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Fargo – Stagione 3: non c’è solo la neve nel Minnesota

In circolazione stanno spuntando parecchie serie tv ispirate e film mitici, eppure poche sanno davvero reggere il confronto. Tra queste sicuramente Fargo di Noah Hawley, uno che non ha certo avuto paura dei paragoni diretti con i fratelli Coen.

Fin dalla prima stagione, Hawley ha dimostrato di aver imparato la lezione dei due fratelli del Minnesota, mettendo su una trama fatta di casualità e sangue tra paesaggi innevati. Il tutto con ottime prove di Martin Freeman e Billy Bob Thornton, anche se la sensazione che avevo. a fine visione, si poteva descrivere citando un modo di dire americano, ovvero: there’s more than one way to skin a cat. Letteralmente: esiste più di un modo per fare la pelle al gatto. Frase un po’ truculenta (specialmente se amate i felini) che ci ricorda che puoi approcciarti a quasi qualunque attività in più di una maniera. Poi non fate tanto gli schifiltosi, guardate i morti ammazzati di Fargo e vi impressionate per un metaforico micetto?

Molto più personale ed efficace la seconda stagione di Fargo, che per certi versi con i suoi UFO e i suoi collegamenti alla prima chiudeva idealmente un cerchio. Non credo sia un caso che la terza stagione della serie sia ambientata nel Minnesota di oggi, ma mantenga oltre all’ambientazione gelida, anche quel gusto per l’umorismo (nero), gli ammazzamenti, i legami e le dinamiche tra personaggi spesso dettati dal caos, la vera forza a cui siamo tutti soggetti.

Iniziamo dai difetti che poi sono sempre gli stessi: il brio che Noah Hawley impone alle sue serie è sempre lo stesso, calma calma, ritmo lento, la storia per entrare davvero nel vivo ci mette sempre parecchi minuti ed episodi. Tempo che lo spettatore spende tra dialoghi spesso molto lunghi e la classica porzione di episodi centrali in cui non è chiaro dove la trama voglia andare a parare, basta guardare Legion, ad esempio, dove Noah Hawley ha davvero portato questo concetto all’estremo.

Trova le dieci piccole differenze.

Questa volta la trama ruota intorno a due gemelli diversi, il primo si chiama Emmit Stussy (Ewan McGregor con i riccioli da Lucio Battisti) il re dei parcheggi a pagamento del Minnesota, campione del mondo di modi gentile uno destinato ad essere l’Abele di turno specialmente quando suo fratello Ray Stussy (sempre Ewan McGregor con i capelli da zio Tibia) parrebbe essere il Caino della coppia. Tra i due diversi destini e diverse fortune che ruotano intorno all’eredità paterna, Ray cicala ha preferito l’uovo oggi di un Corvette rosso fiammante, Emmit formica ha preferito la gallina domani portandosi via una vecchia collezione di francobolli.

Anni dopo il secondo è ricco sfondato grazie ad un rarissimo francobollo, mentre il primo fa l’agente di custodia, frequenta solo criminali, gira sulla stessa Corvette (non più così fiammante), ma, in compenso, nella sua vita ha Nikki Swango (la bravissima Mary Elizabeth Winstead) ex criminale sexy che sogna la pinnacola professionistica e un futuro con Ray.

“Ma io non so giocare a pinnacola” , “Sta zitto e lascia fare a me”.

Il casino comincia quando Ray per mettere le mani sul francobollo si avvale di uno dei suoi criminali, uno particolarmente fumato che fa fuori Stussy, sì, ma è solo un vecchio scrittore di romanzi di fantascienza con lo stesso nome. Azione che attira subito l’attenzione della polizia locale, rappresentata da Gloria Burgle (Carrie Coon), ma anche di un losco figuro di origini tedesche di nome (forse) V.M. Varga interpretato con aria diabolica da David Thewlis, visto tra le altre cose in Wonder Woman.

Il bello delle serie di Noah Hawley è allo stesso tempo anche il suo punto debole. Non nego che in alcuni passaggi e in qualche dialogo, viene voglia di urlare ai personaggi sullo schermo «ti dai una mossa a finire ‘sta frase! Abbiamo capito andiamo avanti!» o almeno io faccio così, voi che siete personcine a modo magari reagireste in maniera più compassata.

