
Figli: pensavo fosse dramma invece era commedia (…forse)
È giovedì 23 gennaio. Non vedo l’ora sia domani per vedere il seguito di The New Pope su Sky, all’Ideal di Torino proiettano 1917 in 4K, sabato finisco il mio primo disco e qualche giorno fa ho visto Uma Thurman dal vivo (scusate, grassetto d’obbligo </3), la quale è passata a un metro dai miei occhi sognanti. È giovedì, giorno di uscite cinematografiche. Giorno di uscita del nuovo film presentato da una Paola Cortellesi e da un Valerio Mastandrea a pochi passi da me la stessa sera di Uma (ero tra il pubblico, da Fazio). È uscito Figli.
Va bene dai, la Cortellesi per quanto mi riguarda non becca un film da Gli ultimi saranno ultimi (che filmone era?), ma è pur sempre la Cortellesi! E Mastandrea? Dai io ancora ce l’ho stampato nel cuore da Perfetti Sconosciuti. Magari stavolta il film è giusto. Il tema c’è, gli attori pure. Cosa potrebbe andare storto?
L’importanza di imparare a stare zitti
Entro in sala. Siamo in 10 (15, toh). Ahia. Va beh… Film d’elite? D’altra parte il giorno d’uscita di Freeheld con Julianne Moore eravamo in 3 in sala (raga ma perché nessuno si è cagato di pezza quel film? Ho pianto tutti i miei liquidi! Julianne Moore è… Ah va beh, non andiamo fuori tema). Inizia. La Cortellesi e Mastandrea litigano, si insultano. “Tu non fai niente”, “non mi vedi”, “guarda che ho fatto la lavastoviglie, mi hanno visto tutti”, “ma vaffanculo”.
Sì, si piange finalmente. Sono carico per farmi scuotere e per riflettere su quanto possa essere problematica la vita di coppia, la genitorialità di questi tempi. Sono pronto a rivedere la Cortellesi di Gli ultimi saranno ultimi, vai. Vai!
…
Perché la sonata n°8 di Beethoven quando piange il bambino? No, non ditemi che… No eh… Cos’è la pediatra Guru? No cazzo, sono incappato in una commediola. Gesù. Che delusione. Va beh. Ritiro i fazzoletti. Non stasera amici di carta, non stasera. Ok, guardiamoci sta commedia. Alla fine si può far riflettere anche facendo ridere. Dai film, fammi vedere di che sceneggiatura sei fatto.
Salvare il salvabile
La partenza non è stata delle migliori. Pensavo di andare a vedere un tipo di film e me ne si è presentato un altro. Amen. Non è per denigrare le commedie, anzi, ma cannare così bellamente il significato di un film è roba rara (nonché frustrante). Così mentre le immagini, truffaldine, scorrono cerco di agganciarmi a tutto il possibile per cercare un po’ di quella drammaticità che mi aspettavo. Dai, non posso aver preso una tale cantonata dal nulla. E infatti qualcosa lo trovo. È bello il momento in cui Sara (la Cortellesi) chiede ai genitori di badare al bambino dovendo tornare a lavorare, rinfacciando (quando questi si rifiutano) come la loro generazione si sia presa tutto approfittando del dopoguerra, del boom economico. È bello il momento in cui distrugge il consumismo sfrenato della generazione dei nostri nonni, ed altrettanto bella (per quanto amara) è la risposta che riceve, per la quale in Italia la maggioranza della popolazione è costituita per lo più da anziani: motivo per il quale hanno tanto peso sulla cultura, sulla politica e sulla società. Ma finisce quasi tutto lì.
Le scene divertenti si contano sulle dita di una mano, le scene drammatiche anche. Forse perché entrambe passano così, in superficie, senza lasciare il segno. Non c’è battuta o situazione che vada in fondo, e questo fa sì che sia l’aspetto comico che quello drammatico non vengano esaltati. E quindi che film è? Una commedia? Un dramma? Un dramma che vuole essere commedia o viceversa?
Figli: un film italiano come tanti altri
Sì non vi ho raccontato la trama, ma va beh, l’avrete intuita: Sara e Nicola sono una coppia sposata prossimi all’arrivo di un secondo figlio inaspettato che, vista la situazione non propriamente favorevole presente in Italia, inevitabilmente scuoterà la loro vita da più punti di vista. Il film è tratto dal monologo di Mattia Torre, I figli ti invecchiano, diventato popolare grazie ad un’interpretazione dello stesso Mastandrea durante una puntata di E Poi C’è Cattelan. Un bel monologo, un grande Mastandrea. Però forse la bellezza è viscosa. Forse la bellezza non è un liquido, e non si adatta alla grandezza del contenitore in cui la metti. Forse, come il miele, si spalma ma non è uniforme. O forse è proprio un liquido che se messo in un contenitore troppo grande si disperde diventando così piccola da perdere gran parte del suo fascino.
Capisco la difficoltà di rinunciare a sviluppare qualcosa di molto bello, ma rendere un monologo un film, spesso vuol dire stirarlo all’inverosimile facendogli perdere di smalto e di densità. E questo è ciò che secondo me è successo con Figli: un monologo diventato liquido. Un tentativo un po’ azzardato di inscenare un’idea che aveva le dimensioni di un foglio cercando di farla diventare un intero libro. Peccato.