Film

Fast and Furious 7

“Sei troppo lento” dice Paul Walker mentre guarda un paralizzato Tony Jaa precipitare nell’abisso.

La lentezza: la colpa, il peccato freudiano che i personaggi di Fast and Furious non possono concedersi. Quindi ecco un film veloce, così veloce da essere da non parere nemmeno figlio di quel James Wan (Saw – L’enigmista e L’evocazione – The conjuring) che ci aveva abituati a tempi misurati, a orrori che assumono sostanza col passare dei minuti, ma che finalmente si sgancia dai suoi polpettoni, regalandoci un film adrenalinico che avanza furibondo di quarto di miglio in quarto di miglio.

Come prima più di prima, il Fast 7 di Wan non conosce lentezza e trascina senza tregua un inerme spettatore tra una sconquassante scazzottata Jason Statham versus The Rock, a un pugno di macchine paracadutate da un aereo, fino ad ambulanze che cozzano contro droni da combattimento.

Wan esagera in tutto, gioca con gli stereotipi del film d’azione creando un rimescolamento di generi che cita a tutto spiano e spalanca le porte a un’esagerazione visiva zarra, zarra come tutto in questo film che di realistico (ma che realistico, plausibile) non ha nemmeno un fotogramma.

Toretto e soci giocano a rincorrersi con un cattivo (Jason Statham appunto) in cerca di vendetta e che fa la sua comparsata al termine di ogni scena, figlio prediletto di una sceneggiatura ricca e sfaccettata, con evidenti richiami allo Spielberg di Duel. Ma non è la sceneggiatura l’unico l’elemento interessante del film, quanto invece l’affascinante sovrapposizione stendhaliana tra il defunto Paul Walker e il suo personaggio (che mai come qui rischia la pelle). L’epitaffio per l’attore è discontinuo, ma si accentua verso una commovente ed elegiaca conclusione che, più che concludere, celebra la dipartita di uno dei due pilastri della grande “famiglia” Fast and Furious.

Un concetto verghiano, quello della famiglia, sbandierato giustamente dal Toretto protagonista: la famiglia da proteggere, la famiglia da vendicare, la famiglia che è casa, la famiglia allargata del multiverso  di Vin Diesel, fatto di personaggi poliedrici, motivi ricorrenti e paragonabile solo a quello creato dalla Marvel tanti sono gli incontri, le autocitazioni, i crossover tra i capitoli di una storia che, giunta al suo settimo capitolo, non accenna a terminare (e per fortuna!).

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   In questo film vediamo come il mondo di Dominic Toretto e Brian O’Conner sia molto diverso da quel primo capitolo targato Rob Cohen. Quella che prima era una storia di folli corse clandestine in una Los Angeles notturna e carpenteriana, si è tramutata in una caccia all’uomo dal sapore “jamesbondiano” che poco si attiene allo spirito originario, diversificando quel micro-genere che Cohen aveva creato. I frequenti cambi di location (dal Caucaso ad Abu Dhabi, da Tokio alla cara vecchia Los Angeles), contribuiscono al divertissement di uno spettatore che si gode due ore e passa di folli acrobazie da cinecomic e dialoghi dal sapore tarantiniano. Ruolo importante anche per il redivivo Kurt Russel (a proposito di Tarantino) che a suon di battute da fumetto e boccali di birra belga strapazza un po’ la classica figura dell’eminenza grigia dei servizi segreti, tipica del cinema americano, reinterpretandola in una chiave del tutto nuova e validissima.

Una volta vivevo la mia vita un quarto di miglio alla volta, ed è per questo che eravamo fratelli… perché lo facevi anche tu.

Possiamo quindi dire che questo settimo film stia davanti di qualche metro (un quarto di miglio?) a tutti gli altri capitoli della saga perché funziona, si intuisce che gli ingredienti sono stati amalgamati in modo tale da far risultare quest’opera quasi kubrickiana come qualcosa di visivamente rivoluzionario, che non mette affatto a rischio la tenuta della sospensione dell’incredulità dello spettatore. Lo stesso spettatore esce dalla sala  commosso dal doveroso tributo a Paul Walker e fisicamente provato dalla zarrissima innaturalità di un blockbuster mai così veloce e mai così furioso. Non si capisce come mai l’Academy non l’abbia candidato agli Oscar; problema da imputarsi forse a un tratto di regia un poco manierista e a tratti di nouvelle vague

…ma che, ci stavate credendo?

Questo film è una mestolata di guano nel vostro piatto di minestra serale. Stateci lontani come da un rifiuto tossico e maleodorante.

Schifo.

Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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