
Frida – Folle, monocigliata, zoppa, ma…
Frida, un biopic perfetto, che riesce a essere diretta rappresentazione dell’arte della pittrice messicana e a cogliere tutti gli aspetti della sua vita
A che servono le gambe se ho le ali per volare?
Questo è il concetto a cui uno dei miei eroi si è aggrappato tutta la vita per ignorare l’handicap che gli ha reso impossibile vivere serenamente la propria esistenza.
L’eroe di cui parlo, privato di spada e armatura, altri non è che una ragazzina piccola e impertinente, bruna come la notte, con un busto ortopedico che sostiene una schiena debole e una mente immensa: Frida Kahlo.
Per non so quanto tempo ho aspettato qualcosa che la ritraesse come fanno i libri su cui ho fantasticato tanto. Non coperta di fiori e ninnoli, non sulla copertina di Vogue, già cristallizzata nella sua eternità, ma come una bimba arruffata, vestita con abiti maschili, contraddittoria, con tanta confusione in testa e l’impossibilità di occupare lo stesso posto per più di tre minuti.
Curiosa, che non ha ancora scoperto la pittura per quel che è, ma solo per come la fa sentire.
Il film sulla pittrice messicana
Ecco come la ritrae Julie Taymor, con una regia magistrale, che disegna la mia Frida con tratti e scene oniriche fedelissime allo stile della pittrice. Accompagna la storia una colonna sonora tutta firmata Chavela Vargas, la cui musica segna, come a pennellate, i tratti di comicità, tenerezza e disperazione della vita. Caratteri che si fondono, a formare tonalità di colori emotivi incomprensibili e che hanno ossessionato l’artista nella propria opera.
Come dipingere la complessità della vita, le sensazioni di solitudine, gioia, dolore, malinconia e sfrenata allegria che la attraversano in continuo come risacche del mare?
Ecco, forse è per questo che amo tanto la Kahlo, perché si è aggrappata alla pittura non perché le piacesse impugnare un pennello, ma perché dipingere era l’unica possibilità di salvare la propria mente dalla trappola della morte di un corpo che l’ha abbandonata da subito. Un corpo che ha tentato di trascinare con se nell’oblio anche la mente e la speranza.
Sarà per questo che amo questo film, perché ritrae la lotta continua tra una mente irrefrenabile, quella di Frida, e un corpo che, a causa di un terribile incidente in autobus avvenuto durante il periodo del liceo, l’ha ridotta su un letto per mesi. Ingessata, immobile, costretta e imprigionata, sterilizzata da un’asta che l’ha trafitta nel ventre come un cavaliere viene trapassato dalla spada del nemico.
Una continua lotta contro la morte, che non ha vinto la guerra, ma che si è insinuata nell’esistenza della giovane portandole via la serenità della salute, della maternità e, soprattutto, della mancanza del dolore.
L’amore per Rivera
Altro fattore che ha sconvolto la vita della Kahlo e che è riportato perfettamente in questa pellicola: la storia d’amore con Rivera.
Nella mia vita sono stati due gli incidenti più gravi, dell’autobus e Diego.
Uomo francamente bruttino, sgraziato, sovrappeso, dai tratti scomposti, perfettamente riportati da uno straordinario Alfred Molina. Assieme formarono la coppia da tutti definita “l’elefante e la colomba“.
Io lo vedo bello, il mio Diego, lo vedo bello perché ho visto com’è fatto dentro, e lo trovo bello perché sono una dei pochi che ha potuto guardare.
Un rapporto perfettamente descritto e racchiuso in questa citazione dalla biografia della Kahlo, scritta da Cacucci. Un amore che ha portato nella vita di Frida la passione ardente per la politica, per gli ideali di un comunismo appena nato. Un’ideologia che non era ancora stato inquinata dalla realtà, ma solo sorretta dai sogni di un futuro migliore. Un rapporto sorretto dalla speranza di redenzione di quel corpo morente, offertale da quel desiderio di un uomo che amava e che l’amava.
Allo stesso modo è perfettamente riportata la rabbia e la sofferenza derivanti dai tradimenti di un marito che riusciva a esserle leale ma non fedele. La disperazione degli aborti, punizione inflittale dal fato e da lei stessa, rea di tracotanza per aver sfidato un corpo che a malapena sosteneva la sua energia vitale. L’alcolismo, unica via di fuga quando nemmeno la pittura bastava a zittire l’irresistibile desiderio non appagato di maternità. Poi la solitudine, il dolore fisico e l’immobilità di un letto a cui era costretta, soprattutto nella parte finale della sua vita.
Un collage basato sulle sue opere
Questa pellicola riporta tutto quanto descritto, alternando immagini reali alle pennellate di colori tenui e indistinguibili della Kahlo, poiché anche la migliore regia del mondo non avrebbe potuto spiegare meglio le emozioni di una mente tanto complessa.
Immagini che scandiscono ogni aspetto frastagliato della vita in sé e per sé considerata. I desideri del corpo e della mente. La voglia di fuga da tutto, nell’allegria e nella speranza di riuscire in quest’intento e nella disperazione per non aver raggiunto nessuno di questi obbiettivi.
Siete affascinati da una biografia tanto incredibile? O, più semplicemente, fin troppo spesso queste sensazioni percorrono la vostra giornata? Allora è proprio a voi che consiglio di perdere due ore per scaricare questa storia sul vostro pc e, magari, a rileggere quest’articolo subito dopo.