
Fight Club – La genialità che ti prende a pugni in faccia
LA GENTE MI CHIEDE SEMPRE SE CONOSCO TYLER DURDEN
Io non conoscevo Tyler Durden. Voglio dire, come chiunque su questa sponda della Via Lattea sapevo che la maledetta prima regola del Fight Club era non parlare mai del Fight Club, ma non avevo idea di cosa fosse questo film. Peggio, ero convintissima che si trattasse di una tamarrata abominevole condita con un sudato, insanguinato e sempre piacevole da vedere Brad Pitt.
Siccome poi soffro della sindrome del bastian contrario, ogni volta che mi imbattevo in quest’immagine o in un qualche altro riferimento al film che devi conoscerlo per forza sennò dove porca miseria vivi, in Nepal? ne posticipavo ulteriormente la visione per partito preso.
Poi il momento è arrivato ed è stato come ricevere un pugno in faccia. Tanto per restare in tema.
LE COSE CHE POSSIEDI ALLA FINE TI POSSIEDONO
Abbiamo un protagonista senza nome , un “uomo qualunque”, con una vita incolore divenuta insostenibile a causa della mancanza di sonno.
Il nido “stile IKEA”, il guardaroba rispettabile, il lavoro da impiegato… tutto è una copia di una copia di una copia. L’unica fonte di pace sono i gruppi di sostegno per persone affette da diverse patologie. Mentendo sulla propria identità e sfogandosi insieme a uomini disperati e dal seno prosperoso, il protagonista risorge finché un giorno non incontra Marla Singer, un’imbrogliona che esattamente come lui frequenta i gruppi per i propri scopi.
Questa “terapia” smette di funzionare e quando anche l’appartamento- vetrina del protagonista salta in aria, questo decide di rivolgersi a un uomo che aveva incontrato durante un viaggio di lavoro e con cui aveva scambiato appena poche parole: Tyler Durden.
La prima parte di film trascina lo spettatore in un cumulo di nebbia: Edward Norton sembra in ogni scena sul punto di piangere, ma non lo fa mai, perché farlo significherebbe provare qualcosa di vero, sfogare il sentimento di penosa inutilità che sembra imbrattare ogni cosa, e questo non può essere possibile in un mondo in cui la cosa più importante è possedere il maledetto tavolino yin-yang.
O almeno, lo era fino all’arrivo di Tyler.
A VOLTE TYLER PARLAVA PER ME
Il fatto che il nostro protagonista non abbia altri a cui rivolgersi quando tutto ciò che possiede si trasforma in coriandoli lascia inizialmente di stucco, ma ce ne dimentichiamo in fretta quando questo si lancia in un’accorata descrizione del nuovo coinquilino.
Tyler è l’emblema della disobbedienza civile: vive abusivamente in una casa pronta per essere demolita, lavora di notte sabotando minestre e film per bambini, produce e commercia sapone “rivendendo alle ricche signore i loro culi ciccioni”. Si fa persino avanti con Marla, senza dare il minimo peso al fatto che sia evidentemente squilibrata. Insomma è libero in tutti i modi in cui il protagonista non lo è.
Con il suo arrivo, la nebbia sembra diradarsi e tutto diventa più limpido. L’insensatezza della vita condotta fino ad allora e la disillusione per tutte le promesse di un futuro brillante, ogni cosa spiegata da Tyler acquista senso. Persino un pugno in faccia.
Ed è così che nasce il Fight Club. Ovvero quel gruppo di nullità nella vita di ogni giorno che per qualche minuto riesce a vivere per davvero, prendendo in mano la propria vita e a mazzate Jared Leto.
Non che questo sistemi le cose, non che il mondo al di fuori del Fight Club diventi improvvisamente più giusto o sopportabile. Alla fine del combattimento nulla è risolto, ma nulla più importa.
UN’ESPERIENZA DI QUASI VITA
** spoiler**
Questo film è geniale. Uno di quei casi rari ma non troppo in cui il film è superiore al libro da cui è tratto. Perché il romanzo di Palahniuk è senza dubbio provocatorio, ma Fincher, come sempre, fa qualcosa di più. Ti trascina per i capelli in mezzo allo scantinato dove si riunisce il Fight Club, ti costringe attraverso la mente annebbiata del protagonista ad abbracciare anche solo per pochi istanti la pratica furiosa della lotta e con essa la sensazione che forse Tyler abbia ragione su tutto.
Una docile sottomissione che ha fine solamente con la morte di Bob a causa della degenerazione del club, divenuto, sotto la guida di Tyler (un eccezionale oltre che oscenamente figo Brad Pitt), un vero e proprio covo di terroristi. Quando si svela il plot twist e veniamo a sapere che in realtà il protagonista e Tyler sono la stessa persona, il cervello va in pappa.
E diventa d’obbligo una seconda visione per cogliere tutti i piccoli indizi sparsi da Fincher lungo il film, nascosti in bella vista. Magari anche una terza.
La scena finale poi meriterebbe un articolo a parte, ma è molto meglio, se non lo avete ancora fatto, andarsela a guardare per bene. Proprio tutto vi devo dire…