello, lo riconosco.
Premesso questo, con la seconda stagione di Fargo sono capitolata. È bellissima. Cerco di spiegarvi suppergiù perché.
Gli ingredienti base sono gli stessi sia della stagione precedente, sia del film a cui la serie è ispirata (l’omonimo Fargo del 1996, sul sito trovate un articolo in merito), sia di altre pellicole dei Coen come Non è un paese per vecchi o Burn after reading:
- C’è l’uomo medio che si trova per una serie di circostanze più o meno sfavorevoli a commettere crimini efferati con crescente freddezza e rocambolesca fortuna, fino a diventare il ricercato numero uno sulla piazza. Se nella prima stagione la parte spettava a Martin Freeman (sì, lui, John Watson AKA Bilbo Baggins), questa volta si raddoppia: il ruolo è ricoperto dai giovani coniugi Blumquist, Ed e Peggy. Lui è interpretato da una faccia nota ai teledipendenti, Jesse Plemons – ricordate lo sbarbatello rossiccio che in Breaking Bad sostituiva Jesse (il personaggio di Aaron Paul… minchia che confusione!) nell’aiutare Walter e poi si tramutava in uno dei loro taaanti problemi? Ecco: lui, con venti chili in più. La moglie, invece, è nientepopodimeno che una Kirsten Dunst tanto sciupata quanto in stato di grazia, parrucchiera bionda tinta con la faccia gonfia e il sorriso tirato, svampita e depressoide, mai così convincente.
- Ci sono i serial killer da brivido ma, allo stesso tempo, stranamente “umani” e a tratti ridicoli pur nella loro serietà. Anche in questo caso, il ruolo che nella prima serie era principalmente appannaggio di Billy Bob Thornton è qui sparpagliato su più soggetti: il top è il killer indiano, spietato ma in piena silente crisi esistenzialista per tutto il corso della stagione.
- L’ambientazione: siamo di nuovo nella contea di Fargo, caratterizzata per essere al crocevia di tre diversi Stati americani, con tutti i problemi – anche di mere scartoffie e mandati – che ne conseguono.
- La polizia un po’ tonta alla Commissario Winchester dei Simpson, con poche punte di diamante che cercano di combinare qualcosa di buono nel pantano assoluto che si verifica.
- La direzione d’attori straordinaria: i personaggi sono tanti e la recitazione è tutta di livello altissimo. Personalmente non ho mai amato Kirsten Dunst come attrice, ma non posso negare che in questo telefilm sia stata grandiosa e che Peggy sia un personaggio scritto e interpretato da Dio. Mi inchino a Mary Jane Watson, ne ha fatta di strada da quando è scesa dalla ragnatela. Menzione anche a Kieran Culkin – fratello di Macaulay, ma di sicuro vi ricordate pure di lui in Mamma ho perso l’aereo: avete presente il cuginetto di Kevin McCallister che faceva la pipì a letto? Lui – il quale interpreta un personaggio che non vi svelo, ma motore principale degli avvenimenti.
- La regia: tornano i montaggi a schermo diviso e le scene d’azione e di sangue più imprevedibili e meglio girate della televisione attuale. La serie è di per sé un piccolo manuale di cinema. Da considerare anche la notevole colonna sonora.
- Torna l’incipit: “Quella che vedrete è una storia vera – I fatti esposti sono accaduti nel 1979 nel Minnesota. Su richiesta dei superstiti, sono stati usati dei nomi fittizi. Per rispettare le vittime tutto il resto è stato fedelmente riportato.” Questa premessa fu usata già nel film originale del 1996 (con la data diversa ovviamente), ai tempi in cui Internet non era diffuso allo stesso modo di oggi e nessuno si premurava di controllare la veridicità delle fonti con un clic veloce. In realtà, non c’è alcuna storia vera: è un piccolo divertissment che ormai funge da firma e marchio di fabbrica della “saga”.
Quali sono le particolarità di questa stagione, rispetto alla precedente e agli altri telefilm in circolazione? Innanzitutto, forse sapete che Fargo è una serie antologica come vanno di moda da qualche anno, in cui ogni stagione è autoconclusiva e a sé come cast, storia e, spesso, location: ne sono esempi noti True Detective o American Horror Story. Ma… c’è un ma. La seconda stagione di Fargo pur con un cast differente, è prequel della prima. Oltre a essere ambientata negli stessi luoghi, infatti, si svolge negli anni Settanta anziché nella contemporaneità: scopriamo già nel primo episodio che il poliziotto protagonista Lou Solverson – qua interpretato da Patrick Wilson – è lo stesso personaggio impersonato dall’anziano Keith Carradine nella prima stagione. Ergo, è il padre di Molly, l’adorabile poliziotta portata sullo schermo da Allison Tolman che aveva dato la caccia al serial killer Lorne Malvo: stavolta, la intravediamo ancora bambina.
