Vedete cosa succede se vado a cena con gente molto appassionata di cinema? Cioè, io non ho chiesto al mio cervello di scrivere questo articolo, ma dopo una discussione annaffiata dal vino (diciamo una dose generosa) e saturata da un’aria dal forte profumo erbaceo, questo è quello che è uscito fuori. Perché se me ne fossi stato zitto, tenendomi per me il fatto che Seven è probabilmente il mio film preferito, qualcuno non se ne sarebbe uscito dicendo secondo me il problema di Seven è proprio il finale.
Assorbita per un secondo la botta emotiva (soprattutto grazie all’alcool), ho iniziato a pensarci, discutendo con questo gruppo di degenerati di tutte le sfaccettature che il finale presenta. E arrivando alla conclusione che, avendo questa maledetta coscienza critica, forse c’è qualche scricchiolio in questo capolavoro del cinema postmoderno. Ma sono comunque opinioni soggettive, credetemi.
Quindi, visto che sono ancora confuso mentre scrivo, forse sarà terapeutico buttare su “carta” tutti i pensieri che mi stanno sfrecciando nella mente prima che esploda, trasformando casa mia in una scena qualsiasi di un film di Tarantino.
Credo sia superfluo dirlo, visto il titolo, ma da qui in poi spoilerz, sappiatelo.
Intanto partiamo dal presupposto che Seven è un film fantastico per una semplice verità: vince il cattivo. Nella pellicola di David Fincher, la spirale discendente di omicidi a sfondo biblico di John Doe è funzionale ad una cosa: chiudere il cerchio, terminare il ciclo, fare sette su sette e sublimare tutta la sua folle opera. Gioco, partita, incontro, detta in maniera bruta.
Il personaggio interpretato da un sempre magistrale Kevin Spacey è metodico, calcolatore, glaciale nelle sue scelte che non sono mai casuali, nemmeno quando Somerset e Mills (rispettivamente Morgan Freeman e Brad Pitt) gli mettono i bastoni fra le ruote. Un computer programmato fin nei minimi dettagli, con il solo scopo di portare a compimento la sua scia di omicidi. Nel mentre però si rende conto che qualcosa vacilla nelle sue sinapsi ritenute perfette, perché anche lui cede ad un peccato: l’invidia. Perciò deve essere punito, come ha punito tutti gli altri con la sola e unica giustizia follemente divina che concepisce: la morte. Il goloso grasso, l’avvocato avaro, lo spacciatore accidioso, la prostituta lussuriosa, la modella superba e il serial killer invidioso. Manca l’iroso, e non uno qualsiasi, ma proprio il detective Mills.
Seven arriva quindi al colpo di scena finale, una rasoiata precisa che taglia di netto la gola della tua anima. Un crescendo di ansia e terribile consapevolezza, la stessa racchiusa nella corsa di Somerset e nell’espressione di Mills, che alla fine non riesce a resistere e cede al suo peccato, sparando in testa a John Doe e completando così l’opera del serial killer.
Ma ne siamo davvero sicuri?
Analizzando la meticolosità del personaggio interpretato da Kevin Spacey, ci rendiamo conto che nulla è lasciato al caso, le sue azioni hanno una programmazione precisa e calcolata, spesso e volentieri anche lunga e complessa dal punto di vista temporale.
Quindi perché Mills non muore?
Seven non fa sconti alle vittime dei peccati capitali, mentre il giovane detective viene “risparmiato” dal piano perfettamente architettato da Doe, che accetta invece la morte soltanto per aver invidiato la vita di un’altra persona. Scelta casuale o voluta? La scia di omicidi doveva terminare con l’ultimo peccato punito in maniera diversa? Qui iniziano le congetture, che per vostra e mia fortuna non sono attualmente innaffiate da succo d’uva predigerito da un fungo (cit.). Ah, tranquilli, proverò anche a confutare le mie stesse idee, così tolgo ogni dubbio all’istituto mentale, possono tranquillamente tenermi riservata una stanza.
Iniziamo con il fatto che sì, qualcuno potrebbe pensare che il piano di Doe risulti in qualche maniera incompleto, sporcato da un ultimo peccato non punito come gli altri. Infatti, data la folle metodica del killer, può suscitare dubbi la sua scelta di mantenere Mills in vita. I motivi possono essere fondamentalmente due, equivalenti ma opposti:
- L’ira è un peccato momentaneo, che infiamma l’animo a volte solo per qualche secondo, quindi non così reiterato come gli altri.
- In molti sostengono che vivere per sempre con i propri demoni (aver ammazzato un colpevole in manette sapendo che lui ti ha ucciso la moglie incinta) sia peggio che morire.
Allora Doe ha voluto punire maggiormente Mills? Forse sì, proprio perché l’ira, essendo un’esplosione momentanea, potrebbe essere controllata, ma se così non fosse i suoi danni rischierebbero di essere ancora più devastanti di un peccato prolungato, dato che ottenebra completamente la ragione. Dipende solo dall’ottica in cui la si guarda: se è meglio morire o vivere il resto della vita come Mills.
E io che volevo lasciare le confutazioni dentro un bel riquadro visibile per evitare linciaggi. Uno progetta le cose e poi, vabbè va. Perciò, prima che qualcuno di voi alzi il dito: lo spacciatore accidioso. Non abbiamo la certezza assoluta della sua morte, anche se il dottore dice morirebbe di shock in questo istante se solo gli puntasse una luce negli occhi, quindi sì, forse Mills non è l’unico “risparmiato” dal John Doe di Seven (anche se sappiamo tutti che lo spacciatore poi non ce la farà), e comunque la pena dell’accidioso è commisurata al suo peccato: rimanere in uno stato di non-vita, che è esattamente l’esasperazione malata della sua quotidianità.
Perciò forse Doe utilizza un suo personale contrappasso che non si ferma alla metodologia della morte, ma che in due casi cerca di equiparare il peccato alla pena, che diventa duratura. Quindi l’accidia si tramuta (probabilmente) in una “morte” perenne, esattamente come perenne è il sin, mentre con un gusto tipicamente dantesco l’ira si rovescia, passando da un peccato di brevissima durata ad una pena enormemente infinita.
E allora? Ritornando alla domanda iniziale, il finale di Seven è perfetto? A mio parere sì, senza ombra di dubbio. Però potrei accettare l’opinione di chi non lo reputa tale. Cioè, il mondo è bello perché è avariato vario.
Ora scusate, ma vado a masturbarmi svogliatamente sdraiato sul letto pieno di banconote, incazzandomi al pensiero di quanto Brad Pitt sia più bello di me mentre divoro un Big Mac, convinto di essere più furbo di tutti voi.
Uno, due tre… sì, dovrebbero esserci tutti.
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