Ma alla fine dei dieci episodi della stagione, non mancano i momenti iconici, uno dei miei preferiti ruota intorno ai libri (falsi) dello scrittore, uno intitolato Il pianeta preché che non è un mio errore di battitura, in originale il titolo è proprio The planet wyh e che sullo schermo diventa una storia nella storia tutta in animazione che occupa una porzione dell’episodio 3×03.

Oppure, lo spettacolare inizio dell’episodio successivo (The Narrow Escape Problem) in cui ogni personaggio viene introdotto sulle note dell’opera Pierino e il lupo, ah e ovviamente è impossibile dimenticare la tazza “World’s better dad” di Michael Stuhlbarg (unico del cast che per i Coen ha recitato davvero) una delle scene più disgustose di tutta la serie.

La vostra faccia, quando vedrete la scena della tazza.

Non mancano nemmeno gli omaggio più o meno diretti ai film dei fratelli del Minnesota, il primo episodio si conclude con un notevole colpo di scena, un omicidio in cui la macchina da presa ruota all’interno della bizzarra arma del delitto (non vi rivelerò quale, scopritelo da soli) quasi come faceva nei fori della palla da bowling de Il grande Lebowski, che è sicuramente il titolo più quotato.

Anche perché nell’episodio numero otto, proprio un bowling diventa la location principale in un’inquadratura che si conclude con la comparsata di Ray Wise (il Leland Palmer di Twin Peaks) al posto del vecchio cowboy Sam Elliot. Inoltre, penso che non vi potrà scappare la frase di Varga «Vladimir Ulyanov Lenin non quel coglione che cantava Ob-La-Di Ob-La-Da» e fatemi chiudere qui altrimenti non finisco il pezzo e vado a rivedermi Il grande Lebowski.

Visto che ho citato Varga, parliamone di questo diabolico cattivo, bulimico nel vero senso della parola, perché la gola è un vizio da ricchi, mentre lui fa di tutto per non apparire tale. Il personaggio di David Thewlis in questa stagione di Fargo è un lupo travestito in economici vestiti da agnello, un uomo di estremo potere che come i migliori lottatori, si finge debole per avere un vantaggio sul suo avversario.

Avete presente un uomo cattivo? Ecco rappresenta in pieno la categoria.

Il suo contraltare è proprio la poliziotta interpretata da un’azzeccata Carrie Coon, donna in un mondo di uomini che, non a caso, riesce a farsi ascoltare solo da un’altra poliziotta come lei. Un personaggio che ha tutte le intuizioni giuste e che al contrario di Varga vorrebbe soltanto essere visibile e considerata, invece nemmeno i sensori automatici delle porte e dei lavandini dei bagni rilevano la sua presenza, la donna che non c’era, sempre per stare in zona fratelli Coen.

La terza stagione di Fargo riserva svariate sorprese (tipo utilizzare la celebre Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano come colonna sonora) anche nel riuscito rapporto tra i due fratelli entrambi interpretati da Ewan McGregor, due che si vogliono bene sul serio e che, di fatto, si sono odiati tutta la vita.

Il mio personale titolo di MVP, però, va a Mary Elizabeth Winstead: di sicuro è una delle cose che vi resterà più impresse della serie e non mi riferisco alla scena dove si vede il suo culo. Cavolo, lo volete capire che esistono gli stunt-man (woman in questo caso) anche per il lato B? Già con Jon Snow è successo un casino, su fate i bravi!

“Hey la mia faccia sta quassù grazie!”.

La Winstead, oltre ad essere molto bella (anche con tutti i vestiti addosso) è davvero brava, il suo personaggio pare aver assimilato la lezione di Varga di apparire meno pericolosi di quello che si è davvero, di sicuro è molto brava dopo la commedia come BrainDead, qui dimostra di essere a suo agio anche nel noir.

Insomma, quando mettete in preventivo un ritmo dilatato tipico dei prodotti di Noah Hawley, Fargo è ancora una serie che sa il fatto suo, crescere e prosperare uscendo dalla (lunga) ombra dei fratelli Coen non è certo un’impresa semplice, a questa serie sta riuscendo piuttosto bene.

Cassidy

Cresciuto a pane e cinema, alimentato a birra e filmacci, classe 1983, si fa chiamare Cassidy, e questo già vi dice dei suoi problemi (mentali). Ora infesta questa pagine, di solito si limita a fare danni sul suo blog "La Bara Volante".
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