Ritroviamo gli stessi ambienti, gli stessi quartieri, le stesse vie, ma immerse nel dubbio gusto anni Settanta. Diminuisce la neve, aumentano i colori ingialliti e l’estetica da vecchia copertina dei dischi in vinile. La follia è sempre sottile e misurata, in perfetto stile Coen, ma non è mai stata così imprevedibile e geniale. Per farvelo capire, piuttosto che raccontarvi la trama, condivido con voi i miei cinque elementi cult:
[SPOILER]
- La sparatoria del primo episodio, nella tavola calda – si entra subito nel vivo dell'”incidente di Sioux Falls” a cui il vecchio Lou aveva di sfuggita fatto riferimento nella prima stagione. E che incidente. Il terzogenito di una famiglia di criminali vuole farsi bello con mammina e prende in carico di minacciare un giudice donna in una tavola calda all’americana, la notte di una forte nevicata. Qualcosa va storto e degenera in un bagno di sangue (girato divinamente). Il criminale ferito, insanguinato, scappa ma qualcosa nel cielo lo distrae. Un’auto sta passando proprio in quel momento. Lo colpisce. Si ferma. Rimette in moto con titubanza. Torna a casa, col cadavere del criminale sul cofano.
- Ed e Peggy. Nulla viene detto del loro background eppure percepiamo molto. Una coppia familiare e realistica nelle sue dinamiche, specie per gli anni e il contesto in cui è ambientata. Lui è un macellaio tarchiato che vuole molto poco nella vita a parte rilevare il negozio e infornare una riga di figli. Lei è una parrucchiera che si iscrive a corsi per il recupero dell’autostima e sogna… non si sa bene cosa, la fuga, uno stimolo, tutto ciò che sappiamo è che è inquieta e non del tutto in bolla, con una repulsione fisica evidente verso il marito, tanto che ti chiedi perché si siano sposati. Eppure, piano piano, proprio nelle avversità, emerge il loro paradossale affiatamento e affetto, sempre più distorto dagli eventi: più aumenta la follia e le azioni efferate che devono compiere e più loro dimostrano di agire come squadra, al punto da farla in barba allo stesso modo a polizia e criminali.
- Il cameo di Bruce Campbell nel ruolo del presidente Ronald Reagan. Da incorniciare il momento in cui, negli orinatoi di un bagno, comincia a parlare a Lou della Guerra del Vietnam facendo riferimento non alla guerra vera, ma ai film da lui interpretati sul tema.
- I climax ingannevoli. C’è almeno una scena tra le tante che ho adorato: a un certo punto viene introdotto un personaggio nuovo, chiamato dai criminali apposta a risolvere una questione spinosa tipo Mr. Wolf, lo vediamo presentato attraverso una lunga camminata in un corridoio e una colonna sonora che la fa salire tantissimo in sottofondo. Una scena dopo, sparisce dalla storia per sempre.
- I DISCHI VOLANTI. CI SONO I DISCHI VOLANTI. In due, tre momenti della storia, appare un’astronave nel cielo, che influirà indirettamente sugli eventi distraendo i personaggi. In una serie già di per sé piena zeppa di MacGuffin(s), decreto che i dischi volanti siano IL MacGuffin. Insomma: come fate sapendo questo a non recuperare il telefilm subitissimo? APPAIONO DEI DISCHI VOLANTI. A CASO.
I personaggi sono numerosi, ognuno con i suoi tic e idiosincrasie e i suoi momenti, i dialoghi spicci e surreali al tempo stesso: inutile mettermi a fare un (altro) sterile elenco o a raccontarvi per filo e per segno gli eventi. Ho preferito fornire qualche utile hint (I DISCHI VOLANTI!!! DICO) per invogliare chi legge a guardare di corsa la serie e a tirare le sue somme – ovviamente, se non l’avete vista, vi tocca l’obbligatorio recupero della prima stagione, molto bella anch’essa, anche se non meravigliosa come questa.
Il film ve lo abbuono.
Ah: se detestate la violenza o siete impressionabili, naturalmente è sconsigliato.
Mi dispiace veramente, ma veramente tanto perché vi perdete sempre le cose fighe.
NdA: Attenzione: la mia rubrica “serie tv firmate da coppie di fratelli registi famosi” potrebbe non avere altri episodi.
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